martedì 6 agosto 2019

Lugano addio, o sul godimento immaginario


Lo scrittore Aldo Nove ha pubblicato di recente un post che fa rimpiangere cosa avrebbe potuto essere Facebook, se solo non avesse imboccato la rotta del Titanic. Sulla sua bacheca ricordava come i canti anarchici, la cui eco più remota possiamo cogliere dalla metà del diciannovesimo secolo, si sono estinti dopo un centinaio di anni, spariti da un giorno all'altro come le giacche con le spalline imbottite con cui negli anni ottanta si entrava al Plastic.
È impressionante rileggere ora i testi di quelle canzoni, in cui si esprime, anzi meglio si urla – la scelta del verbo appartiene sempre ad Aldo Nove –  la propria diversità economica, o in termini meno eufemistici la povertà in cui ci si dibatteva con orgoglio, essendo vissuta quale coscienza di classe. La povertà ha però in seguito cambiato connotazione pubblica, assumendo un alone quasi pornografico: "il povero non è povero, è sfigato. Deve fingersi entusiasta Dio sa di cosa, mascherarsi da pupazzo felice e recitare il ruolo di chi è nel sistema. Surreali colloqui di lavoro in cui, con la cravatta da colloquio, devi fingerti appassionato a lavori del cazzo senza mai accennare al fatto che c'è chi lavora per mangiare (ma che stranezza)."
Una fotografia lucidissima a cui non c'è molto da aggiungere. Se non, magari, provare a desumere anche il lato in ombra, che non appare nello scatto ma ad esso si compenetra come la notte con il giorno. Personalmente, lo ricavo dalla riflessione del filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Žižek, che grossomodo in coincidenza della data indicata dallo scrittore di Viggiù (poco dopo la seconda metà del Novecento) fa risalire una metamorfosi nella formazione delle identità collettive, fino ad arrivare allo stravolgimento attuale. Quando Ugo Tognazzi aspettava Vincenzina davanti la fabbrica, l'identità era ancora effetto di un riconoscimento tra simili, rafforzata da elementi economici e territoriali e religiosi, se non da una vera e propria ferita che stenta a cicatrizzare. In ogni caso, la traccia iscritta da un aratro nelle zolle del reale.
Pensiamo ad esempio agli ebrei: io sono un ebreo perché quella è la mia religione, ma soprattutto perché al mio popolo (realismo tragico) è stata negata una terra, da cui le sofferenze successive che conducono all'apice drammatico dell'Olocausto, vero e proprio imprintig comunitario. Oppure io sono un pastore perché pascolo le pecore, e, come in uno specchio, mi rifletto nella lenta transumanza condotta dagli altri pastori.
Fin qui nulla di strano, mi sembra. E invece no continua Žižek, perché l'identità è ora divenuta irrealistica, facendo ampio uso della dinamica psichica della proiezione, in particolare quella che fa riferimento a un immaginario ludico quanto del tutto improbabile. Ed è così che un precario sottopagato non pensa più a sé stesso osservando la condizione degli altri precari, ma si vede come nella canzone di Morandi, uno su mille ce la fa, si vede con in mano il biglietto vincente della lotteria, e subito dopo al concessionario BMW.
Chi sono quei pezzenti attorno a me, si chiede dunque perplesso. Dicono di fare il mio stesso lavoro – ammesso e non concesso che domani ci sia ancora un lavoro –, ma mica la vinceranno la lotteria, loro. Lui invece sì: è già ricco, ma su una linea temporale occulta, asimmetrica al piano manifesto delle cose. Per questo è il mondo a non capirlo, non lui a non capire il mondo. 
Si comprende come in un Paese con sessanta milioni di abitanti, di cui buona parte convinti di avere in tasca l'unico biglietto vincente della lotteria, non solo è difficile la formazione del pronome noi, ma anche l'io assume contorni vagamente sfumati e teatrali. A tutto ciò, utilizzando un termine preso dallo scaffale lacaniano, Žižek dà il nome di jouissance, ossia godimento. In altre parole, il godimento è diventato l'unico elemento a offrire un'incerta base all'identità personale, un godimento bada bene immaginario!
Come nel sabato del villaggio, il godimento viene così posticipato sempre, è il piacere che verrà, il piacere di Godot, a proposito qualcuno l'ha per caso visto in giro, mandiamogli un WhatsApp, forse ritarda perché ha trovato traffico in tangenziale? Se ne ricava che il presente deve appartenere a qualcun altro, noi, in quell'adesso che si allarga come un crepaccio sorridente, abbiamo smesso di essere e allo stesso tempo non siamo ancora. Puff...



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