lunedì 26 febbraio 2024

Lettera aperta a Marco Lodoli, o sulla creatività

Nei corsi di qualsiasi materia artistica viene ignorato o più spesso taciuto – sarebbero clienti in meno – ma andrebbe invece dichiarato come il conosci te stesso inciso sul frontone del tempio di Apollo, in questo caso sostituito da un disclaimer posto all'ingresso della Holden: LA CREATIVITÀ NON È PER TUTTI, lasciate ogni speranza o voi che entrate. Ma non perché solo pochi siano potenzialmente creativi.

Io penso che la disposizione a creare sia un attributo di natura, come parlare e camminare e, qualche anno più tardi, scopare. Solo che possiede condizioni limitate per svilupparsi, si dà solo all’interno di un corridoio mediano tra la spensieratezza e la disperazione. Contrariamente a ciò che vorrebbe la vulgata il dolore inibisce la creatività (tutte balle la leggenda dei geni disperati che trasfondono il loro dolore su pagine o tele) non meno del suo gioioso opposto.

Possiamo vederla alla maniera di un viaggio: i popoli dell'arcipelago tropicale non sono mai stati dei grandi navigatori, al limite facevano qualche pagaiata a ridosso della riva per andare a recuperare un gamberone o un pargo, mentre le donne del villaggio raccoglievano noci di cocco. D'altronde, per quale motivo avrebbero dovuto spostarsi? Avevano già tutto e in abbondanza: frutta, pesce, animali selvatici e clima buono.

Dalle regioni nord occidentali (Gran Bretagna, Irlanda, Norvegia, Svezia) si prendeva invece spesso la via del mare. La partenza non aveva una direzione certa: qualche sacco di gallette e un desiderio indefinito, grande – tutti caratteri comuni alla creazione. Ma, nel caso, salivano a bordo di vascelli non proprio rassicuranti solo i più avventurosi e sani, in una condizione altrettanto mediana tra il benessere materiale di nobili e cicisbei, e la fragilità del corpo che inchioda alla croce dei luoghi; un crudele gioco del fato, ricorda quello dei bambini con la coda delle lucertole.

Con questo rispondo anche a Marco Lodoli che, quasi trent'anni fa, mi telefonò a casa per consegnarmi il mandato a diventare uno scrittore, senza accorgersi che stava replicando la situazione del suo romanzo I fiori. Tito, il protagonista, comincia a ricevere delle lettere anonime: “Tito, scrivi”, nient’altro viene detto. E così lui lascia un’anonima provincia per raggiungere Roma e diventare uno scrittore. Che ci riesca o meno, e cosa voglia dire per Lodoli essere scrittori, lascio al lettore il piacere di scoprirlo.

A differenza di Tito io però non l'ho mai fatto. Lucertola. Legno. Chiodi. Caro Marco, ti sbagliavi. La mia vita non è mai stata compresa in quel corridoio mediano dove corrono i bolidi assieme alle utilitarie, il giudizio di valore artistico è un problema successivo. Troppo spensierata e lieta la giovinezza, troppo disperante il seguito in cui mi trovo. Forse solo strappandomi a morsi la coda potrei liberarmi e partire, seguire le rotte dei marinai o quelle dei grandi scrittori come te.

Dicono che alle giovani lucertole la coda poi ricresce – ma a quelle vecchie e malconce?

Ps – di Lodoli è appena uscito il romanzo Tanto poco, edizioni Einaudi.

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