domenica 8 gennaio 2023

Politically correct: un nuovo gioco, o un gioco vecchio a carte coperte?

 

Correttezza politica. Traduzione letterale dall’inglese politically correctness, o, nella sua forma aggettivata e più diffusa, politically correct. In italiano l’espressione assume però una sfumatura un po’ burocratica e severa. Forse sarebbe più efficace chiamarlo rispetto nominale, nei casi estremi siamo al limite del sussiego. Quello nei confronti di ogni forma di diversità, che la lingua media – ossia la cultura dominante – aveva assimilato in forme denigratorie. Ogni parola è infatti già un’interpretazione del mondo.

I meriti del politically correct sono dunque incontestabili: se manchi di rispetto ti impongo quella buona educazione di cui difetti, una ortopedia verbale (si potrà dire ortolessia...?) che ricorda i ragazzini di buona famiglia con due libroni come termometri sotto le ascelle, a placare i moti del corpo durante i pasti. Dopo quel trattamento da belle statuine impareranno a stare seduti in modo composto a tavola.

Ma il farmaco, come suggerisce l’etimologia, può tramutarsi in veleno: chi decide la forma della compostezza, qual è l'esatto punto in cui un corpo si scompone e diventa impresentabile, addirittura offensivo? O, più in generale, cosa è buono e cosa è cattivo, quali sono i confini pubblici del giusto, il loro status civile?

Risposta: la consuetudine. Quella stessa consuetudine che aveva portato all’irrispettosità nei confronti di talune minoranze (i gay, ad esempio) o di ampie compagini umane scivolate all’ombra della storia (i neri), anche in un nuovo formulario rivisto e politicamente corretto può così rivelarsi velenosa. Un esempio?

Pensiamo a un termine considerato sconveniente, e cioè di nuovo irrispettoso: vecchio. Se l'impiegato delle Poste si rivolgesse a un cliente anziano dandogli del vecchio ("Scusi vecchio, può darmi un documento di identità.") verrebbe probabilmente e giustamente ripreso dai superiori, se non anche dalle altre persone in coda: "Ma come si permette, villanzone che non è altro!" 

Questo perché la parola vecchio, nella nostra società, contiene tutta una serie di attributi impliciti, perlopiù negativi quando associati a una persona: vecchio/brutto; vecchio/scemo; vecchio/scoreggione ecc. Non si possono dire, ma ci sono. Se però la medesima situazione si fosse presentata nella Cina di anche solo cinquant'anni fa, quella che per noi è un’espressione ignobile avrebbe probabilmente risuonato come complimento. L'implicito di vecchio sarebbe infatti stato in quel caso differente. Saggio, ad esempio.

Ciò che è stata corretta è dunque la circolazione del termine, non il suo sottofondo simbolico che, prendendo a prestito il linguaggio della psicanalisi, continua ad agire in forma di rimosso. Per una rigenerazione autentica è necessario convertire il significato, e cioè operare un cambiamento percettivo; nella fattispecie, un cambiamento culturale e non solo un’omissione linguistica (la vecchiaia è bella; quella vecchia che passa accompagnata dalla badante ucraina è una bomba!; buongiorno signora, oggi la trovo più vecchia del solito).

Se ne ricava che ogni modifica del lessico, anche piccola, è un po' maleducata, prima di diventare una nuova fondazione dello sguardo; i vocabolari seguono in un secondo tempo questa conversione prospettica. Non a caso la suprema cafoneria viene chiamata rivoluzione, che per definizione non è un pranzo di gala. E si torna da capo con i libroni sotto le ascelle.

Dunque benissimo la buona educazione, la tutela della sensibilità delle minoranze, dei deboli, dei fragili. Ma ricordando che anche le intenzioni verbali più virtuose celano un'interpretazione del mondo che non è mai innocente, e a volte contiene una perversione occulta peggiore della bontà esibita.

In altre parole, chi dà a un altro del frocio scopre da subito le carte del suo piccolo meschino gioco; ma non è detto che chi tace l'insulto non possieda le medesime carte, che spilla con l'occhietto impenetrabile dei giocatori di poker.

La soluzione sarebbe pensare sempre a ciò che diciamo, per stabilire quando la volgarità, l'offesa a una convenzione paludata, insomma e di nuovo la scorrettezza politica è funzionale al cambiamento che dischiude a nuove e più accoglienti possibilità del vivere assieme, e quando invece si rivela reazionaria, come nel caso di Vittorio Feltri che scrive di Michela Murgia che "è brutta come l'Orco". 

Soluzione purtroppo non sempre praticabile, già che sono le parole, il più delle volte, a pensare noi.

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