lunedì 13 giugno 2011

"Je est un autre", o sulla micosi spirituale dell'Occidente


"Non è là fuori il raggiungimento della felicità, ma solo e unicamente dentro di noi." E' una frase, questa, che si sente ripetere con crescente frequenza. E che viene di volta in volta attribuita a diverse personalità: dal campo della ricerca spirituale ai consigli psicologici nelle rubriche sui settimanali, dalla New Age a ciò viene chiamato miglioramento personale o self-helping - una volta si sarebbe detto "aiutati che il ciel t'aiuta", con la differenza che il cielo ci è caduto sulla testa come temeva Abraracourcix, capo dell'irriducibile villaggio gallico dove ritroviamo anche Asterix e Obelix. In ogni caso tutti d'accordo su un punto: l'anima basta a se stessa, e tutto ciò che esorbita i suoi confini interni è ridondante o pleonastico. Con il suggello perfino del Dalai Lama, che ci mette la sua onorevole griffe.
Bene, e allora proviamo a prendere sul serio l'affermazione e a trarne le debite conseguenze. Il primo esito logico è forse il seguente: la passione amorosa è nociva, è viziosa. Jean-Paul Sartre aveva inquadrato molto bene la questione da un punto di vista linguistico. "Passione è patire l'altro, è la consapevolezza che la nostra possibilità di trascenderci è legata alla libertà dell'altro". Per diventare titolari delle nostre emozioni dobbiamo allora liquidare, prima di tutto, quella più estrema. La passione. Quindi anche l'amore, vissuto come rischiosa esposizione all'altro che in tal modo ci pregiudica. E' solo a quel punto che possiamo finalmente inabissarci dentro di noi - "intra-scenderci", più che trascenderci, a volere essere pignoli... - alla ricerca di una felicità che il coro dei giusti e dei sapienti ci promette di trovare lì: nel fondo, nel dentro. E che dunque si precisa come una forma di autarchia emotiva, di liquidazione di tutto ciò che ci è esterno, oltre che estraneo, a favore di quel che ci è proprio. La felicità starebbe insomma nell'abbraccio egoico, una sorta di reintegrazione simbolica nella figura dell'uroboro o dell'androgino divino.
Proseguendo nella ricerca di coerenza con l'assunto d'origine, incontriamo quindi alcune domande. Se sfuggiamo la diversità come inquinamento delle falde limpide della nostra unicità cosciente, prima domanda, cos'è che allora ci è davvero proprio, a quale soggettività finiamo col coincidere in quest'estremo tentativo di ricomposizione autistica?
Senza smarrirci nuovamente tra le pagine di agili almanacchi psicologici o di esotiche formulazioni sapienziali, io mi affiderei alla persuasiva intuizione di uno dei più grandi poeti moderni: "Je est un autre", io sono un altro, scriveva infatti Arthur Rimbaud già più di un secolo fa. O ancora più radicalmente: io non è solamente un altro, ma molti altri, una moltitudine di altri se non addirittura una "legione", per dar credito a un pensiero che viene dal cuore della tradizione religiosa occidentale, e che ricaviamo dalla risposta di Gesù all'indemoniato di Gerasa, così come riportata in Marco. Che aggiunge: "Perché noi siamo in molti".
Al fondo più fondo di noi non troviamo, o almeno non troviamo necessariamente, le verdi praterie della pace spirituale, la tranquillità di chi sta bene in qualsiasi luogo quando sta bene con se stesso, che è il luogo comune più tenace e strampalato di tutti, per il semplice fatto che siamo noi a non stare lì. Piuttosto, ci dicono Luca e Rimbaud, in quell'oscura profondità ha piantato le sue tende un altro, una legione di altri. E ciò anche per i saperi moderni e laici della psiche, da Freud in poi che ha iniziato col tripartire la mappa della coscienza in Io, Super-Io ed Es, prima di successive e recenti moltiplicazioni. Ma l'immagine più suggestiva ci viene forse dal suo epigono più rigoroso e serrato, lo psicanalista francese Jacques Lacan, che nei gironi segreti della mente vede levarsi e spadroneggiare una specie di gigante: “Grande Altro”, così lo ha chiamato. Con ciò indicando il sedimento inconscio dell'immaginario culturale, in cui si raggruma all’interno del soggetto il mosaico dell'epoca storica corrente, includendo in forma simbolica la morale ma anche le forme dominanti del piacere.
Alla luce anche di queste nozioni, si crea così lo spazio per la domanda successiva. Da dove deriva tutta questa crescente ripulsa verso il fuori, verso la minaccia emotiva che proviene dall'altro in carne e ossa, tanto da farne il motivo conduttore della nuova spiritualità, che vede in una mite pacificazione con se stessi (il dentro) il veicolo di ogni virtù?
A parte un maldigerito e spesso approssimativo innesto di tradizioni esterne e perlopiù orientali, la stessa linea interpretativa lacaniana (un nome per tutti: Slavoj Žižek) individua un'intima coerenza con il modello di produzione e consumo dell'Occidente tardo moderno, che trova il suo riflesso in una forma di godimento esteso e compulsivo, molecolare, ma al netto di ogni rischio che derivi dall'esposizione al possibile e all'incerto - e cioè, in altre parole, ancora una volta all'altro. Più che un riferimento circostanziato alla spiritualità orientale, ciò che si manifesta è allora una rimozione della traccia carsica che ha accompagnato l'intera storia della cristianità secolare, e che con qualche forzatura può essere riassunta in un celebre passo scritturale contenuto ancora una volta nei Vangeli. Questa volta si tratta però di Luca, là dove viene detto: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà..." (Lc 9,22-25):
Ciò che trovo impressionante in questo passaggio è la frase "rinnegare se stesso". Che segue a una possibilità, non a un invito e tanto meno a un imperativo spirituale: la possibilità di prendere sulle spalle la croce e seguire il Cristo. Ma continuando la nostra interrogazione, come potremmo tradurre il termine Cristo in un'accezione non religiosa e più vicina alla prospettiva che abbiamo scelto di seguire, che con un certo margine di libertà potremmo definire psicologica? Io penso che il Cristo, così come viene presentato da Luca ma filtrato dal prisma ottico di Lacan, sia ciò che ci è definitivamente e radicalmente altro, in tutti i sensi. Quindi l'accoglienza e l'amore – ma ancora prima il conflitto, lo scontro con quel che ci mette in questione nel profondo – verso la differenza originaria.
Provando dunque a riformulare il tutto, non è nel gesto di chi si ritragga dal mondo per trovare la gioia, la felicità, "le bonheur", che noi possiamo sperare di ritrovarci. E ciò per via del fatto che quella sarebbe solamente una felicità dell'altro, sotto forma di proiezioni culturali inconsce o di demoni psichici che sgomitano per la loro mezz'oretta di gloria, illuminati dai riflettori di un’attenzione compiacente. Tutt'al più avremmo realizzato la felicità della legione che ci abita, moltiplicata e reificata dal credito spirituale che gli accordiamo. Mentre, per paradosso, è proprio l'altro-altro, l'altro concreto e fuori di noi, che come suggeriva Sartre può attivare il riconoscimento identitario e la trascendenza del limite posto dal Grande Altro a suggello del godimento - "una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute", come nella lungimirante profezia di un altro filosofo che ci è caro. Già che il godimento deve essere normale, normato, e a questo pensano le convenzioni sociali, il potere, la religione, il conformismo del consumo, anche spirituale… Mentre è proprio quella soggettività che nelle Scritture viene chiamata “nostro prossimo” a interrogarci di continuo e a scombinare i piani. E non c’è risposta, non c’è nulla, senza una buona domanda.
Sempre per il tramite di un’interrogazione esterna, viene quindi arrischiata una relazione che dia fondamento psichico a una soggettività polimorfa. Ci deve infatti essere dal lato opposto del confessionale una "sventurata" o uno sventurato che risponda, come avviene con la celebre monaca del Manzoni, perché si attivi la narrazione, il romanzo di noi attraverso il mondo. Senza questa presenza vissuta, senza il volto ma anche il corpo dell’altro, c’è solo il vano brusio dei demoni del profondo, la legione che scalpita per aggiudicarsi una scheggia di realtà. L’identità, per la moderna psicologia del profondo, sarebbe insomma qualcosa di simile allo Spirito Santo nella teologia agostiniana. Già che su questo aspetto Agostino è stato molto chiaro: è la presenza dello Spirito che stabilisce quel che è del Padre e quel che è del Figlio, lo Spirito viene prima del Padre e del Figlio. O come diremmo noi, molto più impoetici e smagati, è solo attraverso una relazione che si può definire l’identità delle parti, e in ultima analisi anche una felicità che non sia solo anestetica distrazione.
Eppure tale gesto di affidamento all’altro - che non saprei come circoscrivere se non ancora una volta con il termine amore, senza con ciò nascondermi anche il portato di resistenza e attrito nell’esposizione - eppure tale gesto è il più difficile ed estremo, un gesto temuto, sviato e continuamente rimandato. Infatti se nella spiritualità New Age ciò a cui si fa ricorso è un ascensore ovattato che ci accompagni, lentamente, dolcemente, dentro gli scantinati tiepidi e affollati dell'anima, lo sporgersi dell’altro verso il nostro minimo dominio e noi verso di lui, in una dialettica sempre inconclusa e mobile di limiti che si spostano, si assestano, somiglia al sedile di pilotaggio della Jaguar XKR di James Bond, l'agente 007. Un sedile elaborato da un geniale artigiano che, al solo sfiorare di un tasto rosso posto sul cruscotto, sbalza il pilota fuori dal tettuccio, lo espelle a viva forza contro il mondo. O meglio non contro, ma dentro il mondo.
Ecco, la più grande e diabolica truffa della New Age, che sta pervertendo non solo spiritualmente ma anche psicologicamente, antropologicamente il nostro tempo, è allora a mio giudizio proprio questa: sussurrarci che la felicità sta là sotto, in compagnia dei balocchi lussureggianti che riflettono l'epoca, in combutta con la legione di demoni che ingorgano le tubature dell'anima, e non invece nel viso aperto ma anche rischioso dell'altro, nel suo corpo vivo e fremente. Ed è una vera e propria forma di micosi spirituale, che prima di invadere la coscienza si estende e urtica la superficie della pelle, rendendola insensibile al tatto.
Ma il problema, me ne rendo conto, è che non è facile pigiare un tasto per essere immediatamente proiettati fuori dal tettuccio di un'auto in corsa, specie quando stai viaggiando su un'autostrada confortevole e lustra. Non è facile perdere la vita per poterla ritrovare: dove? quando? come? Non si sa...
E così non potendo rispondere a quelle che sarebbero le domande davvero decisive del nostro breve excursus interrogativo, risulta molto più semplice accendere un paio di incensi, contemplare le volute odorose e ipnotiche dall'orlo di un cuscino damascato, una musichetta facile facile con dolci campane in sottofondo… Quindi infilarsi in cantina a far baldoria con tutti gli altri.

3 commenti:

  1. leggere un tuo post e porvi un commento è come partecipare a una pranzo luculliano e dover dare un giudizio sul cibo offerto: su quale? l'antipasto, il primo, il secondo, il contorno, la frutta, il dolce? infatti le etichette sono: filosofia-psicologia-religione...ecc. Con un sorriso ti consiglio di fare un convegno, dopo l'immissione di un tuo post, così si potrà avere l'agio e il tempo di discutere- dispensa alla mano- tutto! Gesù Cristo, Lacan, New Age, Amore, Sartre e tutti gli altri. Caspita Guido Hauser: tu non scrivi "pensierini" tu fai trattati. Rileggerò con attenzione e se avrò un'illuminazione divina posterò un commento intelligente e con un minimo di senso...ora proprio non riesco a far altro che rimanere a bocca aperta. Stupida o stupita. Ciao :)

    RispondiElimina
  2. immagino, ma non sono certo, che sia un complimento. in tal caso grazie, Mnemosyne. e grazie lo stesso anche se non lo è...

    RispondiElimina
  3. Sono assolutamente d'accordo! mi viene in mente Vito Mancuso : " Io ci sono in quanto il punto di infiniti legami. Io sono relazione." Quanti sono in grado di capire?!? Ciao e grazie.mg

    RispondiElimina