sabato 12 novembre 2022

Il suicidio come fattore politico

Una persona che conoscevo si è gettata la settimana scorsa dalla finestra della camera d’ospedale in cui era ricoverata per esami, ed è morta.

Si trattava di un uomo di tre o quattro anni più vecchio di me, sono in buoni rapporti con il fratello – alla domanda come va risponde sempre "Splendidamente!" – ma con cui lui credo di non avere mai parlato, salvo salutarci ogni volta che ci incrociavamo per strada; cosa che avviene spesso in un piccolo paese di provincia. Non so quale fosse la ragione per cui stesse facendo degli accertamenti, mi hanno riferito alcuni pettegolezzi clinici sul suo conto che naturalmente non riporterò. Ma c'è qualcosa che mi preme aggiungere a una notizia già in sé tristissima.

Dopo questo episodio ho infatti deciso di iscrivermi all’associazione Luca Coscioni, con sede in Italia, e alla svizzera Dignitas, entrambe impegnate nell’aiuto alla persone che per ragioni serie e accertate hanno deciso di interrompere la loro vita.

NON è un’istigazione al suicidio, sia ben chiaro. Parlo unicamente a titolo personale. E l’aspetto collettivo che pure c’è – altrimenti non pubblicherei un post su Facebook – ha natura opposta a ciò che potrebbe apparire a una lettura distratta: vorrei che nessuno compisse più il gesto del mio conoscente, vorrei non dover più sentire di corpi che giacciono al suolo dopo essersi lanciati da una finestra.

Ma ci sono anche condizioni di vita obiettivamente inaccettabili. La mia è una di queste. Mi alzo al mattino sperando solo che arrivi di nuovo e presto la notte. Una notte senza risveglio, da fare seguire a una veglia più funebre della stessa morte, ha così finito con l’apparirmi il male minore.

Suggeriva un filosofo antico: pensate a come vi sentivate prima di nascere, prima ancora di essere concepiti, su, concentratevi e rendete presente quel momento... Allora, come state? Non malaccio, dai.

Ecco, la morte è quella cosa lì: un prima che viene dopo. Ed è a volte preferibile all’adesso.

Dicono che le persone del segno dell’ariete siano un poco ingenue, diciamo pure naif, ma possiedano una tenace vocazione a perseguire la verità. Mi sono sempre disinteressato di astrologia, ma, da ariete ascendente cancro, la trovo un’approssimativa fotografia che mi ritrae. Una verità politica, civile, beninteso, per cui ora ho deciso di impegnarmi: uscire da questa vita senza doversi lanciare dalla finestra. Non pensiamo dunque che sia "una questione privata", come quella del partigiano narrato da Fenoglio. È una questione che riguarda tutti.

Io almeno non lo farò. Nessuna finestra, cappio, gas di scarico dell’automobile (prima sincerarsi bene che non sia elettrica!) o fucile da infilarsi in bocca, come fece Hemingway, e poi premere il grilletto. Ma non intendo nemmeno permettere al male di sostituirsi alla vita. 

Purtroppo male e vita spesso finiscono col coincidere. È capitato a me, negli ultimi dieci anni, forse anche qualcosa di più. Capita a milioni di persone. La medicina rappresenta un tentativo, spesso efficace, per disgiungerle nuovamente, e non ho ancora smesso di sperimentare ogni mezzo per stare meglio. Ed è forse superfluo aggiungere che è quanto consiglio a tutti: valutare ogni alternativa, tentare anche le soluzioni più implausibili. 

Camus si presentò una notte a casa di un amico con un cosciotto di prosciutto. “Mangiamolo assieme” disse all’amico che si stropicciava gli occhi ancora mezzo addormentato, chiedendosi cosa ci facesse lì il grande filosofo, il premio Nobel per la letteratura, con un prosciutto! “Mangiamolo assieme” insistette Camus, “altrimenti non arrivo a mattina. Mi ammazzo prima.” Vivere, non significando nulla in sé, può significare anche un prosciutto da condividere con un amico in piena notte, per quanto forse il maiale non approverebbe.

Circoscrivendo di nuovo il discorso all'unica finestra da cui posso sporgermi senza rischiare di precipitare, ossia il mio sguardo, devo confessare che la soluzione Camus è per me impraticabile: ho smesso di mangiare carne di maiale, e i numerosi tentativi di stare meglio hanno ottenuto quale risultato il trasferimento delle mie esigue finanze a medici e psicologi. Alcuni di essi erano in buona fede, altri, inizio a sospettare, avevano le dita incrociate durante il giuramento di Ippocrate. In fondo è un gioco delle parti, per alcune persone il nostro male è la loro festa.

Esiste però anche quell’altra forma di separazione a cui accennavo: un’uscita di scena dignitosa, senza alcun messaggio simbolico (in genere punitivo, colpevolizzante) da inviare a chi resta. Secondo gli antichi gnostici il corpo rappresenta una sorta di guscio, le delizie del tuorlo sono celate al suo interno. Un’immagine che mi fa tornare alla mente quando mia nonna mi inviava in missione nei luoghi più impervi del fienile, dove le galline, da lei lasciate razzolare in libertà, deponevano le uova.

Ora le galline e la nonna non ci sono più, il fienile, insieme alla fattoria tutta, è stato venduto a un’asta fallimentare, e se anche non ci fosse più chi dice io in questo testo un po' finto e un po' vero, come tutti i testi, sono certo che non vi perdereste molto. Io invece ci guadagnerei la fine di una sottrazione quotidiana e dolorosa e implacabile, come gocce d’acqua (plinc... plinc... plinc...) che sfuggono a un rubinetto rotto. Ma la remissione di una passività, in matematica possiede comunque segno positivo.

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