martedì 20 giugno 2017

Un niente oggetto di sguardo, o sulla dieta linguistica al tempo di Facebook



Continuo nella mia opera di studio di Facebook dall’interno. Facebook c’est moi, d’altronde, c’est nous, e non vedo altro modo per conoscere l’acqua che tuffarsi. Così tra le pareti liquide di questo affollato acquario, trovo il seguente post:
“in un pezzo della mia vita sono stata troppo magra. non credo che facessi altro, in quel pezzo della mia vita, che pensare al cibo e alla corsa e a come fare del mio corpo un niente. un niente che si rendesse visibile, che occupasse lo spazio.
un niente oggetto di sguardo.”
Un pensiero che stava sulla bacheca di un mio contatto; l’ho sfrondato solo un po’, ma non di tanto. Ho saccheggiato altre volte i testi di questa giovane donna, e un poco me ne vergogno. Il fatto è che ciò che scrive mi pare spesso in sintonia con la natura profonda del mezzo che utilizza, forse al di là delle sue intenzioni.
Prendiamo il tema di cui si occupa nella circostanza (l’anoressia, in un’accezione clinica o generica poco importa), prendiamolo e poi associamo gli stessi caratteri qualificanti a un altro tema: la presenza su Facebook, ma dopo esserci fatti una domanda preliminare. Che cosa ci facciamo su Facebook?
Niente, è chiaro. Passiamo il tempo.
Ma nel passare il tempo, nello svagarci senza troppe menate per la testa, questo niente si fa visibile, proprio come da lei viene detto, occupa lo spazio attraverso i post che depositiamo sulle rispettive bacheche. E dunque: un niente oggetto di sguardo.
L’immagine suggerita dalla mia conoscente virtuale restituisce allora con efficacia una condizione diffusa sul web. Proviamo però ad andare ancora più a fondo. Il niente di cui parla non è infatti un niente costitutivo o, se si preferisce, “ontologico”, come vuole un’importante linea di pensiero che origina dalle tradizioni spirituali provenienti dall’Oriente, ma piuttosto un niente formale.
Non è tanto che l’anoressica sia niente, non è questo il punto, intendo, piuttosto che non faccia niente per essere qualcosa: non agisce, e anzi reclama attenzione attraverso un lavoro di sottrazione fisica, che molto somiglia al gesto artistico di Christo quanto risulta più evidente il Reichstag di Berlino, o qualsiasi altra opera architettonica da lui impacchettata, nel momento in cui ne viene celata la visione, ottenendo tale risultato paradossale attraverso lo straniamento di un’abitudine (io mi ero abituato a quelle forme squadrate e severe, nemmeno ci facevo più caso, ma ora che non le vedo più e solo intuisco sotto ai panneggi, è come se mi ridestassi da un lungo sonno per  riconoscerne di nuovo la bellezza.)
Ugualmente, l’anoressica è tanto più visibile e meritevole di attenzione – dunque di cura, di amore – quanto più la sua presenza si assottiglia, divenendo prossima al nulla estremo della sparizione fisica, che coincide con la morte.
Senza raggiungere la stessa prossimità con l’abisso, anche Facebook e più in generale i social network (Twitter, Instagram etc) mettono in campo un simile gioco di sottrazione. Persone pure portatrici di competenze e specifici talenti, qui si contengono al limite della tautologia, il ruttino, lo sberleffo, in un gesto grafico che non di rado si risolve in pura attestazione di presenza ci sono non essendoci, sembrano dirci. Che è appunto quanto avviene con il Reichstag intabarrato da Christo.
E’ dunque la natura intimamente leggera e smilza dei post, la loro anoressia contenutistica e formale, potremmo dire, a produrre attenzione, scambio, reciprocità con gli altri utenti. Una riflessione filosofica di Carl Smith o una poesia di Paul Celan, su Facebook, passerebbero probabilmente come un pioggerella d’aprile, senza suscitare reazioni.
Troppo difficili, troppo pesanti, grasse, sostanziose. Si dirà. Quando qui bisogna essere magri magri per intercettare lo sguardo altrui; la gente è occupata in altre e contemporanee attività – chat, sms, mail –, non ha tempo, non ha voglia. Ha i cazzi suoi.
Ma è forse in virtù degli stessi tratti dietetici che il post della mia conoscente ha riscosso centosei like, centosei persone che si riconoscono nel suo pensiero. Che, intendiamoci, era un pensiero non banale, ben scritto, per quanto davvero volatile. Quando un grandissimo poeta come Beppe Salvia, negli anni ottanta, con le sue opere arrivava a tirature di una cinquantina di copie; come a dire che nemmeno i tuoi familiari si accorgono di te… (Ne parlava Aldo Nove in un bell’intervento di qualche anno fa.)
Mi si obietterà: e però Beppe Salvia, con le sue cinquanta copie stiracchiate, a quasi cinquant’anni di distanza è rimasto, la sua grandezza non solo non è stata scalfita ma è lievitata nel tempo, mentre dei nostri post, dei centosei pollicioni alzati, già il giorno successivo tutti si sono già scordati…
Il punto credo sia proprio questo. Provare, con fatica, sforzo e pazienza a intercettare degli interlocutori fuori da questo tempo, non dico nell’eternità, ma in ogni caso dei lettori che riconoscano l’esercizio meditato di una forma e di un pensiero, oppure accontentarci di vedere obliterata la nostra esistenza nell’umbratile e transitoria sagoma di un post, un tweet, un magrissimo niente? E però in quanto niente: visibilissimo su Facebook, perfino seducente.

2 commenti:

  1. (scusa, devo correggerti: di Beppe Salvia sono gli anni '80, non i '70; forse a te non sembra, ma è già molto diverso...)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, è come dici tu, o forse un filo più complesso ancora. Beppe Salvia era infatti nato nel 1954, e pubblicava le sue poesie su Nuovi argomenti già a partire dalla fine degli anni settanta. Inoltre, la sua prima silloge in forma autonoma è del 1985, quando il poeta era già morto. Avrei dunque potuto scegliere un altro esempio; ho preferito Beppe Salvia per puro affetto, "simpatia". In ogni caso, le tirature della poesie erano quelle, specie nell'underground: poche decine di copie. Al punto che, nello stesso periodo, Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli, pubblicarono il fortunato saggio "Il pubblico della poesia". Come a dire che i poeti se la suonano e se la cantano da soli, o nella migliore delle ipotesi tra di loro, mentre su Facebook c'è un intero stagno ad ascoltare il nostro gracidare...

      Elimina