giovedì 30 giugno 2022

Meduse


Ieri alle 23 e 42 ho saputo che è morta la mia fidanzata. Solo un dettaglio che non ne avessi una – da quando prendo venti gocce di Citalopram, non si dimentichi dice lo psichiatra, e 0,5 milligrammi di Rivotril per dormire la sera, sono sparite le fidanzate. Ma di fronte alla morte la coniugazione dei tempi amorosi si fa più elastica e indulgente. Si tratta infatti della mia prima fidanzata, sono già più di dieci anni che è morta. Io però l'ho saputo alle 23 e 42 di ieri.

Stavo parlando sotto casa di un amico dopo essere stati in un'enoteca a bere vino resinato greco, la conversazione finisce sulla città di Arezzo. Ma sai che la mia prima fidanzata era di Arezzo, dico io, fammi vedere che fine ha fatto, sarà decrepita come noi... Afferro lo smartphone e inserisco il nome sulla barra di Google (un nome poco comune, da ballerina di flamenco) e scopro che è morta. A cinquant'anni. Di infarto. Se fosse ancora viva ne avrebbe ora sessantatré.

"Sarà decrepita", che battute sceme fa pronunciare il vino resinato greco. La prossima volta, concludiamo senza bisogno di parlare, basta un'occhiata di reciproco imbarazzo, si torna alla birra belga ambrata!

Si era fatto tardi e sono rincasato, neanche il tempo che l'auto passasse da benzina a gpl. Scoprire che la tua prima fidanzata è morta, una sensazione strana... Ci sono ventisette gradi e non riesco ad addormentarmi. Prendo un lungo sorso di acqua con lo sciroppo di sambuco, il Rivotril ci mette mezz’ora a fare effetto. La seconda e la terza, continuo a rimuginare, non è che possono pure morire ammazzate, chi se ne frega. Dispiacerebbe anche per loro. E però, la prima fidanzata, davvero una strana sensazione. Ma perché continuo a chiamarla fidanzata? In realtà, a essere precisi, si trattava di un'amante, lei era sposata ma avevamo finito coll'innamorarci. Ieri alle 23 e 42 ho saputo che è morto il mio primo amore, ecco.

Era più vecchia di me di sette anni, quando hai appena finito le scuole superiori sono entrambe cose stimolanti: avere un'amante e che sia più vecchia di te. Vado a letto con una donna matura dicevo agli amici del Bar Sole, una donna di ventisette anni; a quell'età Rimbaud aveva già smesso di scrivere da un pezzo, e il termine milf veniva limitato ai film porno. Quindi attendevo che ricambiassero le mie parole con uno sguardo di invidia, lo stesso sguardo riservato a chi stabilisce il record a Pengo, il videogioco in cui un pinguino deve fare tris con i cubetti di ghiaccio; stava proprio all'ingresso del bar per non rompere le scatole ai clienti veri, quelli che bevono soltanto e tanto e poi bevono ancora. Il resto lo facevano i suoi capelli lisci e neri, il taglio alla Valentina nelle tavole di Crepax, o la carnagione chiarissima, le gambe scolpite di chi ha praticato per molti anni la danza classica, per non dire del sedere a sbalzo delle donne africane quando portano sul capo una cesta colma di frutta... Dai, invidiatemi! E l'invidia arrivava puntuale, magari sotto forma di qualche battutaccia sulle donne mature.

L'ultima volta che l'ho vista era venuta a Sondrio a trovarmi poco prima di Natale. Non so che scuse raccontasse al marito, o se anche a lui avesse regalato un profumo che andava allora per la maggiore; note di incenso, cuoio e violetta, la scia poteva essere avvertita anche cinque minuti dopo che eri uscito dalla discoteca. Io avevo ricambiato con un foulard damascato e un’audiocassetta di Claudio Lolli. Conteneva una canzone, Donna di fiume, che chissà perché mi faceva pensare a lei: "Credo di avere provato l'amore, / almeno una volta, con una donna / travolta da correnti di fiume, / bianca e moribonda come una prima / comunione, libera e buia come / i miei occhi tra le dita..."

Più tardi avevamo cenato con mia madre e il suo amante, un coetaneo di lei molto bravo a raccontare barzellette, ne accompagnava lo sviluppo con il sorriso di Raul Gardini quando stava al timone del Moro di Venezia, un berrettino blu a coprire il diradare dei capelli brizzolati. Non che mia madre fosse così disinvolta da tradire mio padre davanti a me, erano già separati, ma quell'uomo invece no, anche lui da qualche parte aveva ancora una moglie. Poco male pensavo io: mio padre ha lasciato mia madre per l'amante, adesso anche lei ha un amante e io completo il quadro. Mi sembrava di stare dentro a un film di Truffaut, di quelli che i titolisti italiani traducevano ammiccando allo spettatore: "Non drammatizziamo... è solo questione di corna."

Ricordo che durante la cena ero andato in camera a cercare qualcosa, forse le immagini di una motoretta che mi sarebbe piaciuto acquistare, oppure un libro di biologia marina; in quel periodo ero in fissa con tutto ciò che riguarda il mare, le strane e bizzarre creature degli abissi, le più impressionanti sono le meduse giganti. Intanto mia madre stava in cucina a preparare il dessert. Il giorno dopo la mia fidanza, no, la mia amante e insomma ci siamo capiti, a colazione mi ha rivelato che l'uomo ci aveva provato con lei. Quando erano rimasti soli in soggiorno le ha infilato una mano tra le cosce; indossava sempre dei fuseaux neri che le stavano molto bene, un lupetto da esistenzialista dello stesso colore. E va be', ho pensato, si vede che a diventare grandi funziona così. Quindi mi sono concentrato su un frollino che faticavo a deglutire, forse non l'avevo intinto a sufficienza nel Nesquik.

Non ho mai raccontato a mia madre cosa fosse successo mentre inondava di panna il Montblanc. Dopo qualche mese comunque non ho più incrociato quel tizio per casa; peccato, perché alcune barzellette facevano piegare in due dalle risate. Ho avuto sue notizie solo tempo dopo, ne parlava un domenicale di provincia o, meglio, vi accennava la locandina. Non ho acquistato il giornale ma si trattava certamente di lui, me l'ha confermato il mio amico appassionato di vini resinati greci. La foto era confusa, ma, anche il mio amico, l'ha riconosciuto dal sorriso alla Raul Gardini. Era incorniciato da una bacheca di metallo esposta davanti all'edicola dove da piccolo attendevo l'uscita dell'ultimo albo di Zagor, lo spirito con la scure che difende gli indiani della foresta di Darkwood. Il titolo strillato e a caratteri enormi, del tipo "PROFESSIONISTA SONDRIESE MOLESTA DUE BAMBINE A CUI AVEVA OFFERTO UN PASSAGGIO", e per la prima volta ho pensato a mia madre come a una bambina. Una macchina scura accosta, cosa fai piccola tutta sola, vuoi che ti accompagni a casa? E mia madre annuisce con un movimento appena accennato delle trecce.

Oggi invece il bambino sono io. Vulnerabile, frignone, perfino un poco risentito, tradito. Non è forse un tradimento, il vuoto? Quello lasciato dalla scomparsa del primo amore ricorda una bicicletta, la bicicletta che ognuno ha dimenticato almeno una volta in garage – le gomme diventano flosce, un tappeto di polvere ricopre il sellino, si distende al tubo superiore e a quello trasversale, al piantone, più triste di tutto è guardare (e infatti non lo fai) al campanello un tempo lucido e squillante. Se però qualcuno te la frega, ti incazzi come una bestia! Ma che dico, è il contrario: è quando ti fregano la bicicletta che è come vedere il primo amore incamminarsi verso la morte: "Vado prima io, tu resta ancora un poco qui a bere schifezze con i tuoi amici."

Provo a scorrere un ideale menu di paragoni, per dare una forma definita alle sensazioni che mi attraversano. Ma, come faccio in pizzeria, non riesco a scegliere, indugio, mi blocca il dispiegarsi delle possibilità. Alla fine scelgo sempre la pizza capricciosa, di tutto un po'. Tra cui, in questo caso, perdere i genitori, diventare orfani, sempre e per sempre adulti, come le donne mature che sognavamo da ragazzi. Ma quando è finito, esattamente, quel sogno: alla 23 e 42 di ieri sera?

Probabilmente molto tempo prima, il giorno in cui intingevo dei frollini impermeabili al Nesquik, mentre una ragazza di ventisette anni mi raccontava di essere stata palpeggiata. Lei forse si aspettava che uscissi di casa, urlassi in faccia a Raul Gardini le stesse accuse con cui titolava la locandina, magari gli sferrassi anche un cazzotto sulla faccia dall'abbronzatura naturale e intensa, a scheggiare i denti bianchi che esibiva nel finale delle barzellette. Si aspettava che facessi l'uomo. Invece niente, spallucce. E ora è troppo tardi per la frase che non riusciva a pronunciare Arthur Fonzarelli: ho sbaglt... sbatg... sba... Insomma, scusami.

23.42, e l’orologio è ancora fermo lì. Però mi sembra di avvertire un ticchettio lontano, un esilissimo filo di sabbia che riprende a scorrere nel collo della clessidra, proviene dalla spiaggia di parole che avete appena letto. È tutto vero tranne una cosa che non rivelerò. E da quella un'altra piccola bugia, una nuova invenzione, fino a trasformare l'impasto in un castello che la prossima onda spazzerà via, e così da capo con un nuovo castello di sabbia. In fondo adesso sono grande, e tra grandi funziona così. Una barzelletta tira l'altra, un racconto, una canzone o un profumo. Castelli. Non fa troppa differenza l'architettura prescelta, basta non guardare mai nella direzione del mare. Dove abitano le immense soffici terribili meduse.

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