venerdì 16 giugno 2017

Maltempo, o sull'eziologia clinica del Bar Piero



Sono nubi scurissime quando ci comunicano che la tal persona magari era anche uno sportivo, non beveva e non fumava, di certo era più giovane di noi è morta all'improvviso.
La conoscevamo alla lontana, a volte solo di vista tanto che dobbiamo chiedere lumi ("massì, quello che girava con il cappellino a scacchi..."), e in ogni modo ci dispiace. Nel mio caso queste conversazioni avvengono al bar Piero, all'ora dell'aperitivo. 
"Un incidente?" è di solito la mia prima reazione. 
"No no", risponde chi mi ha comunicato il lutto sospirando; e posando con lentezza il bicchiere di Campari, la voce che si abbassa di un ulteriore tono: "Un malore, probabilmente il cuore. I l'ha mes via giust incò." 
Bum, con il cielo che si rabbuia sempre più.
Ma è a quel punto che il mio interlocutore, o un tizio che passava di lì per afferrare due patatine o perfino io stesso, comunque qualcuno aggiunge: "Sarà stato malato già da prima..." 
Gli altri, i presenti che sembravano osservare le bollicine dentro lo spritz, ma invece non si sono persi una parola, si fanno allora vivi nella forma di un coro greco: "Sì sì, era certamente malato, i ha dich che l'era malat: una malformazione dalla nascita, en bau ereditari del so af, l'ha confermato mio cugino che ha fatto tre anni di medicina, prima de dervì na cartuleria."
Ed è come se il cielo all'improvviso si rischiarasse, guadagnasse spazio un timido sole. Mentre uno più piccolo degli altri, non l'avevi visto prima, si issa sulle punte verso il bancone, o solleva il braccio per ordinare un nuovo giro.

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