venerdì 6 gennaio 2023

Gianluca Vialli, o sulla bellezza del limite

Gianluca Vialli è per lungo tempo stato il mio calciatore preferito. Più che le prodezze in campo – da ex giocatore di basket non sono in grado di giudicarle, ma quando il pallone va in rete anche io lo capisco, e con Vialli accadeva spesso –, di lui amavo il tono ipnotico della voce, il più delle volte accompagnato da un sorriso.

Mi ricordava un Buddha laico, attraverso soave cantilena induceva uno stato di rilassamento, tanto più eccentrico quando veniva invitato a parlare nelle trasmissioni sportive, dove scorrono fiumi di adrenalina navigati da acciughe travestite da balene. Come se a vincere, in questo caso, non fosse chi fa più gol, ma chi infrange un limite (sonoro, estetico, di buon gusto) che viene posto solo per poterlo scavallare, alla maniera dell’asticella nel salto in alto.

Si potrebbe obiettare che il salto in alto è la metafora agonistica per eccellenza: trasumanare, andare oltre il limite fisico dell’umano. Eppure ci sono anche altri sport, ad esempio i tuffi, dove a essere celebrato è proprio il limite costituito dalla legge di gravità, la cui assenza farebbe del tuffatore un angelo – il tuffo perfetto ha la forma soffice del volo, non è quello in cui vengono evitati gli spruzzi nell’impatto con l’acqua.

Ma la perfezione è una qualità divina, per gli uomini ma in fondo anche per gli animali, per chi respira e suda tanto più in basso delle nubi che circondano la vetta dell'Olimpo, e c'è virtù solo nell'imperfezione, che del limite rappresenta il riflesso nella prassi. Per questo quando negato, come in Icaro che ambisce ai vertici dell'illimitato, viene punito come hybris

Mi ricorderò allora di Vialli come un sublime tuffatore, prima ancora che di un campione di calcio. Me ne ricorderò con il rimpianto acuito da un'età che quasi coincideva; dunque, con lui, se ne va anche un pezzo di giovinezza, il PX bianco e la gommina sui cappelli consegnati troppo presto al cuscino, un altro dettaglio a fare della sua morte un sentimento comune. Quello appunto del limite, la bellezza che ci rende uomini.

Lui non ha mai cercato di trascenderlo, il suo limite, o di camuffarlo sotto un toupet o una coltre di tatuaggi, la messa in scena guascona di chi si sente unto dal Capitale; per gli amanti del genere ci sono altri fuoriclasse. Perciò rispettava anche il limite degli altri, la loro radice umana a risucchiare verso l'abisso. Per l'ennesima volta Vialli l'ha raggiunto senza sollevare spruzzi. Ma se sostava ancora un po', le punte unite dei piedi sull'orlo del trampolino... nessuno avrebbe commentato che the show must go on.

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