martedì 22 novembre 2022

Se ti tolgono ciò che non è tuo


“Non si è soli quando un altro ti ha lasciato, si è soli se qualcuno non è mai venuto.” Mi sono tornate alla mente queste parole che appartengono a una vecchia canzone di Roberto Vecchioni. Stavo seguendo, con qualche anno di ritardo, The Leftovers, la bella serie di Damon Lindelof tratta dall’omonimo romanzo di Tom Perrotta, il quale ha collaborato alla sceneggiatura. Ed ecco che Vecchioni ne diventa la colonna sonora.

L’idea di partenza è semplice quanto geniale: Il 14 ottobre del 2011 il 2% della popolazione mondiale (140 milioni di persone) scompare all'improvviso. Puff, svaniti, nel nulla, come recita il titolo con cui sono state tradotte in italiano le tre stagioni, originariamente trasmesse su HBO. A quella scomparsa le persone reagiscono in vario modo, ma tutti sembrano condividere la percezione di una sottrazione illegittima. Ciò che avevano o, meglio, pensavano di avere, gli spettava per una sorta di diritto naturale. Non importa che si tratti di cose o di rapporti umani, nel sentire diffuso possiedono lo stesso statuto proprietario

Una felice intuizione che Perrotta ha saputo tradurre in metafora drammaturgica: l’Occidente, pare dirci, più che su un generico patriarcato si fonda su quel senso del possesso che, in un’altra canzone, viene definito prealessandrino. Ma non solo possesso delle donne da parte degli uomini, o degli schiavi dai padroni: tutte le relazioni avvengono sotto l’ipoteca del verbo avere, e il colonialismo rappresenta solo l’estensione storica di un vizio psichico radicato nella nostra cultura, che da alcuni decenni ha iniziato a vacillare.

La cartina di tornasole, al solito, più efficace, è quella del linguaggio. Non so come viene espresso in altre lingue (a parte inglese e francese), ma è curioso che alla nascita di un figlio una persona dica in Italia "ho avuto un figlio". Al limite, se sei un uomo, hai contribuito a generarlo, o se sei una donna l’hai partorito – per quale stramba associazione mentale i figli si dovrebbero avere? Eppure ci sembra che le cose stiano naturalmente così, per il pater familias il diritto di proprietà era totale, riflettendosi sulla vita dei congiunti che ricadevano sotto il suo arbitrio fin anche all'omicidio, in questo caso non sanzionato dal diritto romano.

E invece no, leftovers, superstiti: ci si sveglia una mattina e i figli non sono più nostri, le mogli chiedono il divorzio e poi si affiliano a una strana setta in cui ci si veste di bianco, si comunica solo attraverso la scrittura e si fuma dalla mattina alla sera – è quanto accade a Kevin Garvey, capo della polizia Mapleton e protagonista della serie. Ma anche tutto il resto dispare; a volte bruscamente, altre con soffice noncuranza, e il vuoto di senso si fa in un certo senso concreto. A mancare non è più solo l’idea astratta di un dio ma Giovanni, Fabietto, Silvia, Rudy. Non sono morti. Non sono vivi. Semplicemente, non li abbiamo più.

Si insinua così il dubbio che questa perdita improvvisa rifletta una condizione anteriore e non riconosciuta, quella del dono: la donna che ti offre le labbra per un bacio, ringraziala, anche se siete spostati dì mille volte grazie, perché quel bacio non ti spetta, può sempre essere revocato, come il figlio che non è tuo e prima o poi e come giusto se ne andrà.

I risvolti religiosi sono voluti, si intravede l'ombra del pugnale di Abramo sul collo di Isacco e Gesù che invita a lasciare e, perfino, a odiare madre, padre e fratelli per seguirlo. Ma col passare delle puntate subentrata una sensazione che ci conduce in territori diversi, verso un Oriente in cui l’assenza non è sintomo di perdita ma luogo di generazione; in una celebre storiella zen il maestro invita a versare altro tè in una tazza già colma, e al traboccare del liquido l’allievo dovrebbe sviluppare gratitudine per ciò che agli occhi dello stolto è solo mancanza.

Ed è così che il fantasma degli scomparsi si fa progressivamente vacante, consentendo a chi resta di riconoscere, prima, l'assenza come tale, quindi chiudere il cerchio del lutto e colmare lo spazio attraverso nuove relazioni; all’inizio con impacciato sospetto, timore come è sempre per le cose nuove. Ma alla fine una delle poche leggi certe della vita è che il vuoto tende a essere riempito.

Milo de Angelis, poeta magnifico, è ancora più radicale di Tom Perrotta, e non si ferma al 2%. La perdita è costitutiva, ontologica direbbe un filosofo. Non solo gli altri ma nemmeno noi siamo del tutto nostri. Un sospetto che rimane attaccato anche al termine della visione di The Leftovers, e si condensa nel monito tremendo con il quale conclude una poesia che non è sua, non è mia ci dice tra le righe, non è di nessuno. Già che “se ti togliamo ciò che non è tuo \ non ti rimane niente”.

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