sabato 3 agosto 2019

La verità e la sua opinabile ombra, o sulla democrazia spericolata


Non è difficile comprendere la natura violenta e intimamente vigliacca di ogni dittatura. Anche senza avere troppa confidenza con i libri di storia, basta imbattersi, magari facendo zapping a tarda ora, in uno di quei film (sorvoliamo sul valore cosiddetto artistico) dove viene inquadrato lo stivale nero e lustro di un militare nazista, e sotto la suola gli occhiali di metallo dalla montatura circolare che appartengono a un ebreo, un “frocio”, un intellettuale, insomma a una delle infinite differenze umane che per le dittature vengono considerate infrazioni, colpe.
L’essenza della dittatura sta tutta nell'immagine di quel brutto film, oltre che nell'immediatamente successiva in cui le lenti, sollevato lo stivalaccio con un mezzo ghigno del tedesco, sono mostrate nel dettaglio attraverso uno zoom avanti, a sottolineare la frantumazione in tanti piccoli pezzi taglienti. Più difficile è invece prendere consapevolezza delle magagne della democrazia, che sono spesso l’altra faccia, sorridente, cordiale, della medesima medaglia.
Si dovrebbe infatti far retrocedere l’incipit del nostro film alla mano che scrive qualcosa su un foglietto di carta prestampato, quindi lo ripiega con cura, esce da una specie di camerino simile a quello in cui ci si prova i vestiti (e si spera che le giovani donne dimentichino socchiuso), passa il foglietto a un uomo in giacca e cravatta che a sua volta lo infila in una grande cassetta di legno, dove si unisce a centinaia di altri simili foglietti. Verrà ripescato solo il giorno dopo, nuovamente aperto con solenne e compunta serietà, anche un pizzico di teatro, e sarà infine possibile leggere la scritta ad alta voce: Hitler.
Una sequenza più lunga e perciò meno riconoscibile degli occhiali rotti, ma non meno frequente di quel che si potrebbe oggi pensare, dimenticando forse che il Partito Nazionale Socialista dei Lavoratori, col 37,27% dei voti o meglio delle persone, delle mani che hanno scritto il nome di Hitler sulla scheda elettorale, il 31 luglio del 1932 diventò il primo partito della prima nazione europea, non solo per numero di abitanti ma anche per efficienza e cultura. Il tutto nel pieno rispetto dello spirito e delle forme della democrazia rappresentativa.
Un rischio che gli antichi greci avevano compreso con largo anticipo, assegnandogli parole esatte: doxa, ossia opinione, in contrapposizione ad aletheia, la verità che si toglie il velo e si mostra senza infingimenti. La democrazia sarebbe dunque solo il riflesso dell’opinione, che per quanto diffusa non potrà mai coincidere con la verità, nel nostro caso costituita dal buon governo.
A questi pensieri io sono però arrivato attraverso un’altra via, diciamo laterale. Era il 1983, mi trovavo in collegio a Celana, lo stesso collegio bergamasco frequentato da Papa Giovanni e dove ora viene girato un reality show, mi trovavo al buio su una piccola scomodissima sedia di legno mentre don Gino sceglieva il programma da seguire, smanettando sul telecomando di un vecchio televisore Grundig. Questa sera, ragazzi, si guarda il Festival di Sanremo!
I gusti dei collegiali non venivano minimamente presi in considerazione – fosse stato per noi, si sarebbe guardato allo sfinimento Rocky I, II e III, il IV non era ancora stato girato –, e si occupava così la grande sala comune con lo stesso entusiasmo di vitelli nella stalla, in una penombra trapuntata dalle sagome minacciose degli animali imbalsamati. Quanto le palpebre si stavano già abbassando, ebbi però un soprassalto. E chi è questo qui?!
I capelli erano lunghi e un poco stopposi, già leggermente radi, gli occhietti azzurri come la camicia di dubbio gusto che indossava, mentre intonava (si fa per dire) le prima note con inconfondibile accento romagnolo. Vasco Rossi, sì. E il titolo della canzone era Vita spericolata. Questa vince sicuro, ricordo che pensai. Ma al momento della proclamazione il primo posto andò a Tiziana Rivale con Sarà quel che sarà, al secondo Donatella Milani, Volevo dirti, al terzo Dori Ghezzi… Ma quando arriva Vasco Rossi?
Beh, era rotolato al penultimo posto, dopo di lui veniva solo Pupo con Cieli azzuri. Eppure era democrazia anche questa, c’era stato un voto, uno scrutinio immagino regolare, che nelle sere precedenti già aveva eliminato Amadeo Minghi con 1950, una piccola gemma melodica che resterà nella storia della canzone italiana. Clamorosi errori di valutazione, insomma. Il cattivo gusto, in questo caso e per fortuna solo musicale, come unità di misura incerta.
Quando vedo i sondaggi politici che indicano Salvini al 38% (quasi la stessa percentuale di Hitler nel 1932…) io non penso dunque alle grandi vicende storiche, all’incendio del Reichstag, il bombardamento di Guernica, ma a un lontano Sanremo e a i gufi impagliati di don Gino, che sembravano sapere e sorridere di noi. Ma dal momento che la storia, a differenza di Paganini, ama offrire il bis, concludo che un popolo che ha incoronato Tiziana Rivale e cacciato Vita spericolata al penultimo posto, davvero in futuro potrebbe eleggere qualsiasi stronzo…


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