sabato 21 gennaio 2023

Trilogia del pompino, ultima parte

Concludo quella che potremmo chiamare trilogia del pompino. Ho ricevuto molti commenti – alcuni di rimbrotto moralistico, ma devo dire senza mai scadere nell’insulto – per due precedenti post sull’argomento, di cui il primo era semplicemente un racconto. Tra le varie voci critiche, una di quelle che ho trovato più interessanti chiamava in causa lo scrittore Vitaliano Trevisan.

Il suo ultimo libro, pubblicato postumo da Einaudi Stile Libero con il titolo di Black Tulips, in effetti parlava, tra le altre cose, proprio di rapporti con prostitute nigeriane, rapporti a pagamento consumati dal personaggio il cui nome corrisponde a quello dell’autore. Ma per quanto sia doveroso mantenere distinti i ruoli, se anche Trevisan, come lui vuol farci credere, avesse fatto sesso a pagamento, che succede, è sfruttamento sessuale?

Io penso che questa sia una domanda mal posta, da qualche tempo ho iniziato a sospettare che l’attributo sia ridondante. Intendo: proviamo, anche solo come ipotesi interpretativa, a considerare solamente il sostantivo sfruttamento, senza l’aggettivo sessuale. Lo sfruttamento quale categoria discriminante dei comportamenti umani.

A questo punto diventa poco significativo, quasi un dettaglio, distinguere tra un corpo malpagato – non so quale sia il prezzo "congruo" per un pompino, ma di certo non dieci euro, da dividere con qualche pappone – e un malpagato lavoro, come potrebbe essere per un raccoglitore stagionale di ortaggi. Sono entrambe forme di sfruttamento. E rispetto allo sfruttamento vedo solo tre possibili atteggiamenti, da cui si diramano infinite sotto varianti. La metafora ittica le restituisce con icastico vigore:

1) Pescecane – sfrutti anche tu chi è sfruttabile, come il pescecane sfrutta la propria mole per divorare tutto ciò che si muove ed è più piccolo e indifeso di lui. Per fare un solo nome che circola in questi giorni: Matteo Messina Denaro, con quel cognome che è già un progetto di vita;

2) Salmone – provi ad aiutare gli sfruttati, gli umiliati, gli offesi. Quelli che stanno fuori dal cono di luce della storia. Li aiuti senza fini secondi e vantaggio alcuno, alla maniera di un salmone che nuota nel verso opposto alla corrente. Don Oreste Benzi, il prete che offriva sostegno alle prostitute, è un luminoso esempio della seconda categoria;

3) Sardina – ti adegui al mondo, segui i movimenti del banco. Cercando di non sfruttare ma, neppure, salvare nessuno. Sei insomma un uomo medio, che nel cortometraggio La ricotta Pasolini definiva “un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista”. E per finire anche qui un nome: il ragionier Ugo Fantozzi.

Il personaggio Trevisan mi sembra appartenere alla terza categoria. Come il personaggio Guido Hauser è una sardina, nonostante certi atteggiamenti idiosincratici e bruschi: sia suoi sia miei. Trevisan (sempre personaggio, attenzione!) andava con le prostitute. Ok, come ci va di tanto in tanto anche il personaggio Guido Hauser. Ma non mi risulta che Trevisan le picchiasse, le stuprasse o gli sfilasse dalla borsetta i pochi soldi delle marchette. Il suo era un atteggiamento molto più onesto di molti altri, quantomeno nella trasparenza, quasi candore, con cui ce lo restituisce. Chi l'ha detto, infatti, che i corpi non vanno venduti, anzi meglio affittati?

Trevisan affittava il corpo di giovani donne nigeriane, Guido Hauser, perlopiù, di slave o rumene. Ma abbiamo sempre pagato, a volte anche più del richiesto. Cercavamo insomma di essere affittuari scrupolosi, sardine che non rovinano ciò che gli viene provvisoriamente consegnato. Quindi restituito nelle medesime condizioni.

Il nostro essere uomini medi e cioè, appunto, “mostri”, consiste unicamente nell'arrestarci all’immediatezza del testo, lasciando provvisoriamente tra parentesi il contesto. Che è il luogo dove avviene lo sfruttamento vero, la tratta dei corpi da parte delle associazioni criminali. Di cui l’immediatezza percettiva rende in una certa misura complici, questo è fuori discussione. Il mondo si arresta alla misura del sensibile.

Ma quante persone, ripeto, hanno la forza e la volontà di risalire il fiume, nuotare nel verso opposto alla corrente? Quanti sono i santi laici, i rivoluzionari, i Paperinik, persone che salvano il mondo e non solo il proprio culo? E soprattutto quante sono in grado di certificare la filiera etica dei pomodori che finiscono nel loro piatto, escludendo ogni ombra di sfruttamento?

Chi non lo fosse – immagino quasi tutti – e si ostinasse in una crocifissione postuma del corpo già sottoposto ad auto supplizio di Trevisan, per rimanere nella metafora evangelica è un sepolcro imbiancato. Sguardi allenati a cogliere la pagliuzza nell'occhio altrui, ma ipermetropi rispetto alle proprie travi.

Se un merito, incontestabile, io riconosco al personaggio Trevisan, è dunque quello di una lucidità estrema sulla propria collocazione tra le cose, nei rapporti con le persone. Ed è questo elemento di consapevolezza a sottrarlo infine alla categoria ignara dell’uomo medio, della sardina. Collocandolo in una dimensione affettiva che Hegel chiamava “coscienza infelice”. E io preferisco di gran lunga le coscienze infelici come Vitaliano Trevisan alle anime immacolate che, per dirla con le parole dell’ultima affilata canzone dei Baustelle, pensano di essere contro il mondo, e invece l’hanno addosso.

Nessun commento:

Posta un commento