sabato 24 giugno 2017

Facciamo finta che… o sullo Zetigeist




Da qualche parte ho letto che i bambini con un quoziente di intelligenza molto più alto della media, nel rapportarsi con i compagni ma anche con gli adulti, i genitori e gli insegnanti, il più delle volte cercano di minimizzare il loro acume, a volte addirittura lo occultano in una continua recita al ribasso. Fingono di essere un po' stupidi, in pratica, per meglio integrarsi al gruppo.
Questo atteggiamento mi fa pensare per contrasto alla figura del velleitario, che inscena una recita di segno opposto: esibisce competenze e talenti che non possiede, bluffando clamorosamente in rilancio sulle sue capacità, come in un carnevale issato su lunghi trampoli.
Ed è così che Fantozzi, alla domanda se sa sciare, risponde di essere stato nella nazionale italiana di discesa; aggiungendo subito dopo: "Ma saranno dieci anni che non scio." "Come?" fa eco la signorina Silvani dal sedile anteriore dell'automobile. "Saranno vent'anni che non scio." "Come?" "Saranno trent'anni che non scio..." Un siparietto comico che restituisce con esattezza la natura ridicola, se non patetica, del velleitario, mentre l'umiltà del genietto ci appare degna di una considerazione ancora maggiore.
Eppure, qualcosa mi fa pensare che le cose siano più complesse...
Esiste infatti un'affermazione dei due atteggiamenti in epoche diverse, come un mood sociale che ne fa modelli di riferimento per intere generazioni, e che ha forse andamento ciclico.
Gli anni sessanta (pensiamo ai personaggi interpretati da Alberto Sordi) sono certamente stati un periodo all'insegna del velleitarismo, come pure gli anni ottanta, era quello lo spirito del tempo: alzarsi sulle punte, mostrandosi più alti, in tutto, di quel che realmente si era.
Ora, al contrario, le facoltà intellettuali, il pensiero ma in fondo ogni competenza umana acquisita con sforzo e dedizione, godono di scarsa considerazione pubblica, e chi ne dispone è portato a sminuire, come Giulio Tremonti quando afferma a un raduno della Lega: "Noi siamo orgogliosi di non leggere!" (E anche questo è falso, Tremonti è un uomo colto.)
Solo qualità per così dire oggettive, come il denaro e la bellezza, guadagnano la ribalta senza alcun imbarazzo in chi le ostenta, facendo dei somari – e però bellissimi! – che vanno alle trasmissioni di Maria de Filippi i nuovi Barry Lyndon, intenti a scalare la vetta di panna montata del nostro tempo.
Perciò non solo i geni ma anche i capaci, i competenti, i curiosi si muovono ora nel mondo come certe ragazzette alte alte, che camminano un po' crocche per apparire più piccine di quel che sono, forse così sperando di mimetizzarsi in un orizzonte di pigmei.
Quanto al dato reale, non so, ma ho il sospetto che scemi e intelligenti, capaci e incapaci, ci siano sempre stati, con una netta prevalenza ("la prevalenza del cretino") della seconda categoria. Quindi non rimpiango l'epoca in cui si era tutti campioni di sci, o ci si infilava, come Berlusconi, la zeppola dentro le scarpe.
Se non fosse che quando fingiamo di ridere, è esperienza comune, finiamo il più delle volte col ridere per davvero, e forse vale lo stesso per i talenti: il gesto di trasumanare, per dirla con le parole del Poeta, comincia quasi sempre da un minimo artificio, come i bambini che giocano a "facciamo finta che".
E allora facciamo finta che siamo intelligenti, bravi, buoni. O che siamo astronauti, scienziati, piloti di formula uno, ma anche semplici cittadini consapevoli e virtuosi. E non è escluso che, a gioco terminato, qualcosa di quella finzione sia rimasto.
Ma a far finta di essere scemi su larga scala, non è che, un po' scemi, lo stiamo diventando veramente? 

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