venerdì 6 dicembre 2024

Ricchi e poveri

In uno degli ultimi incontri avvenuti tra Gaber e Jannacci, è quest’ultimo ad avere raccontato l’aneddoto, Gaber disse al figlio di Jannacci: “Guarda che tuo padre quando era giovane era pazzo.” “Io guardai mio figlio Paolo” continua Jannacci”, “e dissi a Giorgio: Io non ero pazzo, ero povero.”

Da alcuni giorni ripenso spesso all'episodio. Si adatta, quale metafora, a molte situazioni. Ad esempio le sorti politiche del mondo, sempre più sbilanciate a destra. Sono i poveri, non i ricchi, a votare per i partiti di destra, che perseguono progetti a loro evidente svantaggio. I poveri sono pazzi, verrebbe da concludere. No, i poveri sono poveri.

È presente una componente vitale di pensiero magico nella povertà contemporanea: i poveri sono ricchi potenziali, il loro diritto di voto viene esercitato per identificazione proiettiva, come avveniva nell’adesione simbolica a imperatori, papi e faraoni. Ma anche i ricchi ci appaiono pazzi, infatti – andiamo sempre un po’ a spanne – è proprio nelle zone a più alto reddito che prevale il consenso per i partiti di sinistra. I ricchi votano come se fossero poveri e i poveri come se fossero ricchi.

Se ne ricava che è il mondo a essere diventato pazzo, e ricchi e poveri agiscono in piena coerenza con tale diffusa forma di pazzia – ma se è diffusa, ha ragione Jannacci, non è più pazzia, manca l’elemento di infrazione alla norma che caratterizza la vera pazzia.

Più che una mancanza di logica in senso stretto, a caratterizzare i nuovi tempi è l’implosione del principio di realtà, già che da un punto di vista ana-logico i conti potrebbero anche tornare: i ricchi ottengono in tal modo ciò che il denaro non può acquistare, ossia la percezione di essere nella virtù, e i poveri, come abbiamo visto, abitano un fantasma di ricchezza postdatata, secondo il refrain di Gianni Morandi uno su mille ce la fa. E perché non potrei essere io, si dicono, quell’uno su mille?

Eppure, io continuo rimpiangere un mondo dove i poveri pensano da poveri, votano da poveri, per diventare magari un poco più ricchi – benessere è il termine giusto, un concetto diverso dal desiderare di diventare dei Paperon de' Paperoni. Mentre i ricchi fanno banalmente i ricchi, non impartiscono lezioni di morale ai poveri; se proprio si sentono inclini al bene condividono il loro privilegio, come fece Engels con Marx. Ofelè fa el to mestè, recita un antico proverbio milanese. E cioè ragazzo di pasticceria occupati di torte e pasticcini, non allargarti. Ma più in generale: che ognuno faccia la sua parte.

Da questo punto di vista, preferisco di gran lunga Briatore, un ricco che fa il ricco, a Oscar Farinetti e ai suoi proclami egualitari, smentiti dalle eccellenze enogastronomiche in vendita da Eataly, a un prezzo più che triplo rispetto alla merce sugli scaffali del Lidl; ciò è naturalmente più che legittimo in un regime di libero mercato, ma si imprime quale segno di incoerenza ripulsiva.

Per concludere nella semplificazione infantile che caratterizza l'intera riflessione, la primaria occupazione di un ricco (oltre a guadagnare sempre più denaro) dovrebbe essere quella di prestare attenzione al proprio collo, sapendo che un povero potrebbe decidere un giorno di posarlo sotto alla lama sghemba di una ghigliottina.

1 commento:

  1. Sono variati i riferimenti: ora abbiamo AD in liquidazione e operai liquidati. Non esattamente alla stessa maniera.

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