sabato 10 agosto 2019

Facebook again, un polittico

Prima tela

"È inutile che ti affanni, tanto potrà provare interesse e affetto per te, come per chiunque altro, una manciata di persone, al massimo una manciata..." 
A volte mi torna in mente questa frase che mi disse oltre vent'anni fa una psicanalista, in un'era geologica in cui ancora non esisteva Facebook. Peccato, perché non ci avrei messo tutto questo tempo a comprenderla, quando su Facebook mi appare il sotto testo a ogni intervento, che sia un vagito incorniciato dal pronome io o il tentativo, cocciuto quanto ingenuo, di articolare un pensiero critico.
In ogni caso, una grande lezione di vita, senza neppure il bisogno di pagare uno strizza cervelli: l'ascolto, l'attenzione e in casi rarissimi anche il barlume di un sentimento, sui social network provengono sempre da una manciata di persone. Nel mio caso erano, grossomodo, una quindicina quando avevo poco più di cento contatti, e sono una quindicina ora, con il contatore che segna 1853.
Cambiano nel frattempo i nomi, i volti, forse anche l'odore che non avverto, ma rimane il sigillo di quella cifra: quindici, come il gioco del quindici, un rompicapo che non sono mai riuscito a risolvere. E così il mistero per cui uno sconosciuto, nonostante o grazie a quel che scrivo, ha attenzione per me, mentre la maggioranza se ne fa giustamente un baffo, e come nella canzone di Lou Reed continua a battere ostinatamente il proprio tamburo. 
Un'esperienza che immagino diffusa, per quanto con numeri mutevoli e fino ad arrivare alle iperboli dei cosiddetti influencer, ma che, prima o poi, da qualche parte trova una dogana abbassata, un limite, su cui si infrange ogni ardore espressivo. Da qui l'ombra minacciosa del fallimento, del manca qualcosa, qualcuno, all'appello della maestra. O non sarà magari il mio quel banco vuoto là in fondo...? 
Le cose potrebbero però stare in altro modo, mi sono detto di recente. Non sarei insomma passato dal dieci all'uno per cento di gradimento, così come attestato dai like, ma piuttosto rimasto all'interno della manciata, manciata di mani, che mi sorregge anche se ogni volta cambia forma e provenienza, a evitare il tonfo verso un abisso che non è forse il male maggiore... 
Ringrazio dunque quelle mani, quegli occhi, e quell'affettuosa quindicina di lettori. Se cercassi di scrivere in modo diverso per aumentare i frutti nel mio paniere, sarebbe come indossare la giacca di Adinolfi, e non riuscirei a riempirla nemmeno con una dieta di sole fettuccine. Quindici è invece la mia taglia: una extra small che veste slim fit, ma è tiepida e accogliente.

Seconda tela

L'algoritmo di Facebook mi suggerisce di contattare solo giovani donne, perlopiù carine. Ho un elenco pendente di oltre trecento fanciulle, una più bella dell'altra, una più desiderosa dell'altra di diventare mia "amica". Le richieste che ricevo quotidianamente, anche sei o sette al giorno, come per altro capita a chiunque abbia superato i mille contatti (è come con il denaro: più ne hai e più te arriva), le richieste provengono però da uomini adulti miei coetanei, e cioè come si dice 'di mezza età'. Immagino siano carini anche quelli, non voglio insinuare, anche se non possiedo parametri di valutazione obiettivi. Ma il dubbio più incalzante è un altro: si diceva che la tecnologia si sarebbe sostituita all'umano, sapendo di noi più di quanto noi stessi sappiamo. E cosa sono io per la tecnologia? Una specie di playboy seriale, un po' fanè ma ancora arzillo. Peccato che, per la realtà statistica, io sia invece un ferro vecchio...

Terza tela


Trovo questo post, pubblicato poco più di un'ora fa da un mio contatto, l'equivalente di un trattato di sociologia. Ma in tre sole righe. E una domanda, sotto forma di sondaggio: "ascelle non depilate? Io vorrei non vorrei ma. Ditemi la vostra."
Vostra a cui fino adesso hanno dato corso, rispondendo con slancio subitaneo, ottantatre persone, nostri simili, fratelli. Ottantatre!
Se l'epoca attuale ha uno Zeitgeist, io lo immagino accucciato dentro a quella domanda, come un bambino che non vuol farsi vedere ma spera di essere scoperto. E in quelle risposte che saranno certamente scanzonate, ironiche, ammiccanti, tanto da tirare il tempo con cui concludere senza ingombro di pensiero la giornata.
Già domani non saranno infatti più nulla, e bisognerà trovare una nuova domanda, un nuovo sondaggio: "cazzo circonciso? Io vorrei non vorrei ma. Ditemi la vostra."

Quarta tela

Non sapevo di essere iscritto a un gruppo che si chiama "Leggo letteratura contemporanea". In genere sto alla larga dai gruppi, tutti i gruppi ma in specie quelli che accetterebbero tra gli iscritti uno come me, per dirla con le parole di Groucho Marx.
Del gruppo che ha avuto la malaugurata sorte di contemplarmi, ritrovo, sulla mia bacheca Facebook, un messaggio appartenente a uno dei membri, deduco dal consenso bulgaro essere particolarmente seguito. Al contenuto esatto non posso risalire (è un gruppo chiuso e ora ne sono uscito) ma corrispondeva a qualcosa del genere: "È morto Camilleri, lo skrivo xke so ke piaceva a un tot".
A me questo messaggio ha fatto sorridere, e se pure è una cosa che faccio raramente - rispondere ai post altrui - ho pigiato il tasto reply e digitato: "Ma è morto Camilleri o Kmllri?"
Insomma, una frase scherzosa ma innocua, nella quale si prendeva bonariamente in giro la difussione delle contrazioni nominali, che mi appariva a maggior ragione incongrua in un gruppo che fa della letteratura il proprio oggetto.
E però che succede, cominciano a piovere insulti, mi danno del povero idiota, con corollario di faccine disgustate e pollicioni blu per chi mi mette all'indice... Ma cosa avrò detto di tanto scandaloso?!
Controllo meglio il post da cui tutto è sortito, come una torta al forno stava lievitando ulteriormente nel consenso, i like superavano il mezzo migliaio, e mi accorgo che la persona che l'ha scritto soffre di gravi problemi di salute, è su una sedia rotelle e ha una mascherina al volto collegata a tubicini trasparenti, immagino per fornirgli l'ossigeno di cui difetta. 
La prima sensazione è quella di un' incontenibile vergogna: mi sono burlato di una persona in stato di disgrazia, forse scrive a questo modo perché non ha agio nel farlo normalmente, sì, è certamente così, non riesce a pigiare alcune lettere, o gli procura dolore farlo. Scemo scemo scemo, ecco cosa sono! 
Leggendo altri suoi messaggi, mi accorgo però che riesce a scrivere anche in forma più estesa e consueta, e i miei dubbi prendono una diversa direzione. Una condizione oggettiva di minorità può essere traslata, su un piano diverso, in virtù 'a prescindere', blindando a priori ogni forma di critica, anche quando ironica...?
Mi viene in aiuto il fantasma di Dino Risi, che nella sua disincantata intelligenza amava ripetere: "Il razzismo finirà quando si potrà dare dello stronzo a un negro."
Ma allora anche il populismo sentimentale finirà quando si potrà dire, senza alcun malanimo o sarcasmo, che una persona con gravi handicap fisici ha scritto una cosa involontariamente comica. In caso contrario, continueremo a considerare i diversi, in qualcosa, diversi in tutto e per tutto, che è la forma più subdola e tenace di razzismo.
Ma si sa, Facebook non è il luogo della sottigliezza intellettuale, e così mi dispongo di buon grado a fare da capro espiatorio: è morto Kmllri, viva Kmllri e ogni forma di patetismo e semplificazione!


Quinta tela

Ci sono alcuni viaggi che uno fa solo per scoprire la direzione dei propri passi. Nella maggioranza dei casi si ha però già in tasca il biglietto di ritorno, oltre alle prenotazioni per gli alberghi in cui si sosterrà, la lista dei ristoranti consigliati dal Gambero Rosso, il siero antivipera. La chiamano previdenza, ma è forse un modo per disinnescare quella miccia a cui l'andare appicca la scintilla, e che secondo Paul Bowles configura la differenza tra turista e viaggiatore.
Seguendo il suo pensiero, non fa probabilmente eccezione Facebook: ci sono anche qui i turisti, persone che hanno chiaro in partenza il gruzzoletto di like che intendono raggranellare ogni giorno, e poco importa se a mendicarli sia la foto del gattino o la coscia allungata sulla spiaggia, l'invettiva contro il politico di turno, a far da contraltare ai viaggiatori da social network; un po' di puzzetta sotto il naso ma anche molta voglia di scoprire cosa ci fanno lì, nel regno degli uguali, sentendosi magari un poco più uguali degli altri, come i maiali della fattoria di Orwell. Nel mio caso, è però stato un altro scrittore ad aprirmi gli occhi, o meglio a farmeli riaprire insieme alle pagine del Jakob von Gunten di Robert Walser, in cui ho trovato questa frase che da ragazzo avevo sottolineato a più mandate di inchiostro:

"Tu adesso sei, per così dire, uno zero, fratello carissimo. Ma quando si è giovani, bisogna anche essere degli zeri, perché non c’è niente di più dannoso che significare presto, precocemente, qualche cosa".

L'ho letta in silenzio. Poi a voce alta. Numerose volte. Facendo le pause, tutte le pause prescritte dai segni di interpunzione, come quegli attori che vestono sempre di nero. Ma a ogni ripetizione il nero si schiariva, fino a che mi sono sentito addosso l'impermeabile sabbia del tenente Colombo, quando si gira all'improvviso e spara la domanda che inchioda l'assassino. Una domanda del tipo: che tu sia un turista o un viaggiatore, come io mi illudevo di essere, fratello o sorella carissimi, non sarà che quel che ci unisce su Facebook è la determinazione a non essere degli zeri...?
Per questo gli altri devono ascoltarci, buon per loro se lo fanno, con tanto di sigillo di un bel pollicione blu, altrimenti si perdono qualcosa di decisivo. Si perdono ciò che abbiamo da dire, la singolarità irripetibile della nostra opinione su ogni cosa, che coincide con il gesto ampio e arbitrario del significare, dando così senso a un'esperienza che dalla realtà ha smesso di ottenere risposte.
Ma tale urgenza affermativa, per non essere appunto degli zeri, sta progressivamente consumando il suo complemento oggetto (dire che cosa, dirla come e con quali parole?), al punto che il monito dello scrittore svizzero è stato diffusamente contraddetto: un'umanità sempre più giovane, anche se non forse in senso anagrafico, anzi e come le statitistiche suggeriscono ogni giorno più vecchia, ad Occidente almeno, con la smania di "significare presto, precocemente, qualche cosa".
Si dice, insomma, diciamo come anche io sto facendo ora, senza prima aver colmato lo zero in cui siamo iscritti di attesa paziente e studio e curiosità, fino ad arrivare a 0,1; poi, se va bene, a 0,2 e così via. Qui si parte invece subito da 10 - so già tutto, tutto quello che mi serve per comunicare, e il resto non mi interessa -, con un atteggiamento che per Robert Walser corrisponde al male maggiore, l'epidemia che affligge il nostro tempo. In cui turisti e viaggiatori si sono finalmente ricongiunti, ma a essere sparito è il mondo da misurare con lente e silenziose falcate. E solo dopo, molto dopo, postare i selfie.

Sesta tela

Facebook. Per molti rappresenta la realizzazione dell'ideale democratico applicato alla comunicazione, e questo non può essere contestato. Ma, in concreto, tutto ciò cosa comporta? Ad esempio poter scrivere un post come il seguente, appena letto sulla bacheca di un mio contatto:
Un uomo del 1960 italiano ieri si è gettato sotto un treno a Montelupo Fiorentino. E' morto. Pare si tratti di suicidio. I treni hanno avuto pesanti ritardi.

Sembra la breve di cronaca di un vecchio domenicale di provincia. Con una differenza significativa. Se il caporedattore si fosse trovato il testo sulla scrivania, avrebbe immediatamente convocato l'autore nel suo ufficio. Quindi gli avrebbe chiesto: "Hai già visto un uomo gettarsi sotto un treno, GETTARSI con finalità diverse dal suicidio?"
A quel punto, l'inesperto redattore sarebbe stato invitato a cambiare il verbo. L'uomo del 1960, ossia un cinquantanovenne, scrivi allora uomo di cinquantanove anni che evitiamo al lettore di fare i conti, l'uomo avrebbe infatti potuto FINIRE sotto un treno o esserne stato TRAVOLTO; a questo modo, non sapremmo se si sia lanciato o magari scivolato, così giustificando la formula dubitativa.
Diversamente, andrebbe omesso il verbo successivo, l'intransitivo parere al presente indicativo, pare, per non rendere il fatto drammatico attraverso una formulazione comica, così come ora risulta.
Tutte acquisizioni di consapevolezza narrativa che, nel passato, avvenivano per il tramite della struttura verticale di una redazione giornalistica, dove l'impeto delle nuove leve era contenuto e direzionato da chi aveva a lungo battuto i sentieri della lettera 22.
Ma ora non più. È come se, oltre al muro di Berlino, fosse crollato ogni altro muro, tra cui quello espressivo. E così si può scrivere con disinvoltura, racimolando la propria razione quotidiana di like (più di trenta nella circostanza), che lanciarsi sotto a un treno non equivale a suicidarsi, magari si voleva vedere se sotto i treni fioriscono regole logiche alternative al buon senso. Quelle che troviamo su Facebook, con pesanti ritardi per quei trenini che viaggiano dentro la testa e chiamiamo neuroni...


Settima tela


Tra i miei contatti Facebook, uno scrittore cattolico, Demetrio Paolin, lamentava la scelta di Benigni di leggere il Cantico dei Cantici sul palco dell'Ariston. "Perché non hai scelto un passo dell'Esodo, Roberto", gli chiedeva attraverso un post vigoroso e occhiuto, ad esempio "quando l'Angelo del Signore stermina tutti i primogeniti degli egiziani? Perché non hai letto Geremia quando Dio si compiace di aver sterminato i nemici? Perché non hai letto San Paolo, l'Apocalisse?"
Paolin continuava argomentando che l'attore toscano ha "dato del cristianesimo e della fede una visione all'acqua di rose", quando, "Roberto, no il cristianesimo non è bellezza, o meglio la bellezza del cristianesimo non quella roba che hai detto tu, la parola di Dio non è quella roba che hai detto tu, ma è speranza che il mondo finisca, è speranza della parusia, del giorno che verrà, della resurrezione dei corpi dei morti, il cristianesimo è una cosa tremenda, è dire che non te ne frega di questo mondo, ma di come il mondo finirà..."
Insomma, quella visione tragica e minacciosa con cui a dottrina ci facevano cacare sotto, e che sarei anche disposto a rispettare se, come in questo caso, i cattolici non pretendessero ogni volta il monopolio interpretativo su tutto ciò che sfiora il bacile in cui intingono la mano destra, prima di portarla alla fronte e completare il segno della croce.
Ciò che voglio dire è che Benigni, a Sanremo, non si è per nulla avventurato in un'esegesi teologica della religione giudaico cristiana nel suo insieme, ma ha semplicemente estratto da quel canone scritturale un piccolo pezzo, il tassello di un puzzle più grande, per farlo risplendere di luce propria, che in questo caso corrisponde alla potenza erotica dell'amore, l'amore fisico e mondano.
È questa una interpretazione esaustiva della Scrittura? Certo che no, ma è una interpretazione più che legittima, oltre che svolta con commossa partecipazione. D'altronde, dal momento che stiamo parlando della Bibbia d'Israele, un rabbino risponderebbe che per ogni testo sacro esistono cento, anzi mille interpretazioni.Tutte giuste. Mentre per i cattolici, a partire dalla struttura gerarchica con cui si sono dati forma (leggi Congregazione per la dottrina della fede, ex Sant Uffizio, ex Inquisizione) di interpretazione ne esiste solamente una. La loro.


Ottava tela

Oggi un mio contatto Facebook ha pubblicato un post in cui si augurava un mondo diverso, o meglio un piccolo villaggio domestico e familiare - la cerchia dei propri amici più cari, con una circonferenza che si estende ai conoscenti - in cui "le persone somigliano alle parole che dicono."
Veniva aggiunta una minima teoria di situazioni virtuose: "persone che ti dicono ti voglio bene e poi sappiamo restare; sono preoccupato per te e poi mi chiedano come è andata; ti chiamo alle cinque e poi lo fanno". Coerenza, insomma, e mi stava per scappare un like che si sarebbe aggiunto al già cospicuo gruzzoletto.
Poi però il mio sguardo si è appuntato sulla frase conclusiva: "persone reali che mi dicano cose reali", e lì ho immaginato scenari diversi e inquietanti. Ad esempio l'amico che, invece di uno zuccheroso ti voglio bene, le dice "ma come puzzi di ascelle oggi", oppure "mi sembri più vecchia del solito", "ti si sta afflosciando il sedere..."
Non perché voglia ferirla, intendo, ma semplicemente e come il mio contatto femminile si augurava, perché è una persona reale che realmente pensa tutto ciò. O per dirla con Edith Piaf: "je suis comme je suis", che è la classica giustificazione dei cafoni.
Ho così iniziato a sognare un mondo di pura fiction, estensione dell'immaginario disneyano; o perlomeno relazioni con chi sia sufficientemente intelligente da includere, tra vero e falso, una terza categoria. Quella dell'omissione.
Riconsegno allora al mio contatto la bella gente reale che ti dice sempre cosa pensa, e per me dipingo un orizzonte utopico il cui fondale è un'assolata piazzetta siciliana, mentre al centro della scena uomini con baffi sottili e la nera coppola in testa, a pizzicare lo scacciapensieri in un clima di diffusa omertà. Perlomeno so che non mi confesserebbero mai quanto si stiano diradando i miei capelli, o banalizzando i miei pensieri...

Nona tela

L’invito a mettere mi piace alla propria pagina Facebook, sta ai social come, nelle relazioni concrete tra persone, la supplica a farsi dire ti amo dal primo che passa per la strada; ma poi anche dal secondo, dal terzo e così via. Due gesti totalmente privi di razionalità, estrema deriva dei folli o degli innamorati persi. In questo caso di sé stessi.


Decima tela



Ma perché su Facebook non leggo mai dei post che parlano di profumi – è appena uscito Immortelle Corse di Marc-Antoine Corticchiato, il naso più talentuoso tra le nuove generazioni – o di altre cose leggere ma non per questo fatue, come l’infinità varietà dei fiori?

Mi imbatto piuttosto e di continuo in goffi slanci dentro i massimi sistemi, un certo appeal riscuote sempre la politica, ma in una declinazione tranciante e oppositiva, della serie io ho capito tutto e tu sei cretino, per dilagare infine in celebrazioni (o negazioni) artistiche e letterarie, o nel fumoso psicologismo dei rapporti uomo\donna\figli – ah i figli, i figli: queste moderne medaglie al valore da appuntarsi sul bavero!
Altre volte, sono le pose buffe del gattino di famiglia a prendersi la scena pubblica; ma è appunto il nostro gatto, cosa nostra, non come direbbe Aristotele la “gattità” in generale, in cui avventurarsi con la disposizione aperta dei curiosi. Tutto ciò mi fa sospettate che questo mezzo induca una auto percezione elevatissima della propria collocazione nel mondo, così lontana, mettiamo, dai vecchi parrucchieri di provincia, dove gli uomini parlavano di calcio e motori e le donne si sussurravano piccoli pettegolezzi, tra cui la notizia di un nuovo profumo alla violetta da provare, a cui aggiungevano un avverbio: assolutamente, da provare assolutamente.
Ecco, io non ho proprio un cavolo da dire sulle elezioni regionali – è un mio limite intendo, non una presa di posizione ideologica –, né su come risolvere disuguaglianze sociali, ondate migratorie e cambiamenti climatici, tanto meno su quale debba essere l’ortodossia delle relazioni con l’altro sesso, pardon, gender. Ma, cosa ancora più grave, non posseggo neppure un criceto di cui eternare le marachelle in folgoranti istantanee, di cui l’umanità ha certamente bisogno.
Però ho acquistato Sienè di Tiziana Terenzi, e lo trovo un profumo complesso, stratificato, strano, con note di cipresso, ulivo, iris, ginepro e cuoio, ma anche una punta quasi impercettibile di miele. Insomma, un profumo da provare. Assolutamente!

Undicesima tela

Ho un piccolo suggerimento per Mr. Zuckerberg. Il problema è stranoto, e lamentato da molti: Facebook promuove gruppi aperti e inclusivi, ma, nello spazio dei commenti, vigono prassi implicite e consolidate che sono totalmente gerarchiche, quasi feudali. Ma mi spiego con un esempio.
Se Tiziano Ferro pubblica un post e Biagio Antonacci lascia un commento (magari, come i testi delle sue canzoni, un po' banalotto), è molto probabile che tra i due cantanti si avvi uno scambio, cosa che non avverrebbe se il medesimo commento fosse lasciato da un Pinco Pallino qualunque. E lo stesso tra giornalisti, sportivi, intellettuali, politici e perfino tra quegli inetti assoluti che ora vengono chiamati influencer. Se ne ricava che chiunque abbia guadagnato un minimo di rinomanza pubblica tende a privilegiare un dialogo tra pari; di rango se non altro, non necessariamente di acume espressivo.
Per la mia esperienza ho maggiore consuetudine con l'ambiente degli scrittori, ma anche qui vedo che lo scambio finisce col decantare in gruppi chiusi ed elitari, ciarlieri in special modo con chi viene percepito come simile, ossia ratificato da logiche esterne alla comunicazione; il sistema editoriale, per intenderci.
Vi è però anche un curioso paradosso, che vede nei soggetti additati come "cattivi" - personalità non allineate, a volte ciniche o sprezzanti - una disposizione più aperta e orizzontale, per quanto non di rado burbera. E penso a scrittori spigolosi come 
Vitaliano Trevisan (con cui ho avuto scambi anche fecondi), oppure Massimiliano Parente, Gaetano Cappelli, Veronica Tomassini; autori spesso e impropriamente definiti 'di destra', per quanto è significativo che sia proprio nel terreno della sinistra militante a germogliare più rigoglioso il seme dell'elitismo, che fa storcere il naso con quella tipica espressione da puzzetta.
Ora, percepisco in questa asimmetria relazionale un malessere diffuso, causato dall'illusione, sempre prodotta dal mezzo, che davvero si potessero stabilire rapporti paritari con i propri beniamini. No, non è così, e forse non è perfino il male maggiore, già che la specie a cui apparteniamo ha questa tendenza a disporsi per tribù, spesso idiosincratiche le une con le altre; e per quanto aggiornate e ipermoderne, ci saranno sempre dei cacicchi a tirare le fila, oltre alla sterminata classe dei paria.
Per rendere la situazione più trasparente, propongo allora - ed è qui che mi rivolgo a Mr. Zuckerberg - di istituire una categoria intermedia tra l'amico e il perfetto sconosciuto; che non è nemmeno il seguace, colui che ti segue senza richiederti l'amicizia, il follower insomma, il quale ha comunque facoltà di commentare i post.
Mi riferisco a una figura antica, quella degli acusmatici. Nelle scuole pitagoriche erano allievi, per così dire, di serie B, i quali dietro un velo opaco ascoltavano attenti le lezioni del Maestro, ma non potevano interloquire con lui. E non sarebbe molto più onesto se avvenisse anche qui?
Uno stato di fatto - quello delle classi sociali, presenti a ogni latitudine dell'umano - diventerebbe riconoscibile e dunque più accettabile, magari perfino sovvertibile con una bella rivoluzione telematica. Evitando, nel frattempo, ai fedeli di Tiziano Ferro di attendere una risposta che non arriverà mai, se non nella forma di un pollicione alzato a fare palpitare di speranza.

Dodicesima tela

Mi capita sempre più spesso. Con le donne. Non con tutte le donne, intendo. E' solo qui, su Facebook, che le donne sembrano difendersi da me, attraverso quelle strategie di evitamento (più che legittime, intendiamoci) messe in opera dalle femmine di ogni specie animale quando indisposte all'accoppiamento. Ma mi spiego meglio.
A volte succede di lasciare un commento benevolo a un post femminile, o di inviare, ancora più raramente nel mio caso, un messaggio privato che non è mai volgare, tanto meno ammiccante. Un complimento, insomma. Ciò che dovrebbe essere prassi comune e che è lo stesso mezzo a suggerire; come diceva quel tale, "the medium is the message".
Eppure, quasi sempre percepisco dall'altra parte la mossa scacchistica dell'arrocco, con il re (in questo caso la regina) che si trincera dietro una corte di elusività che non saprei come altro chiamare se non con l'espressione colorita "qui non c'è trippa per gatti".
Ora, se la mia sensazione fosse corretta (potrei sbagliarmi, come cantava Ivano Fossati sono pur sempre "carte da decifrare"), se la mia sensazione fosse giusta si possono ricavare alcune considerazioni di carattere più generale:
1) gli uomini italiani, già che la località del fenomeno è importante, direi addirittura decisiva, passano effettivamente il tempo a insidiare le conterranee sul web, quando non a molestarle con selfie dei propri comunissimi attributi - e che diamine, un cazzo tra le gambe non lo si nega a nessuno, manco a te, maschio adulto in erezione formato jpg, avessi almeno risolto la congettura di Riemann!
2) in quanto uomo italiano fallomunito, le donne italiane fanno benissimo a guardarsi da me, o ancora più precisamente da tutto ciò che non risulta appetibile al loro sguardo selettivo;
3) assunto dunque che sono un uomo, e oltretutto - aggravante geografica - italiano, oltre che un facebooker spesso riluttante, io ho dunque perso, se mai posseduto, quell' appeal erotico che mi legittimerebbe come interlocutore privilegiato, dando per scontato che la comunicazione avviene a tale unico livello. Il sesso.
Il buon senso mi porta così a liquidarmi da solo, a dichiararmi obsoleto come oggetto sessuale funzionale alla riproduzione, anche se il mio ragionamento ha una coda non trascurabile. E cioè qualcuno, uomini e donne, ma direi a questo punto soprattutto donne e sempre e ancora italiane, già che i comportamenti tra generi si riflettono nello spazio, e sono così le donne italiane a difendersi da attacchi sessuali spesso solo presunti, qualcuno, dicevo, davvero è convinto che a cinquantatré anni suonati si abbia qualcosa da 'riprodurre', da riprodurre sessualmente?
Non sarà che siamo entrati in una stagione della vita in cui ci si può anche guardare, sfiorare, perfino intercettare e sedurre, senza questa ossessione alla concupiscenza gagliarda, o per converso a una riluttanza da puzzetta sotto al naso. Ciò che sto provando a dire è che uno dei pochissimi privilegi della cosiddetta mezza età, è che la specie può tranquillamente farsi un baffo di noi, consegnando ad altri - più arzilli virgulti, sinuose e toniche silfidi in posa sul bagnasciuga - il compito di tirare avanti la baracca.
Detto in altre parole, pure in un luogo sgangherato come questo abbiamo finalmente l'occasione di diventare persone, esseri umani e non solo sex machine, con tutta la complessità che il termine comporta; tra cui è inclusa anche la sessualità, che viene però di gran lunga ridimensionata. A me sembra che questa occasione potremmo anche coglierla, senza continuare, comicamente, a percepirci come principessine sul pisello, o come piselli alla disperata ricercata di una principessa. Una a caso, 'ndo cojo cojo.

Tredicesima tela


Nei giorni scorsi ho pubblicato un post che ha ottenuto 130 like e numerose condivisioni, mai il mio albero del gradimento aveva dato tanti frutti. Con il post di ieri il contatore dei pollicioni blu si è invece fermato a 4: l'albero non solo aveva perso i frutti, ma anche tutte le foglie. Quale rapporto, mi sono dunque chiesto, collega tra loro queste cifre?
Stilisticamente, il primo testo era breve e sarcastico, quasi aggressivo, come sono aggressive certe unghiate dei giornalisti nei loro elzeviri. Utilizzando la celebre espressione latina, potremmo dire che sollecitava la "pars destruens" del pensiero, il ruscello che parte e ritorna sempre alla sorgente del rancore. E comunque a voler essere generosi, niente più che uno scritto "accattivante"; un aggettivo che per inciso detesto, con quella sua radice semantica che rimanda al fare l'altro prigioniero.
Diversamente, il secondo post, il brutto anatroccolo, era svolto in chiave metaforica, filosoficamente allusiva (il conflitto tra bios e tecnica, di cui la recente epidemia si fa tragica espressione), con l'andatura verbale che assumeva una sorta di trotto narrativo, dove l'elemento finzionale era rappresentato dalla descrizione di un sogno. “Pars costruens”, in ogni caso. E se non mi avessero insegnato da piccolo che chi si loda si imbroda, direi anche un buon lavoro.
Ho fatto questa lunga premessa perché credo che la ricezione di quel che scriviamo su Facebook racconti molto di noi, ma soprattutto del mezzo che stiamo utilizzando. In cui il facile, il rabbioso, l'emotivo e il ridanciano la spuntano sempre sull'articolato e il complesso, ossia sull'intelligenza – che non è quella del lettore, ci tengo a precisare.
Per fare pace con lo specchio e potermi guardare con un minimo di considerazione, d'ora in avanti ho così deciso di dedicarmi unicamente a una scrittura costruttiva; che tradotto in termini di gratificazioni, temo che significhi masochistica, in quanto disfunzionale al mezzo.
Stilo dunque un piccolo manuale Cencelli a uso personale: niente più attacchi diretti sui social network, al limite la contestazione argomentata di un pensiero, mai di un pensante; al bando anche giochetti di parole e calembour, sollecitazioni pavloviane, flessuosi defilé di arguzia, pillole sapienziali, patetismi d'accatto, strizzatine d'occhio e colpetti di gomito; per non parlare degli imbarazzanti coinvolgimenti a chi vorremmo ci leggesse – di cui perlopiù importa poco o niente a chi li fa, tipo ditemi l'ultimo bel libro che avete letto, o se la vostra fidanzata ingoia quando fa quella cosa lì –; e poi sono da considerarsi tabù le foto di tramonti, bambini, animali (meglio se cuccioli) e a maggior ragione parenti e amici morti; ma soprattutto niente sassolini nella scarpa da levare tirare in testa al primo che passa. In pratica, tutto ciò che qui fa brodo, plauso, like.
E a noi che ci frega, direte giustamente voi se siete arrivati al termine del pistolotto. Appunto, puro masochismo. Di cui questo era solo un assaggio, le martellate sulle palle devono ancora venire.


Quattordicesima tela


Non mi piacciono le interrogazioni sui social network. Quei post in cui ci si rivolge direttamente ai propri contatti, avviene spesso nei film di Woody Allen. L'interprete sospende la recita, guarda dritto in camera, e poi parla allo spettatore come fosse suo cugino. Di solito appartengono a persone certe di avere un ampio seguito – sportivi, giornalisti, attori, ma i peggiori sono i cosiddetti influencer, oltre ad alcuni scrittori che pensano di essere al centro del mondo e se ne contendono invece i margini –, persone che domandano qualcosa di cui già conoscono la risposta, o che potrebbero scoprire con una rapida ricerca su Google. Del tipo: sapete se si può uscire a fare una passeggiata? Ma la variante più sfacciata è quella sondaggistica: quanti di voi fanno ancora l'amore, quale posizione preferite? Esiste poi una versione finto umile, potremmo chiamarla “questua perlocutoria” (cosa devo fare, sono così inetto e dubbioso da non saper compiere una scelta elementare), come la richiesta di un consiglio sul film da vedere quando sarà terminata la conta dei like. Tanto lo sai già che film vedrai, o magari non vedrai proprio nulla, resterai incollato al PC a escogitare una nuova richiesta, non fare il furbo. Sono solo forme di obliterazione del consenso, reti buttate in un mare indifferenziato per vedere quanti pescetti vengono a galla. Per poi friggerli nella padella del proprio ego.

Quindicesima tela


Da qualche tempo una rompicoglioni ha preso l'abitudine di girarmi cazzate su Messanger, così, come si infilano volantini per la svendita di un negozio di scarpe in una cassetta delle lettere. So che la cosa è abbastanza comune, lo spamming su Messanger intendo, e non vi davo troppo peso. Fino a ieri almeno, quando mi ha invitato a partecipare a un'iniziativa collettiva.
Si tratta di spegnere lo smartphone per un'ora tutti assieme. A questo modo verrebbe mandato un segnale chiaro e forte ai politici – politici = cattivi, ovviamente il sotto testo – facendogli capire che non vogliamo la app per il tracciamento dei contagi.
Coincidenza vuole che nella stessa giornata avessi scritto un post in cui mi esprimevo in maniera opposta sull'argomento. Non che sia decisivo quel che penso, ma la prossima volta, magari, che si leggesse quel che scrivo prima di usare la mia casella come una cloaca. E per una volta gliel'ho detto.
Ti pare che io abbia tempo di leggere tutto quello che postano i miei contatti, risponde lei. Come se non bastasse continua: non mi scocciare (SCOCCIARE?!) con queste prediche. Piuttosto impara a fare come me, imposta dei filtri su Messanger per non essere contattato da tutti gli spacca maroni che ci sono in giro.
Beh, non so l'effetto che avrebbe fatto a voi, ma io l'ho trovata una risposta geniale. Come se il mostro di Scandicci ti spiegasse che lui mica si apparta in un boschetto con la sua bella, l'Angiolina, macché, non sono così grullo. Se non vuoi essere squartato, la prossima volta vai a scopare in un parcheggio a pagamento!

Sedicesima tela

Inizio a pensare che le poche righe di presentazione che vengono associate al profilo in un social network, ma perfino su WhatsApp, ovunque sia richiesta una sintesi espressiva della persona, possano essere considerate un genere letterario, spesso più accurato e rivelatorio di intere paginate di descrizione. Facebook mi suggerisce ad esempio di richiedere l'amicizia a una giovane che così si presenta: "Io... Donna... protagonista e regista della miafemminilità. Ma appartengono alla vita. E con lei... Ci gioco."
Un incipit formidabile, da cui ricavo due informazioni decisive: 1) Zuckerberg, nonostante i suoi sforzi di accumulare dati sul mio conto, continua a non capirci un cazzo e sparare nel mucchio, e questo mi conforta; 2) diversamente, a me sembra di sapere tantissimo di lei, Donna protagonista e regista della sua femminilità, con cui giocare, al punto che mi guardo bene dal contattarla.
La mia ritrosia non mi impedisce però di riconoscerle uno straordinario talento. In una manciata di parole è infatti riuscita a tratteggiare l'essenza di ogni buona storia: il personaggio. Che poi sia anche sé stessa, nella circostanza, non la esenta dal merito letterario. Dubito che alla maggior parte degli scrittori sarebbe riuscita una pennellata verbale altrettanto icastica, a restituire quel grottesco involontario quale carrozzeria (ora un po' ammaccata) del nostro tempo. Non a me, di sicuro.

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