domenica 26 giugno 2022

E levate ‘a cammesella, o sul denudamento totale


Un mio contatto Facebook pubblica una propria fotografia, immagino in condizioni ampiamente esposte, forse in costume da bagno. Lo immagino solamente perché quel mio contatto femminile, dopo poche ore, rimuove il tutto e pubblica un altro post, in cui spiega le ragioni del ripensamento: "Avevo paura, temevo i commenti. La possibilità di essere giudicata."

Ma si avverte nelle sue parole un rimpianto: da un lato desidera mostrarsi, rivelare ciò che sente non solo in parole ma attraverso l’immagine che le fa da specchio – il corpo in cui si identifica, la carne che fa tutt’uno con le emozioni che la innervano –, secondo quel sentire ipermoderno che porta Fedez a condividere gli audio delle conversazioni con uno psicologo; dall'altro lato teme le conseguenze del suo desiderio.

Un post, e un'emozione, che trovo condivisibili, addirittura emblematici. Mi sembra infatti che tutti noi – chi più chi meno – viviamo lo stesso ambivalente stato d'animo, in cui c'è una sorta di calamita gigante ad attrarci verso una condizione che potremmo chiamare di post intimità, nella quale i confini tra io e mondo vanno progressivamente sfumando. Ogni residua porzione di singolarità va dunque sottratta alla dispensa del pudore ed esposta tra le pietanze del banchetto. Poi però la luce abbaglia, abbiamo nostalgia della penombra e cerchiamo il conforto degli occhiali da sole.

Un vero e proprio nuovo evo psichico, dove l'erosione della dimensione privata rende possibile il palesarsi di un'umanità finalmente libera da un nome e un cognome iscritti sul documento anagrafico, a definirci quali individui. Essere un individuo, ma cosa significa di preciso?

Provando a semplificare decenni di psicanalisi: percepire un limite astratto, un confine cognitivo che ci mette in relazione ma anche separa dagli altri, secondo un itinerario storico e culturale tutto sommato recente; non sono nemmeno 2500 anni, con le premesse materiali che possono essere rintracciate nell'invenzione dell'agricoltura e nella conseguente urbanizzazione, e quelle culturali nella filosofia greca (Socrate, in particolare) e nel cristianesimo (Agostino).

Il sentimento dell’identità, scaturito da questo nucleo di coscienza separata, però comincia a traballare: desideriamo ancora essere riconosciuti e amati nella nostra differenza biografica, ma il canto collettivo delle sirene si fa insinuante e imperioso. Forse perché presagiamo una sviluppo radicalmente nuovo, fiammeggiante di futuro come le automobili in corsa ritratte da Umberto Boccioni; ma allo stesso tempo tutto ciò odora di antico, altro che Boccioni: piuttosto un uro tracciato nelle grotte di Lascaux, a riecheggiare la disposizione animistica e sciamanica delle antiche comunità, dove il singolo era impastato dagli umori e dalle “colpe” del gruppo, perfino quelle degli antenati che aleggiavano come componenti a tutti gli effetti.

Teilhard de Chardin chiamava il nuovo tempo che si dischiude epoca dello Spirito, in cui al Padre (Dio) e al Figlio (Cristo) succede l'affermazione dello Spirito Santo, quale legante di un sentire che solo per approssimazione possiamo definire umano, essendo ormai del tutto indistinto e integrato. Altre menti intuitive e profetiche hanno trovato definizioni più o meno eccentriche, tra cui Vladimir Ivanovič Vernadskij, mineralogista e geochimico russo, che dopo la geosfera e la biosfera quali premesse funzionali alla vita, intravede l'affermazione di una sfera intangibile e rarefatta identificata col termine greco nous, in cui i popoli finiranno col convergere dissipando ogni confine individuale. Il suo nome: noosfera.

La formula che io continuo a preferire appartiene però allo scrittore David Foster Wallace, il quale chiamava messa a nudo totale l'esperienza che stiamo vivendo, complici i nuovi media. In essi è diffuso il desiderio di scoprirsi, denudarsi a tutti i livelli: si mostrano i pensieri, i gattini, i figli e i cantanti che fanno breccia nel nostro cuore, addirittura le copertine dei libri appena letti. Ma si mostrano anche le spalle, le gambe, le donne più ardite lasciano intravedere i seni, nel tentativo mai davvero compiuto di raggiungere quella nudità che è letteralmente o-scena, secondo la pseudo etimologia inaugurata da Carmelo Bene: la scena pubblica è un codice, e ciò che lo confuta viene proscritto dalla polis come era per il sacro nell’antichità.

Su internet il denudamento totale finisce così col rivelarsi un’utopia, non possiamo realizzarlo perché il galateo social vede nell’esibizione dell’intimità residua (i capezzoli, la fica, il cazzo) l'infrazione a un tabù fondato sul mantenimento di un ronzio uniforme e senza spigoli – e se una porzione di corpo è intima, per logica non può essere resa pubblica. Ma è qui che i social mostrano la loro ingenuità. Nei goffi e parziali tentativi di denudamento da compiuti, solo apparentemente cerchiamo di affermare la nostra identità – il mio corpo sono io, non sei tu – ma a ben vedere è un atto di resa.

Ma torniamo all’esempio da cui siamo partiti. Il mio contatto che ha prima pubblicato e poi rimosso le sue foto, è come se ci sussurrasse all’orecchio: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi.” Dove il sacrificio è con tutta evidenza quello a essere qualcosa, qualcosa che per sua natura non è tutto, qualcosa dunque di distinto, individualizzato, e non invece il luogo di convergenza e identificazione di uno sguardo collettivo. Ed è ancora il pronome noi a prevalere sull’io, nel denudamento totale che ci porta a canticchiare una vecchia canzone napoletana: e levate ‘a cammesella… ‘A cammesella gnernò, gnernò! Ma chi prima chi dopo, ‘a cammesella ce la dovremo levare tutti!

Ps – In foto e per coerenza al testo, sono io. Ma in una fotografia scattata quando avevo ventitré anni. Altre e più recenti foto senza cammesella, non ne ho.

3 commenti:

  1. Per coerenza col testo avresti dovuto fartene una, postarla e poi cancellarla. Questa foto non va bene.

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    1. E perché mai? Non sono Sgarbi che si fa i selfie mentre fa la cacca, questo cascame di fine anni ottanta è ciò che passa il convento. Se preferisci, puoi inserirlo nella rubrica: come eravamo... 😉

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  2. Intanto - al netto delle chiacchiere svianti - la tua fotina fighetta l'hai piazzata.. ;)

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