mercoledì 7 giugno 2017

Un po’ di acqua tiepida



Una giovane donna si avvicina alla riva del fiume scuro. E’ notte. E’ inverno. La giovane, la donna, si toglie le scarpe e le dispone affiancate sopra a una pietra larga e piana, prima di avanzare lentamente verso il fiume.
Ora l’acqua le ricopre le ginocchia, infradicia la gonna. Mentre procede sente la corrente gelata premere sui polpacci, incalza le tibie, si insinua tra le cosce fino a raggiungere il bacino. Sente la corrente gelata.
A quel punto ha un momento di esitazione. Si ferma. Abbassa una mano, la sinistra, come se i sensi delle gambe fossero imprecisi e li dovesse raffinare con un contatto più sottile.
Resta nella posizione qualche secondo – la mano immersa e l’espressione dubbiosa, accigliata –, forse sono perfino minuti.
Quindi comincia a recedere con uguale lentezza. Raggiunge la riva. Rimette le scarpe. E con passo un po' trascinato ritorna a casa, decidendo di rimandare il suicidio. L’acqua era troppo fredda.
Questa storia mi ossessiona da anni. Non è una mia storia però, non è fiorita da sola nella testa, precisandosi, scrivendo, dentro singoli fotogrammi. E’ un racconto che mi ha fatto mia madre, a cui l’aveva consegnato la protagonista della vicenda, che ora è una donna anziana e un po’ malconcia. E’ una storia vera, insomma.
Anche mia madre deve essere rimasta molto colpita dal racconto, lo ricavo dalla quantità di volte in cui gliel’ho sentito ripetere. Quando ne parla, e lo fa appunto spesso, omette sempre l’identità della donna, per non scadere nel pettegolezzo. In questo modo gli interlocutori possono reagire liberamente, come se per loro, sì, fosse davvero una storia, finzione letteraria. Ma alla fine le reazioni si riducono a due sole: c’è chi ride, e chi si commuove un po’.
Ho provato a restituire un sotto testo a quelle risate e a quei silenzi commossi, alla maniera delle parole iscritte dentro la nuvola dei fumetti, che rendono evidenti al lettore i pensieri di Paperino.
Chi ride, a me sembra che voglia dire tacitamente: che storia buffa, che storia implausibile. Se uno davvero volesse suicidarsi, la temperatura dell’acqua dovrebbe essere irrilevante, l'ultimo dei problemi. Cos’è un po’ di freddo rispetto al gelo eterno della morte?
Ma chi si commuove la pensa diversamente. Che povera disgraziata, è così mal messa, così sfortunata e triste, da non trovare conforto nemmeno nella cornice del suo ultimo gesto. Un gesto che invece di accoglierla eroicamente: la respinge! Restituendola, nella maniera più prosaica e goffa, a una vita di correnti ugualmente gelide e avverse.
Eppure a me sembra che a queste interpretazioni se ne possa aggiungere un’altra, che negli anni ho fatto mia. Il comportamento della donna somiglia infatti a quello di chi abbia partorito di recente, a una mamma che saggi la temperatura dell’acqua in cui immergere il bimbo per il bagnetto: Mmh, no, è troppo fredda, aspettiamo qualche minuto.
E allo stesso modo aspetta anche la donna, rimanda. C’è una vecchia canzone di Battiato, l’autore del testo è Manlio Sgalambro, che dice qualcosa di simile: rimandalo, rimandalo… rimanda il suicidio (almeno fino a quando l’acqua non sia arrivata alla temperatura giusta).
Ma la corrente di un fiume alpino, ancora abbastanza vicino alla fonte, è per definizione sempre fredda. Per questo mi immagino quella ex giovane donna che di nuovo si incammina verso il corso d'acqua, lo fa tutte le sere. Una volta raggiunta la riva posa le scarpe, sempre sullo stesso sasso, sempre nella medesima posizione: quella di due amanti che dormono profondamente nel loro talamo. La scena è come se fosse proiettata in loop, un'infinita ripetizione di piedi, ginocchia, cosce e giù giù fino a bagnare gli slip, con la mano che si abbassa a sfiorare la superficie scura che riflette una grande luna; ormai non la deve nemmeno più immergere, è un termometro.
E' a questo punto che scuote il capo: No, non ci siamo ancora, forse domani... Per oggi tocca rimandare. E così fa un fischio agli amanti che finalmente si svegliano e corrono a rivestire i piedi, con cui torna a casa sconsolata.
Ma come lei molti di noi, tra cui certamente mi ci metto anch’io. Un invisibile esercito silenzioso che ha compreso che la vita, a queste condizioni, non è possibile, non è più vita. Se non fosse che morire è altrettanto difficile. Per ritrovare un minimo di gioia, come per perdere tutto, tutto il poco che ancora abbiamo da perdere, in fondo serve lo stesso miracolo: un po’ di acqua tiepida, ma da una fontana dove il rubinetto è fatto di neve. Chissà però che domani non sia la volta buona... Per morire. Per vivere.

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