sabato 14 dicembre 2024

Mi ricordo 30

Mi ricordo che a comunicarlo fu una suora di nome Tecla: “È morto Aldo Moro.” I banchi dell’Angelo Custode erano diventati troppo piccoli per le nostre ginocchia, premevano da sotto verso un futuro percepito come verticale, e anche le sedie, minuscole, la lavagna tutt'al più una lavagnetta, perfino il soffitto sembrava essersi abbassato, l'aula era una superfetazione moderna di un palazzo del Seicento. Ma in fondo era normale, eravamo entrati la prima volta per prepararci a ricevere il corpo di Cristo a nove anni, mentre ora, in età da motorino con il carburatore sostituito per far fluire più miscela, ci attendeva un leggero schiaffetto, suor Tecla diceva che ci avrebbe immesso nel mondo degli adulti. È morto Aldo Moro, e calò il silenzio. Non fu però un silenzio tragico, al contrario: era nutrito da quella confidenza distratta che ostentano i religiosi con il Tutto – si nasce, si vive e si muore, poco importa se scivolando su una buccia di banana o crivellati dai colpi di una mitraglietta Skorpion –, a cui si aggiungeva una punta teatrale di civetteria, come se avesse voluto serbare la notizia per il termine della lezione, così da realizzare un climax. Ricordava i presentatori televisivi che, solo alla fine e dopo avere mostrato il tabellone a partire dall’ultimo classificato, rivelano la canzone vincitrice del Festival di Sanremo; nel caso della ventottesima edizione si era trattato di “… e dirsi ciao” dei Matia Bazar, ma io preferivo di gran lunga “Un’emozione da poco” di Anna Oxa. “Hanno ritrovato il corpo in una R4 rossa in via Caetani”, aggiunse la suora facendosi il segno della croce con una velocità inaudita; forse la performance va attribuita alle braccia di scarsa estensione – unico dettaglio a non stonare con quel microcosmo lillipuziano –, o forse, più semplicemente, per la quantità di volte in cui già aveva eseguito il gesto. “Fermiamoci ancora cinque minuti per rivolgere una preghiera all’Altissimo per quel pover uomo e la sua famiglia.” Fu un Padre nostro o un Eterno risposo o entrambi, dopo di che io e Marco uscimmo di corsa diretti al Centro Sportivo, dove avevamo l’allenamento di pallacanestro. In strada ci arrivavano frammenti di un'unica diffusa conversazione, le persone si aggregavano anche tra sconosciuti per chiedere dettagli, qualcuno aveva gli occhi lucidi e una gran voglia di toccarsi uno con l'altro; più che a un funerale si poteva pensare al rientro di una squadra che ha perduto la finale di coppa, i giocatori con maggiore esperienza consolano gli esordienti. Di fronte al Bar Piero incrociammo una donna con un cuscino compresso sotto a un camicione a disegni geometrici, si carezzava il ventre posticcio sussurrando il mio bambino, il mio passerottino, la chiamavano la Pazza. Altri ricordi di quel giorno, il 9 maggio 1978, non ne ho, nemmeno della cerimonia della confermazione che seguì a fine mese, ma è testimoniata da una fotografia dove indosso un completo di velluto marrone molto brutto, oltre che troppo caldo per la stagione. I maschi vennero posizionati su una breve gradinata in ordine di altezza (dunque io e Marco occupiamo il vertice, fanno capolino solo i nostri volti improntati a una solennità artificiosa; nessuno fa le corna al vicino, e solo un tipo con i capelli crespi e lo sguardo furbo sembra trattenere la ridarella), mentre le femmine si irradiano alla base in abiti chiari e lunghi; ma rispetto alla prima comunione, sono poche ad avere il velo come la Vergine Maria. Riconosco una ragazzina con i capelli rossi e le lentiggini, anni dopo sarebbe diventata la fidanzata di un mio amico, piaceva un poco anche a me ma non ho mai fatto nulla per farglielo capire, scegliere è un verbo che si impara a coniugare tardi. La vita procedeva piuttosto in un accadere casuale, a dottrina ci avevano insegnato a stare alla larga dal peccato, ma non che il termine greco che lo esprime, amartìa, significa un errore nel tiro al bersaglio. Era un tempo in cui si scagliavano le proprie frecce a caso, quindi se ne seguiva la direzione. No, nessuno schiaffo, nessuna mano clericale sudaticcia è rimasta impresa sulla mia guancia, la cresima passò senza colpo ferire. A immettermi nel mondo degli adulti bastò la frase di suor Tecla: è morto Aldo Moro.

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