mercoledì 14 giugno 2017

In trattoria, minimo trattato di antropologia maschile



Quando invito un amico in quella trattoria che conosco solo io – non sta nemmeno su TripAdvisor, entrando simulo sempre grande confidenza, baci alla titolare, abbracci al cuoco, come Calboni quando arriva a Cortina con Fantozzi –, quando sono lì e viene servita in tavola la prima portata, comincio quello che sarà il refrain di tutto il pasto: “Hai visto, cosa ti avevo detto, eh… Come ti sembra, eh… Delizioso vero?!”
In genere le pietanze sono davvero buone, ma non farebbe differenza se avessero messo lo zucchero al posto del sale, il pesce fosse stato guasto, l'arrosto bruciato: non cambierebbe nulla se quel giorno avessimo partecipato a un clamoroso fiasco, intendo.
La mia è dunque una difesa a oltranza, o, ancora meglio, ad personam quando la persona da difendere e celebrare sono ovviamente io, depositario di un prezioso segreto culinario a cui, per proprietà transitiva dell’amicizia maschile, il mio commensale viene ora iniziato.
Diversamente, se l’amico viene invitato a casa e a cucinare è mia madre – ma sarebbe uguale qualsiasi altro parente: moglie, figli, fidanzata – cambia decisamente la musica: “Massì, una cosina… Non sembra anche a te che sia troppo cotto...? Glielo dico sempre (a quella) di usare l’olio biologico… Mmm, io avrei aggiunto un po’ di noce moscata, tu no?”
Ma ora che ci penso, è ciò che faceva mio nonno con mia nonna, e anche l’altro nonno, pure lui quante volte gli ho sentito dire le stesse cose, e mio padre a ogni minestrone milanese, mio zio, mio cugino… Ora che ci penso è ciò che fanno quasi tutti maschi che conosco.
Se dunque anche voi appartenete al genere maschile e vi siete riconosciuti in questo quadretto gastronomico: fatevi una domanda e datevi una risposta.

Nessun commento:

Posta un commento