Mi ricordo che avevo il mal di gola, e il mal di gola mi aveva fatto venire la febbre alta, e con la febbre alta le lenzuola si appiccicavano al corpo rilasciando un vago sentore di lavanda. Il letto, troppo grande, stava in un appartamento preso in affitto a Rimini, lo chiamavamo l’appartamento del colonnello perché apparteneva a un colonnello in pensione. Mi pare di vederlo mentre cammina impettito sul lungo mare di Rivazzurra, imprimendo ai piedi il passo marziale di una vita. Ha solo sostituito le scarpe nere con dei sandali da scoglio in lattice opalescente, dai quali risaltano le calze azzurre; lo si vede bene che sono azzurre perché indossa dei bermuda kaki. Impugna un guinzaglio, al capo opposto trotterella un barboncino di nome Spartaco, ma ci tiene a precisare che non è suo: È di mia moglie dice quando si ferma a parlare con qualcuno, cosa che fa spesso. I baffi del colonnello sono sottili, il resto del volto è ben rasato, a destra i capelli sono più lunghi così da consentire il riporto che prosegue in una treccia fulva con ampio fiocco finale – un colonnello con la treccia fulva?! Ho il sospetto che sia uno di quei trucchi che fa la memoria dei bambini, in realtà temo di non avere mai incontrato il colonnello, né il barboncino della moglie che, ammesso sia mai esistito, avrà avuto un nome diverso; forse Fufi o Maicbongiorno, che ne so. Quanto alla treccia, devo averla presa in prestito da Pippi Calzelunghe. Eppure, nel piccolo televisore in bianco e nero presente nella stanza accanto, potrei giurare di avere visto non soltanto Carosello e il Paese di Giocagiò, ma, proprio quella sera, una figura infagottata dentro una tuta bianca con casco e tubicini – un coso lo chiamo, il papà mi corregge: Si chiama astronauta. L’astr... ci provo ma inciampo in tutte quelle consonanti, meglio tornare a coso, il coso sporge la gamba da una scaletta, e io penso come si muove piano, sembra il parrucchiere quando taglia le basette. Poi prosegue e dice una frase, secondo me se l'era scritta prima: "One small step for a man, one giant leap for mankind." Un bambino di tre anni, sempre vissuto a Sondrio, che comprende l'inglese? A giudicare dall'espressione non hanno capito nulla neppure lo zio e il papà, ma anche loro si erano preparati da prima una bottiglia di Cinzano, e brindano a qualcosa che continuo a non capire. Al mattino la febbre è passata e mi portano in spiaggia, si trova a un centinaio di metri e così non c'è bisogno del passeggino. Da un juke-box lontano provengono le note di Lisa dagli occhi blu. Un tedesco, intento a spalmarsi la crema solare, si sovrappone alla voce di Mario Tessuto, anticipando di vent'anni il karaoke: Liza tagli okki blu canta con discutibile intonazione, sentza treze dort stezza non zei più. Pronuncia blu e più al nostro stesso modo, il resto è diverso e buffo e mi mette allegria. Lo zio cerca di frantumare con il cucchiaino di plastica una granita al limone, il papà è andato a gonfiare il canotto e la mamma mi ha consegnato paletta e secchiello – le formine me le dà dopo se faccio il bravo, e cioè se non mi piscio addosso – prima di cominciare a fare le parole crociate con lo sguardo velato da enormi occhiali da sole, sono uguali a quelli della zia. Ma la zia dov’è? Probabilmente a gonfiare il canotto anche lei, fa un po' per uno con il fratello nel pigiare un mantice di gomma, oppure è a trattare l'acquisto di una maschera africana, se spunta il prezzo ci riprova con un tappeto a losanghe. E i miei cugini? Perché non compaiano dentro il cono d’ombra dell’ombrellone a spicchi variopinti, perché nessuno gioca a paletta e secchiello insieme a me? E poi non mi sono pisciato addosso e ho diritto alle formine. Questo ricordo ha troppi pezzi che non collimano, perfino l'uomo che strilla Coccobello, nella sacca termica a tracolla, trasporta pelli di foca e catene da neve. Devo concludere che è nuovamente inventato. Di quel luglio del 1969 che scivola nell'agosto delle prime vere ferie di massa, le grandi fabbriche del Nord chiudono e al Sud comincia la raccolta dei pomodori, ricordo con certezza solo il mal di gola e i sogni febbrili, nei quali l'impronta di Neil Armstrong sulla luna si è trasformata nell’immaginazione della luna: realtà e fantasia sono agli esordi confuse, fino a quando non sopraggiunge la lama che spacca l'anguria con nettezza, e a ogni nuova fetta il mondo si fa più piccolo e definito. Nulla sì sa, tutto si immagina sosteneva Fellini, che da giovane sfiorava il colonnello facendo le vasche su Corso Augusto. Ma non è rêverie l’ingresso del bagno Tiki 26, dove accanto ai palmizi era presente un elefantino in fiberglass, le enormi orecchie pendule lo rendevano simile a Dumbo. Bastava inserire una moneta, montarci e sopra e lui cominciava a dondolare dolcemente. Sembrava di stare sulla luna.
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Stupendo !
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