Don’t feed the troll! Non
nutrire il troll, alla lettera. Un’espressione (un’esortazione, meglio)
anglosassone dal significato vago, enigmatico. A partire dalla natura del
troll. Il dizionario Devoto Oli prova a spiegarlo a questo modo: “Nelle leggende scandinave, abitante demoniaco di boschi,
montagne, luoghi solitari: corrisponde all’orco di altre tradizioni popolari
europee. [Dal norreno troll].”
Esiste però anche
un significato estensivo, con una sua attualità e perfino urgenza in rapporto
alla comunicazione sul web: forum, social network, spazi pubblici di
discussione. Il troll, all’interno dei nuovi contesti tecnologici, si
riconfigura come una sorta di “orchetto” polemico e impertinente, che gode nel
suscitare polemiche e battibecchi. Ma per riconoscere la presenza attiva del
troll l’unità di misura fondamentale è quella del tempo: quanto tempo siamo
riusciti a perdere incollati a un monitor baluginante, quante parole abbiamo
osservato comparire e poi scivolare lentamente dalle nostre palpebre, come magma
sulle pendici del vulcano? Una voragine, letteralmente, una continua infinita
dissipazione di noi stessi, che conduce al buco nero in cui viene inghiottita
la preziosa radianza dell’attimo, insieme alla lunga catena del significare.
L’antico invito a
non nutrire l’orchetto – don’t feed the troll – diventa dunque la messa in
guardia da questo sterile meccanismo, sempre in agguato e sempre puntualmente
verificato. Già che il mezzo, in questo caso, è realmente il messaggio. E’ il
messaggio consiste nello smisurato appetito del troll.
Provo a darne un
esempio recente, copiando – principalmente come memento personale a non
ricascarci – una discussione su face book che mi vede protagonista.
1)
Premessa.
Ricevo un messaggio personale dall’attrice Alessandra G., che fa parte dei miei
contatti su fb. Il messaggio così recita:
“Alessandra G. ti ha invitato a cliccare “Mi piace”
sulla sua pagina Alessandra G.”.
2)
Dopo averlo
letto, mi rimane una strana sensazione in bocca – è una formulazione standard,
d’accordo, non è la prima volta che ricevo messaggi di questo tipo – ma ogni
volta quella sensazione amarognola si riproduce, puntualmente. Trovo quindi che
ci sia materia per qualche considerazione di carattere generale, che provo ad
abbozzare in un breve intervento sul blog (questo). In seguito, sotto forma di
web link, ripropongo l’intervento anche sulla pagina di Alessandra G.
Aggiungendo le seguenti parole:
ok Alessandra, ho cliccato "mi piace" sulla
tua pagina fb. poi, però, di getto, ho scritto questa cosa qui, che ti posto
forse con la stessa spregiudicata speranza di piacere a qualcuno, un giorno,
forse, chissà...
3)
In data 8 agosto alle ore
14.14, Alessandra G. così risponde:
Mi pare che la fai un po' drammatica. Io
ho coltivato conoscenze di vari tipi e parlato eccetera. Quando poi si fa una
pagina per far vedere le proprie o attività o passioni o quello che sia sia ci
sono delle procedure un po' automatiche e sì burocratiche talvolta. Ma nessuno
è obbligato a mettere "mi piace" su niente. Si presume che se già la
persona si è interessata all'altra persona in sé e per sé possa essere
interessata anche alle sue attività. Qua è solo una raccolta più concentrata
specificatamente indirizzata mentre nel profilo generico si disperdono tante
informazioni per via di post altrui o di commenti più generalisti. IO
personalmente se conosco qualcuno in piscina con cui mi fa piacere parlare ci
parlo già in piscina e magari se vi voglio uscire a bere un drink gli dò il
numero di telefono e non certo il profilo fb (che al momento attuale considero
né più né meno di un indirizzario o una vecchia rubrica telefonica con qualche
immagine e info in più). Cosa uno sogni o speri quando chiede un contatto fb
sta nella sua testa. Lecito sognare, sperare, immaginare ma prendiamo le cose
per quello che sono.. Io i like li metto dove vedo qualcosa che veramente mi
piace (a parte di default ad amici stretti che se no che amici siamo). Se non
mi piace non li metto. Qua è un luogo di scambio di informazioni, non di amici
per la pelle i quali non hanno bisogno di fb (o twitter o pinterest o quel che
sia) per parlarti, vederti eccetera. Non vedo di cosa bisognerebbe rimanere
male. Anche con i vecchi metodi si creavano alcuni contatti chepoi non si
sviluppavano mentre altri sì. Sta nella logica delle cose
4) Replica di Guido Hauser, 23
ore fa:
Alessandra, ringraziandoti per
l’attenzione, ti rispondo con un piccolo ritardo, di cui mi scuso. e dunque: io
non penso (e non ho scritto nell'intervento sul mio blog, che riscriverei
parola per parola) che ci sia qualcosa di male nel richiedere il gradimento ad
"amici" e conoscenti su facebook. piuttosto qualcosa di strano, ecco,
di stonato; ho usato anche il termine “volgare”, che continua ad apparirmi
appropriato. ma soprattutto non penso (e non ho scritto) nulla di male o di
malevolo su di te, limitando il mio sguardo a una pratica a cui hai
evidentemente aderito senza farti troppe domande, come si aderisce a una forma
di comunicazione virale, potremmo ormai definirlo un galateo. il fatto è che a
me interessano proprio i galatei, la comunicazione quando si fa automatica,
meccanica e dunque tanto più carica di significato. in questo modo, infatti, è
il significato a parlarci, e trascendendo la voce che dice io è “lui” a
diventare il vero soggetto del discorso. per usare un tono vagamente pomposo e
fingere di conoscere il tedesco, potremmo definirlo l’eco dello “zeitgeist”,
quello spiritello beffardo che trova sempre il modo di fare breccia, tanto più
quando abbassiamo la guardia vigile dell’attenzione. lo spirito dei tempi si
rivelerà allora tanto più facilmente (e visibilmente) proprio su internet, tra
le pieghe di forum e social network, di cui facebook rappresenta il peso
massimo. ma dal momento in cui, per provare a parlare dell’universale ho tirato
in ballo il particolare, e guarda a caso quel particolare era rappresentato
proprio dal tuo invito a esprimere il gradimento alla tua pagina fb, provo a
riformularti la domanda iniziale. e però da una diversa prospettiva: quella
della immaginazione. immaginiamo dunque, non ci vuol molto, che molti uomini
già ti abbiano rivolto la più disarmata (ma anche interessata) della
dichiarazioni, dicendoti con più o meno giri di parole: “Alessandra, mi piaci.”
ma immagino anche che non sia mai successo che tu sia andata da un uomo, gli
abbia tirato la giacchetta, per richiamarne l’attenzione, chiedendogli infine
non se tu piacessi a lui (anche questo, in fondo, è umano) ma di affermarlo
semplicemente, e ciò indipendentemente dal grado di verità dell’affermazione,
che in questo modo finisce con l’essere implicita, scontata e triste come la
sottiletta distesa dentro al toast. prova dunque a immaginare anche questa
seconda scena: Alessandra che va da un uomo, mettiamo per comodità che sia
sempre io, e poi gli domandi candidamente: “scusa signor guido hauser, puoi
dire, anzi scrivere, così che lo sappia il mondo intero, che io ti piaccio?
grazie tante e arrivederci”. lo senti come è strana e stonata questa situazione
immaginaria, com’è “volgare”. e perché allora non dovremmo trovare strano e
stonato (e volgare) anche il suo equivalente su fb, con l'assurda pratica di
mendicare il gradimento - quasi fosse un voto alle elezioni politiche - ad
amici e conoscenti. certo, la risposta è quella che già ci siamo dati
all'inizio: perché lo fanno tutti. come quelli che ti rispondono che ci si sarà
pure una ragione, se milioni di mosche mangiano merda. e così l'ultima domanda
che ti faccio e poi, giuro, non rompo più le scatole, diventa: ma sei proprio
sicura, Alessandra, di essere una mosca...?
5) Alberto L., 22 ore fa, alza
il pollice e poi aggiunge:
cuiapa un mi piace...
6)
Alessandra G., 4
ore fa:
c'è un errore nella premessa di fondo.
IO non chiedo a un uomo (perché lo chiedo anche alle donne) se gli piaccio in
quanto io se gli piaccio come persona come se dovesse dire a tutti che p
interessato e vuole uscire con me. Io gli chiedo (e se vedi la pagina si
capisce) se gli piacciono le cose che faccio e cioè la recitazione e li
scritti. Non ho istituito una pagina di rimorchi. Se parti da questo
presupposto vedi che tutte le tue considerazioni cadono. Non vado oltre per non
essere inutilmente prolissa quanto te.
7)
Guido Hauser, 1
ora fa:
Alessandra, io sono stato prolisso per timore di
essere frainteso, cosa che infatti è puntualmente accaduta. il dizionario
italiano contempla una parola, una sola, piccola piccola, si scrive e pronuncia
così: "paragone". ecco, il mio era un paragone, un paragone soltanto,
neppure tanto complicato. prendo comunque atto che tu non vedi alcuna relazione
significativa tra chiedere, attenzione, NON di uscire con te (di
"rimorchiare"), ma di affermare pubblicamente un piacere, che nel
caso del paragone era per la persona, mentre nella fattispecie per la sua
evidenza sociale. si tratta cioè di due forme nemmeno troppo diverse di
“questua estetica” – dove il paragone non sta dunque nella forma, ma nel
sostanziale accattonaggio di quel bene prezioso che è l’insindacabilità del
gusto. ti ricordo comunque – ci sta pure il caso che non lo sapevi – che quando
tu invii su fb ciò che hai chiamato una richiesta a valutare “se gli piacciono
le cose che faccio e cioè la recitazione e li scritti”, in realtà la
formulazione linguistica è ben diversa, ossia la seguente: “Alessandra G. ti ha
invitato a cliccare “Mi piace” sulla sua pagina Alessandra G.”. e se a te potrà
pure sembrare un garbato invito a conoscere e discriminare, per il resto del
mondo si chiama marketing. ossia il modo in cui i moderni hanno deciso di
chiamare gli impiccioni e le varie rotture di cazzo… (aggiungo che questa
risposta è pubblica e all’interno di uno spazio pubblico di discussione.
diversamente, sarebbero in effetti bastate tre parole: “buon per te...”)
Conclusione
Non so se Alessandra G. risponderà
mai alle mie ultime parole, sgorgate direttamente dalla gola del troll. Ma già
da questo brevissimo scambio dovrebbe essere chiaro il modo di procedere
dell’orchetto: per rapidi e quasi invisibili spostamenti semantici, in modo
che, impercettibile come la biscia tra le mimose, la ragione venga a
ricollocarsi nei territori melmosi dell’emozione, e lì possa infine scatenarsi
la polemica.
Cosa dunque ricavarne?
Nella circostanza io continuo
a credere di aver avuto qualche buon argomento – penso insomma che la ragione stia
dalla mia parte, come ogni bravo contendente. Ma se limitassi il pensiero al solo
dettato verbale, davvero non avrei capito nulla di come funziona il web. Le
caratteristiche del mezzo azzerano infatti i meriti teorici, ricollocando, come
già detto, la discussione a latitudini perversamente emozionali. Se anche
avessi guadagnato la ragione astratta, concretamente, in quel diverso “gioco
linguistico” che qui stiamo giocando, ho perso qualcosa di ben più importante.
Ma il guaio è che questo qualcosa non l’ha guadagnato neppure Alessandra G., avendo
insieme a me perso del tempo, il doveroso controllo sulle parole e soprattutto a
un po’ di serenità.
Ma allora chi ha vinto?
Il troll, of course.
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