lunedì 16 gennaio 2023

Antropologia pop

In una recente canzone di Shakira dedicata al “fedifrago” Piqué (il termine è quello riportato dalla maggioranza dei media, io ne prendo semplicemente atto, sciatteria linguistica compresa, la mia conoscenza della vicenda è proporzionale all'interesse), in questa canzone che non ho ascoltato per pigro pregiudizio, dicevo, Shakira oppone una Ferrari a una Renault Twingo, e un Rolex a un orologio Casio. Se ne dovrebbe ricavare che Shakira è la Ferrari e Twingo la nuova compagna di Piqué, Shakira il Rolex e di nuovo l’altra, la rubamariti, la terza incomoda, il Casio.

Sul fatto che l’essere abbandonati, soprattutto per una donna, una donna bella e famosa, è quantomeno una seccatura (una ferita narcisistica direbbe uno psicanalista) niente da dire; in fondo già Shakespeare ammoniva che l’inferno non conosce l’ira di una donna respinta. E poi anche gli uomini non sono nuovi al genere revenge song. Sornione, Guccini, alludeva soltanto: “vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire, se non hai capito già…” Mentre Finardi ci andava giù pesante: “Piccola stupida stai via, piccola stupida sei via, non toccare mai più la vita mia, stupida piccola mia.”

L’elemento di novità sta dunque nella doppia contrapposizione tra Ferrari\Twingo e Rolex\Casio. Una vera e proprio teoria del valore in forma condensata, un'assiologia della tarda modernità. Non so se Shakira ne fosse a conoscenza quando ha scritto il testo – ammesso che l’abbia scritto lei, sono poco informato anche su questo – ma è proprio un orologio Casio quello che si intravede al polso di Papa Francesco, un modello in vendita su Amazon a 24,50 euro. Mentre in un’altra saga mediatica gli ex coniugi Totti si contendono dei preziosi Rolex.

Dobbiamo ricavarne che se i ricchi indossano Rolex e guidano Ferrari, i buoni girano in Twingo e, per vedere di non fare tardi alla messa, buttano un occhio al loro Casio?

Macché, non facciamo del moralismo, a ciascuno in base a gusti e portafogli, nessuna polemica sulla base di una presunzione morale che non mi sfiora. Ma è un fatto che la canzone restituisce con pregevole esattezza un fenomeno degli ultimi decenni, potremmo così provare a riassumerlo: non sono le risorse economiche a venire distribuite equamente, questo l'avevamo compreso, ma le rappresentazioni ad esse connesse sì, sono trasversali a ogni condizione di esistenza. I poveri hanno smesso di avere una propria simbolica, con forse qualche residua traccia nell’epica criminale dei trapper o, in Italia, in quella dolceamara dei neomelodici napoletani.

Il fenomeno è recente, abbiamo detto, ma parte da lontano; fine anni Sessanta secondo Pasolini, che lo chiamava nuovo fascismo. Un termine magari un po’ altisonante per indicare una vera e propria mutazione antropologica – sono sempre parole sue –, in cui le culture genuinamente popolari, contadine e proletarie, venivano incorporate dall’immaginario borghese, a proiettarle verso i suoi miti di consumo. Rolex e Ferrari, come dirlo meglio.

D’altronde, i mutamenti sociali hanno sempre trovato nella canzone popolare un correlativo icastico, a intercettare sentimenti e umori diffusi – e Shakira lo fa benissimo, almeno a giudicare dal successo che ottiene. Non è nuova neppure la metafora automobilistica. In anni ancora recenti era la Topolino Amaranto su cui Paolo Conte dichiarava di stare un incanto; o, in alternativa, si poteva andare a prendere la propria bella a bordo di una torpedo blu, come faceva Giorgio Gaber nell’omonima canzone. Ma il suo riferimento al bolide sportivo era ironico, con un evidente sotto testo: è tutta pappa di sogno, non vedete che vi stanno fregando, vendendo l'isola che non c'è!

Ora invece la fregatura è andata a segno, c'è chi, cartina geografica alla mano, ti mostra un puntino nell'oceano e dice è qui, ancora poche ore di navigazione e siamo arrivati. Si è insomma passati da un sentimento dal carattere realistico-identificativo (mi identifico in ciò che obiettivamente mi somiglia) a un altro di segno ribaltato, ossia irrealistico-proiettivo: mi vedo riflesso nello specchio di ciò che vorrei essere, non di ciò che sono. A quel punto, dal momento che illudersi non costa nulla, perché accontentarmi del Casio da due soldi del Papa, quando potrei avere tutti i Rolex di Totti. Il verbo condizionale regge qualsiasi iperbole del desiderio.

E poi la Twingo, dai, peggio di quel catorcio ha saputo fare solo la Fiat Duna… No no, niente Twingo, io mi sento come Shakira pensa la ragazza che ascolta la canzone, mi sento una tipa da Ferrari. Prima o poi vinco la lotteria e me ne compro una tutta rossa; o magari gialla, adesso ci penso e poi ve lo faccio sapere su Instagram. E, già che ci sono, mi fidanzo con un calciatore. Sarò mica la sfigata che sta a casa stirare le camicie di un impiegato alle Poste, come nelle canzoni di Umberto Tozzi. Canzoni che sembrano scritte un milione di anni fa. Quando il pop era ancora una fotocopia del mondo, e non il suo Photoshop.

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