lunedì 13 giugno 2022

Fedez c’est nous, o sul tramonto del pronome io


Fedez pubblica su Instagram gli audio delle conversazioni con il suo psicologo, avvenute nei giorni bui della diagnosi di un tumore al pancreas. La notizia ha sorpreso molti, c’è stata ironia, sarcasmo, in altri casi partecipazione empatica, sostegno. Insomma, se ne sta parlando molto.

Confesso di essere sorpreso più da questo brusio secondario che dal fatto in sé. Fedez, assieme alla famiglia che gli fa da specchio, ci ha infatti abituati da tempo a un totale rimescolamento delle categorie di dentro e fuori, pubblico e privato, intimo e manifesto; da cui la perdita di senso anche di termini quali pudore, discrezione.

Una scelta, non so quando consapevole e voluta, che produce, a cascata, l’annichilimento di altri costrutti linguistici, tra cui quello condensato in una delle parole più piccine e forse obsolete: io.

L’identità personale, per costituirsi, ha necessità di una narrazione autobiografica, che ha il suo terreno fertile proprio nella discrezione; etimologicamente, quel discernimento nato dalla separazione (tra una parola e l’altra, ma anche tra sensibilità diverse, donne, uomini) che in Fedez è venuta meno, perfino quando compie la più discreta delle attività: la ricerca del fondamento individuale grazie all’aiuto di uno psicologo

Ma se la fondazione psichica di Fedez – è una domanda – non avvenisse malgrado l'ostensione pubblica e piuttosto grazie ad essa, in un’im-mediata omogeneità al tutto?

La persona, sempre più assimilata al personaggio, avrebbe così realizzato la sua vocazione a essere emblema, e non solo nel mondo social-pop-glamour che gli fa da sfondo. Un emblema e un’anticipazione del destino evolutivo a cui tutti siamo chiamati, attraverso una progressiva erosione della differenza esistenziale – il pronome io, appunto – a fronte di un noi indistinto, liquido come vuole una fortunata formula della sociologia.

Detto altrimenti, le sue sedute psicologiche erano già da principio una terapia di gruppo, che come è giusto che sia ora condivide con quell'illimitata prateria di follower che ne costituisce la non identità; dove il dolore del singolo fa tutt'uno con la ferita del mondo, in una sensibilità a un tempo antica e ipermoderna, quasi sciamanica.

Ma andrebbe a questo punto attualizzata la celebre battuta attribuita a Flaubert, il quale, parlando della protagonista del suo più celebre romanzo, così ci si immagina concludesse: “Madame Bovary c’est moi”. No, Fedez n’est pas moi: Fedez c’est nous.

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