venerdì 26 settembre 2025

Paradise (mi ricordo 50)

Mi ricordo di una ragazza conosciuta all'Aprica in una discoteca chiamata Charlie Brown. Indossava dei fuseaux neri di un tessuto sintetico altamente infiammabile, sulla t-shirt grigiastra erano presenti delle figure viola slavate, i contorni apparivano indistinti. Qualcuno, come con le macchie di Rorschach, poteva scorgere frutta di stagione, altri pipistrelli crocifissi sull'altare del buon gusto. Quello che pensavo di avere io che mi vestivo seguendo la moda del momento. Per fortuna si vedeva e non si vedeva, sopra portava un chiodo di pelle logora trapuntato da borchie metalliche, sembravano essere state appena lucidate da un polacco in sosta ai semafori. Tutte le volte che le borchie venivano colpite dal fascio delle luci stroboscopiche il semaforo si accendeva, subito dopo si spegneva, si riaccendeva di nuovo, confondendo gli automobilisti.

I piedi erano nascosti sotto il tavolino dove ci eravamo appartati a bere Cosmopolitan, ma avrei scommesso sulla presenza degli anfibi del Dr. Martens. Mi chiedevo se appartenesse al gruppo dei metallari, oppure fosse una punk, una dark… Avevo ancora le idee un po’ confuse al riguardo. Le domandai così che musica ascoltasse, e lei fece i nomi di Led Zeppelin, Clash, AC\DC, Cure. Abbassando il tono della voce aggiunse: I Queen. CHI? risposi io, il frastuono di sottofondo si era mangiato il gruppo di Freddy Mercury, ma lei ripeté sillabando alla maniera dei sordomuti, come se temesse di essere udita dalle amiche. Stavano qualche divanetto più in là e ridevano alle battute di un ragazzo magrissimo vestito allo stesso modo, ma con la zavorra di una catena che quasi toccava il suolo.

Le informazioni ricevute non mi aiutavano a dissipare le nebbie di una catalogazione ritenuta fondamentale. Di certo stava provando a fare lo stesso con me, e per non essere identificato misi la mano destra sulla pecetta che pendeva dalla manica opposta della mia felpa Stone Island, intuendo che quel particolare non avrebbe giocato a mio favore. Feci un po' il furbo anche quando mi girò la domanda che le avevo appena fatto, tacendo la mia passione per le canzoni di Drupi e genericamente accennando a Neil Young, Bruce Springsteen… Ma i Led Zeppelin piacciono molto anche a me, mi affrettai ad aggiungere.

Non so quanti minuti fossero già trascorsi senza esserci ancora guardati in faccia, tutta l’attenzione era stata fino a quel punto rivolta a una sorta di selezione all’ingresso. Quel modo di scrutarti, dal collo in giù, che aveva il buttafuori del Charlie Brown, prima di stabilire se eri adeguato al locale. Ci andavano i figli di papà milanesi e noi provinciali che li studiavamo e cercavamo di imitare. Probabilmente l'energumeno stava starnutendo, e zac: il tipo ilare con la catena appesa in vita si è infilato. Così quando entrambi alzammo lo sguardo mi accorsi che i suoi occhi – naturalmente bistrati – possedevano un’espressione mite e quasi triste, a posteriori direi fossero gli stessi occhi nocciola del cavallo abbracciato da Nietzsche in piazza San Carlo. E in quel momento anch'io avrei voluto abbracciarla. 

Fu forse il motivo per cui la sua immagine è rimasta sfocata nella memoria. La carnagione mostrava poca confidenza con il sole, i capelli erano neri e però quale fosse il taglio, o come si diceva allora l'acconciatura, mi sfugge, o meglio non vi prestai alcuna attenzione. Potrei dire, per coerenza, che aveva la cresta moicana, ma la verità è che non lo so. Un'incertezza da estendere al naso: pronunciato o piccolo e sottile, in stile Giorgio Armani? E i seni? Di norma non sono attratto dalle maggiorate, e il fatto che cominciassi a fare fatica a deglutire il Cosmopolitan mi fa ipotizzare delle tettine, bulbi di piante esotiche non ancora sbocciate, alla Jane Birkin. Io e il diaframma abbiamo trovato questo modo di comunicare, e ora mi stava dicendo datti una mossa, scemo, o contraggo più forte!

Fu allora che presi il coraggio di invitarla a ballare, il dj stava sfumando l'invocazione impaziente di Tracy Spencer, run run run to me... e le luci si erano abbassate, con il pinspot diretto alla sfera specchiata che aveva cominciato a roteare. Non ci voleva molto a capire che stavano arrivando i lenti. Le amiche della ragazza, sbuffando, uscirono a farsi una canna assieme a Sid Vicious, lui si trascinava la catena mentre continuava a fare battute a cui più nessuno rideva. C'è solo da sperare che al buttafuori venisse di nuovo da starnutire al loro rientro.

Non saprei nemmeno dire se mi rispose o semplicemente annuì, per raggiungere con i suoi enormi anfibi (avevo indovinato) i riquadri della pista pulsanti sequenze cromatiche, dove i nostri corpi si accostarono, poi si unirono, poi si strinsero come si stringe un compaesano ritrovato per caso a Ellis Island. Una possibilità tra un milione che fosse propio lui nella calca di uomini, donne e pidocchi all'ombra della Statua della Libertà, monumento di carne in cui ci eravamo trasformati. Ora oscillava ma senza crollare, ricomposto nella resa, nulla più da dimostrare difendere accreditare. E scoprire che si poteva stare bene anche tra le note paracule di Paradise di Phoebe Cats.

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