domenica 25 agosto 2019

Deforestazione, o sulle linee invisibili della storia


È affascinante assistere al lavoro degli storici. Io li guardo con gli occhi ammirati ma anche un poco impiccioni – vorrei mettere il becco ogni volta, dire la mia – di un anziano di fronte a un cantiere stradale. In particolare, la capacità che hanno gli storici di individuare delle linee invisibili: sono lì, a posteriori (dopo che gli storici le hanno ripassate col pennello) ci sembrano evidenti, come cavolo ho fatto a non vederle?! Ma mentre le persone vivono, amano, urlano quando il dentista sfiora il premolare, il mondo si presenta con l'illusoria continuità di sempre.
Per decine di anni, a volte anche centinaia, tutto scorre composto, non necessariamente placido e però senza troppi scossoni, i giorni sono uguali ai giorni. Ma poi zac, lo storico traccia una linea, o forse la porta solamente in superficie, la spolvera come si fa con i campi da tennis in terra rossa battuta, e niente è più uguale a prima. Ci sono eventi che fanno rumore, clamorosi cambi di scena politica, oppure battaglie che rendono il mare color del vino, come quella di Lepanto. Ma, più spesso, si tratta di fatterelli tanto piccoli che anche gli storici faticano a riconoscere la linea sottostante, come due giovani californiani impegnati nell’assemblare componenti elettroniche in un garage, dando poi al risultato il nome di un frutto.
A loro, agli storici, tocca dunque solo il lavoro finale, più simile a quello di Amerigo Vespucci che non a quello di Colombo. Ed è così solo a mappa ultimata, tutte le sigle e i confini al loro posto, che anche noi possiamo accorgerci che il passato non era una linea retta o, come alcuni ancora insistono a dire, una freccia, ma il manto di una zebra; con l'unica differenza che la distanza tra le fasce è diseguale e alcune sono più marcate di altre, effettive dogane da cui si entra in una terra nuova e straniera. Se immagino un uomo del futuro – naturalmente imbeccato da uno storico – che guarda alla nostra epoca, non avrebbe che l'imbarazzo della scelta: elezioni di presidenti col parrucchino biondo, smartphone sempre più sottili e potenti, soccorsi negati ai naufraghi e offerti a bagnanti che fanno il morto, automobili a contendersi la presa di corrente con il fohn per sfrecciare con la discrezione di un ladro...
Ma se dovessi scommettere sul momento esatto in cui il mondo verrà riconosciuto come nuovo, il Nuovo Mondo, non mi affiderei alle distopie di Aldous
Huxley, ed è anzi forse già qui, vicinissimo, come si dice a portata di mano, per quanto solo i più fortunati possono allungare la propria e toccarlo, mentre l'accesso è libero per le donne, come nelle discoteche degli anni ottanta. È infatti cosa loro, affar loro ma un poco anche nostro, che abbiamo iniziato a familiarizzare con la novità attraverso i primi film porno, si passò dagli ingombranti Super 8 a più snelle videocassette in VHS nascoste all'occhio vigile dei genitori (bastava metterci un'etichetta con la scritta Blues Brothers), divenendo in breve la prassi. Già, sto parlando della fica depilata.
Da quando a una donna o, forse, sarebbe più giusto dire a una femmina, vai tu a sapere chi fosse, è venuta questa bizzarra e geniale idea (un rasoio e un po' di schiuma, e il gioco è fatto) davvero siamo entrati nel futuro. Un tempo radicalmente nuovo in cui sbirciare tra le gambe delle nostre amanti e compagne, alle figlie preferiamo non pensare, distogliere lo sguardo come fa la commessa quando si digita il PIN, e non trovare più nulla, una pallida distesa di nulla che fa tutt'uno con la pancia e le cosce. 
Il futuro, sì. Che coincide con la caduta di ogni differenza, demarcazione cespugliosa, il sesso come altro, a prendere la forma vagamente infantile e incestuosa del medesimo: le fiche tutte uguali, la carne che si fa finalmente carne, eucarestia. Un futuro che non possiede le divise azzurre e le orecchie appuntite di Star Treck, ma è ugualmente standardizzato e uniforme. Eppure, almeno per me, sempre tiepido e accogliente.

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