domenica 28 settembre 2025

Orvieto (mi ricordo 51)

 

Mi ricordo di Orvieto. No, non il borgo umbro sempre e solo intravisto dall'A1: abbarbicato alla rupe di tufo segnalava che tra un'ora, abbondante, sarei arrivato a Roma. Orvieto era un mio compagno di scuola delle medie. È passato talmente tanto tempo che ricordo solo il cognome, oltre al cespuglio nero e crespo dei capelli. Spiccava nella fila dei banchi alla mia sinistra, verso i finestroni da cui si scorgeva il cubo di cemento della palestra e, più dietro, l'arco dell'Adamello, le cime erano innevate fino a tarda primavera.

Il suo anonimato si rifletteva negli studi, in cui non brillava di certo; ma nemmeno collezionava note sul registro come me. Una via di mezzo, una media leggermente al ribasso, con tutte le premesse per diventare un uomo altrettanto medio. Abbozzi di vita in cui la cornice si ingoia piano piano il ritratto. O perlomeno così appariva, e questa è una storia che mi ha insegnato a diffidare delle apparenze.

In ogni caso, quella brava era l'Acquistapace. Piccolina, occhi azzurri, capelli lunghi e lisci e biondi. Talmente graziosa che l'avrei posata nel muschio del presepe al posto della vergine Maria, l'età era grossomodo la stessa. Di lei naturalmente ricordo tutto, tra cui il nome, Simona, e l'odore di marzapane che emanava quando si alzava per andare alla cattedra a ritirare il suo tema, dopo che la professoressa Cozzini ne aveva letto uno stralcio.

Trascorsi pochi giorni dal compito in classe di italiano, era una prassi a cui avevamo preso l'abitudine: sia la lettura di qualche passaggio dal tema con il voto più alto, sia che quel tema appartenesse all'Acquistapace. Fu dunque grande lo stupore, una mattina in cui il sole tardava a manifestarsi e l'Adamello era più innevato del solito, nel non sentire leggere il solito tema dell'Acquistapace, ma per intero quello di Orvieto. Titolo: Parla di tuo padre.

A un certo punto la Cozzini si commosse pure un po'. Fu quando, con parole semplici e sentite, Orvieto descriveva il ritorno dal Belgio del padre; per anni intanato nelle miniere di carbone della Vallonia, fino a quel giorno lo aveva visto solamente nelle brevi vacanze. La gratitudine per l'uomo che sentiva tossire nel letto, la silicosi come forma concreta dell'affetto di un genitore per il figlio, che lo ricambiava con l'inchiostro di una Bic dal cappuccio mordicchiato. Il sotto testo pareva essere: prendete e mangiatene tutti, questo è il corpo di mio padre offerto in sacrificio per le vostre case ben riscaldate.

Non sto dicendo che fosse un capolavoro, ma per la prima volta intuivo che si poteva sciogliere un po’ la briglia senza cascare da cavallo, respirare invece di tenere sempre il petto in fuori. Se i miei temi erano pieni di sarcasmo per sfuggire la trappola di una retorica zuccherosa – avevo una fama da bullo da mantenere –, non la grande letteratura ma il tema di Orvieto mi mostrava ora il mondo da una prospettiva diversa: essere porosi, assorbire, non avere fretta di gridare sono qui! Prima o poi ciò che si riceve deve però essere restituito, cambia solo la forma che somiglia a una staffetta.

Prendere per dare, dare per prendere, ma quel che davvero conta è il tempo intermedio, in cui i due gesti possono crescere nel silenzio. Come se a scuola l'insegnamento più prezioso consistesse nell'intervallo. Peccato che la mia indole fosse votata all'impazienza, così il tema di Orvieto mi lasciava spiazzato... Per me scrivere era una partita a tennis, la pallina andava ributtata subito dall'altra parte, e l'eventuale bellezza era costituita dalla veronica di Panatta; il gesto plastico e virtuoso che strappa l'applauso al pubblico del Foro Italico.

Una contrapposizione che vedo riproporsi anche adesso: chi si esalta per lo stile, gli sperimentalisti, i gaddiani; chi per le storie semplici e toccanti, da cui ricavare uno sceneggiato per Rai2. Quella di Orvieto non finisce in un inverno lontano. Gli anni Settanta sfumano e cedono il loro piombo ai sabati sera infebbrati, con il Ministro delle Partecipazioni Statali ripreso mentre balla in discoteca, la lunga chioma oscilla al tempo delle basi campionate. Devono passare altri tre decenni, nei quali la Fiat passa dalla Ritmo alla nuova 500.

Lo immagino quando si presenta di fronte all'armeria dei genitori dell'Acquistapace, ormai è un uomo di mezza età. È lei ad avermelo raccontato, trent'anni anche quelli in cui ci siamo persi di vista; tanti da pensare a una conclusione definitiva, nessun Roxy Bar dove ritrovarsi a bere del whisky come le star. E invece si trattava di un altro intervallo, il nostro Roxy Bar si chiama Bar Piero: io ordino un caffè d'orzo, lei un tè caldo. Che strana impressione vedere delle piccole rughe a lato degli occhi della Madonna... Ma nel salutarci con un bacino sulla guancia, mi sono accorto che odorava sempre di marzapane.

Orvieto prima si guarda in giro, legge bene l’insegna, esita. Poi entra nel negozio continua l'Acquistapace, e posa un fucile sul bancone. È avvolto nella carta marroncina come fanno nei film americani con la bottiglia di Jack Daniel's.

– Posso lasciarlo qui? – chiede Orvieto alla madre dell'Acquistapace.

– Mi dispiace, non trattiamo armi usate.

Poi però lo scarta, soppesa il calcio in legno di ontano controllando che non ci siano graffi, scorre le dita sul cane, verifica che la sicura sia inserita e preme leggermente il grilletto: – Comunque sembra in buono stato, può farci ancora qualche centinaio di euro.

– Mi scusi, c'è un equivoco. Non sono qui per i soldi: mi basta liberarmene, non voglio più vedere questo fucile!

– Non capisco...

– Ero compagno di scuola di sua figlia. Me la saluti, a proposito, quando la sente. Lo consideri un regalo.

Tocca ora fare una pausa e ricordarsi del tema delle medie. Il padre che tossisce, la silicosi, fatica e dignità nel campare una famiglia – la propria famiglia. Amore, diciamolo pure senza girarci attorno. Show don't tell insegnano nei corsi di scrittura. E noi invece lo scriviamo, non vogliamo mica essere i primi della classe, dei sotuttoio come l'Acquistapace. Piuttosto degli Orvieto, persone che si barcamenano tra concetti spesso troppo difficili per loro (la crisi climatica, il PNNR, la geopolitica), ma almeno una cosa l'hanno imparata, anzi lui la possedeva al massimo grado e senza bisogno di studio. I sentimenti.

– Con questo fucile – conclude Orvieto –, mio padre la settimana scorsa si è sparato.

2 commenti:

  1. Me lo ricordavo questo ragazzo senza nome e senza particolari qualità che riesce ad avere il suo momento di gloria (e di memoria, visto che dopo tanti anni ricordi ancora l’episodio) raccontando di suo padre. Sono di personaggi come lui che mi piace leggere, di quelli mai sotto i riflettori, mai vincenti, ma che pure qualcosa di buono in silenzio lo fanno, nel suo caso l’affetto per il padre, che detto così sembra melassa da libro cuore ma raccontato da te asciutto asciutto e con la divagazione sull’Acquistapace che sa di marzapane funziona
    massimolegnani

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    1. Grazie Massimo, in effetti questo è un testo che avevo già scritto, ma che ora ho rivisto per adattarlo e aggiungerlo al ciclo che ho chiamato delle "iniziazioni", dal comune incipit mi ricordo. Il marzapane dell'Acquistapace comunque è rimasto.

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