sabato 21 gennaio 2023

Perdere l'amore? No, la faccia

Ieri ho pubblicato su Facebook un post. Era un racconto. Parlava di un pompino. O più precisamente di un pompino con una prostituta nigeriana, come frattale di un presente più banale che criminale.

Il male è infatti nelle cose in sé, il protagonista del racconto si ostina in una bontà patetica quando è coinvolto in un rapporto asimmetrico con la ragazza, che mentre gli succhia il cazzo continua a starnutire. Una cosa che lo intenerisce, diventa materno, sollecito di cure. Ma come un moderno Ninetto Davoli non è sfiorato dalla coscienza del contesto, l’ombra scura che si annida dietro questo suo piccolo inoffensivo piacere.

Le sue premure divengono così grottesche, a partire dal pagamento raddoppiato rispetto alla richiesta di dieci euro. Ci vede anzi della bellezza in questa decadenza, della poesia. E poesia e bellezza, nella decadenza, bisogna riconoscere che ci sono per davvero. Solo che lui le sceglie, la ragazza no.

Lui, nel racconto, prende il nome di io. Quindi sono uno stronzo?

Domanda mal posta. Il personaggio di ogni racconto è sempre e solo il personaggio, poco importa che nella mia vita abbia effettivamente avuto rapporti con delle prostitute. Importa invece molto il fatto che quasi tutti quelli che hanno letto il racconto hanno creduto nella coincidenza.

Ora, per qualcuno, potrebbe rappresentare un fallimento: la confusione tra autore e personaggio. Anche perché l'autore, e cioè io, non fatemi parlare in terza persona, io possiedo un'intenzione divaricata al personaggio. Ciò che intendo mostrare è l'estetizzazione come argine al conflitto. Oltre alla tenerezza umana, la complicità, che possono nascere ai margini della morale pubblica.

Tutto ciò non rappresenta però una praticabile alternativa, e così il conflitto resta tale. Il protagonista se ne torna a casa dalla sua fidanzata vegana ascoltando il CD che lei gli ha regalato (ah, per inciso: mai avuto una fidanzata vegana, e ora neppure una fidanzata) e la prostituta nigeriana continua ad accumulare preservativi usati nel suo sacchetto dell'Esselunga.

Eppure è proprio la confusione  essere stato creduto nella mia piccola menzogna – a farmi pensare che quel racconto sia andato a segno, compreso il disprezzo che così mi sono guadagnato da parte di molte donne. C'è chi la chiama sospensione dell'incredulità, in narrativa è un valore. Alla fine aveva ragione Saviano, quando suggeriva che la prima domanda che uno scrittore dovrebbe farsi è cosa sono disposto a perdere scrivendo.

La mia risposta è: la faccia. Che su Facebook possiede l'unità di misura dei like. Più sei buono, virtuoso, amante degli animali come la fidanzata del protagonista, più nel regime della banalità istituzionalizzata guadagni consenso. E infatti il racconto ne ha raccolto pochino.

Ma attenzione: il valore letterario c'entra poco, non intendo fare – non è mio compito, non lo è di ogni scrittore  una apologia del mio testo. Forse, probabilmente, che ne so, era un racconto semplicemente brutto. Ma non è questo elemento a venire innalzato o crocefisso sui social.

Il proposito per il nuovo anno sarà dunque: fare sempre più schifo, perdere definitivamente la faccia. O, in forma più radicale, sparire dall'orizzonte percettivo dei più. Il mio masochismo trova in questo mezzo un prezioso complice, la finzione si realizza. E così sia.

Nessun commento:

Posta un commento