martedì 17 gennaio 2023

Il cuore del mondo

Il cuore del mondo, giuro, io una volta l'ho sentito battere. Di questo mondo, almeno. Altri mondi non ne conosco. Il suo pulsare non aveva il suono di sistoli e diastoli, ma di starnuti.

Ero appena stato dal dentista. Quando mi risollevo dalla poltrona del dentista – la lampada scialitica ricoperta da una pellicola trasparente, l’eco del trapano ancora nelle orecchie – avverto la confusa vitalità che segue ai funerali. L'abbiamo "messo via" si dice da queste parti. E poi tartine con cui ingozzarsi, le uova di lompo tra i denti mentre ci si scambia pettegolezzi, ma d'altronde the show must go on, così si progettano rimpatriate da rimandare al prossimo funerale. Sotto camicette scure riaffiorano i seni delle donne.

È una donna scura anche quella che vedo crescere al diminuire della distanza che ci separa. Magra. Alta. Probabilmente nigeriana. Un amico mi ha detto che da queste parti ci stanno le nigeriane. Prova, ha aggiunto.

Bizzarro posto per prostituirsi, penso. Una rotonda al crocevia di strade comunali ritte come in una foto di Luigi Ghirri (su quelle sarebbe più facile adescare i clienti) a solcare i campi poco prima di un poligono di tiro.

In estate qui cresce il granoturco, si possono scorgere i fusti recisi che ricordano mani protese di bambini sepolti. Sbucano dal suolo per chiedere aiuto o fare gli scherzi agli innamorati. Si cercano, in un labirinto di foglie, fino a che uno non trova l’altro e riceve un bacio. Ma non adesso. 

Ora la terra è ricoperta da uno strato sottile di neve, il cielo sopra dello stesso colore. Niente di strano alla metà gennaio. Seguo la rotazione di marcia della rotonda e, quando l'ho raggiunta, accosto. Abbasso il finestrino. Insieme all'aria tiepida del riscaldamento fuoriescono le note di Hotel California. La mia fidanzata mi ha regalato il CD al compimento dei quarant'anni, abbiamo festeggiato con una cenetta vegana. Lei non mangia carne perché le dispiace far soffrire gli animali, e un po' anche a me.

Si continua, come da consuetudine, con la dichiarazione della pratica richiesta, seguita da più caute informazioni sul compenso. Come i tedeschi che non entrano al ristorante se prima non leggono il menu con i prezzi dettagliati, nelle località turistiche viene esposto in una locandina accanto all'ingresso. Il tutto riassunto in due parole, tre con la preposizione.

– Quanto di bocca?

– Dieci euro.

Dieci euro?! Troppo pochi, non scherziamo... Gliene offro venti e non le sembra vero. Anche di stare un poco al caldo. Dai, monta. Imbocchiamo un viottolo in terra battuta che a breve si interrompe in uno slargo. Nulla che vi si affacci, come se fosse la piazza di un civiltà perduta o la scommessa su di una futura. In attesa di quel tempo, viene riempita con qualche oggetto di scarto: un materasso sfondato, quel che rimane di un passeggino, l'ala di un aeroplano radiocomandato che forse qui veniva fatto decollare. 

Lascio accesso il motore per non perdere temperatura. Nessuna parola o presa di confidenza tra i corpi, preliminari. Solo un po' di stimolo con la mano (le dita spuntano da guanti di lana color crema, le unghie hanno smalto cremisi) prima di infilarmi un preservativo di una marca che non ho mai sentito nominare. Io sono ipocondriaco, faccio caso a queste cose. Ma in fondo è solo un pompino, e mi rilasso.

Si china per iniziare ciò che abbiamo pattuito quando arriva il primo starnuto. Scusa, mi dice strofinandosi il naso con la manica del piumino sintetico, la tinta è un po' più chiara e sbiadita dei guanti. Ma figurati. Dopo una decina di secondi un nuovo starnuto.

– Dai, basta, non vedi che sei malata.

– No no, domani passa.

– Ti porto a casa – insisto.

– Tu pagato, io finire.

– Ma così finisci all’ospedale.

– …

Non risponde, ha già ripreso con la foga di chi giustamente considera il tempo denaro. Mentre è curva su di me osservo il collo sottile, le donne nigeriane di solito l'hanno più muscoloso. E poi è profumato. Troppo profumato. Un odore di spezie che stordisce. Qualcosa tra il sentore che si immagina in una principessa di un paese lontano e il rosolare lento dello spiedo su cui è infilzato il kebab.

Mi viene il dubbio che sia senegalese, o magari ivoriana… Dal viso si dovrebbe intuire ma mi accorgo di averne già scordato i lineamenti. Così non vale, è come se tutte le donne nere del mondo, anzi tutte le donne e basta, il femminile, mi stesse succhiando il cazzo. Non c’è proporzione, a ogni affondo mi sembra di venire divorato da una creatura primordiale e indistinta. Ma in questo modo anche i miei confini finiscono col dileguare.

Provo a restituirle un’identità (per riconquistarla a mia volta) attraverso immagini d’archivio. Dipinti famosi, attrici, fotomodelle di colore che mi eccitavano negli anni Ottanta. Oppure Joséphine Baker, sì, ecco, lei! Joséphine Baker che si dimena al Théâtre des Champs-Élysées con un casco di banane al posto della gonnellina. Poi un nuovo starnuto sopraggiunge a interrompere il mio fantasticare.

– Sicura che non vuoi che ti porti a casa?

– Quale casa?

– Beh, una, non so…

– Tu non sapere tante cose.

Questa volta solleva la testa e mi guarda. Sorride. Probabilmente ride di me, ma intanto dischiude la bocca mostrando denti da pubblicità di un dentifricio. La posa che cercavo!

Metto a fuoco il suo volto, predispongo la pellicola della memoria e clic. Ora ha smesso di essere tutte le donne. È una donna sola, anzi una ragazza: quella ragazza lì e non un'altra che le somigli. Vent’anni, ventidue al massimo. E un raffreddore colossale che, ha ragione lei, tra pochi giorni passerà, come tutto quanto. Qualche nuovo starnuto e abbiamo finito, la riporto alla sua rotonda.

– Sicura sicura...?

– Tu simpaticone. Ho detto giusto?

– Non so.

– Hai fidanzata?

– Sì, non mangia carne.

– A te piace carne?

– Preferisco il pesce.

– Italiani... – e di nuovo ride.

– Allora ciao.

– Ciao.

Quando sono ripartito le mani dei bambini erano ancora al loro posto, conficcate a reggere il cuore del mondo. Una Volkswagen Passat proviene sulla corsia opposta. Un'auto che acquistano i rappresentanti di commercio, o chi ha molti figli e un cane da fare balzare nel portellone. Nello specchietto retrovisore vedo accendersi la freccia, quindi la lucina rossa degli stop che precede la negoziazione. L'ultima immagine che conservo sono le lunghe gambe nere di di... Ho dimenticato di chiederle come si chiama. Ora è di nuovo tutte le donne.

Tutte le donne salgono sulla Passat. Poi un Kleenex vola dal finestrino, plana lentamente sul ciglio della strada posandosi accanto a un sacchetto dell'Esselunga. È pieno di preservativi di una marca che non ho mai sentito nominare. All'interno di uno, uno dei tanti, non fa molta differenza, devono esserci anche i miei spermatozoi. Negli altri il seme di tutti i clienti della giornata. Pesci rossi penso, pesci rossi in un acquario. Li unisce l'illusione di un ovulo da fecondare. Ancora si dibattono, ostinati, nella ricerca.

Il mio amico, quello che mi ha invitato a provare con le nigeriane, dice che i clienti delle prostitute tra loro si chiamano colleghi.

1 commento:

  1. E' vero, hai fatto discutere con questo post.. da parte mia ho trovato soprattutto poesia, poi ho pensato che l'abbia voluta sottolineare apposta, in un contesto più crudo e brutalmente rozzo.
    "In estate qui cresce il granoturco, si possono scorgere i fusti recisi che ricordano mani protese di bambini sepolti. Sbucano dal suolo per chiedere aiuto o fare gli scherzi agli innamorati. Si cercano, in un labirinto di foglie, fino a che uno non trova l’altro e riceve un bacio. Ma non adesso". A me bastava questo periodo per trasalire. Ma il "non adesso" finale serviva a segnalare che voleva essere altro il post, voleva scorticare atri sentimenti, altri stupori, e ci è riuscito, pur lasciando sul fondo uno strato di sensibilità che non si è sporcato neanche un po', anzi, ha riflesso altra poesia, come la creatura nera primordiale a fianco di quel che rimane di un passeggino.

    RispondiElimina