mercoledì 12 luglio 2017

Vaccini 2



Ho scritto, nei giorni scorsi, un breve intervento sul tema incalzante dei vaccini. Non possiedo informazioni approfondite sull’argomento, e dunque la prospettiva da cui mi sono espresso non era tecnica ma filosofica, con cui ho un pizzico in più di familiarità.
Mi sono quindi concentrato sulla distinzione, fondamentale, tra libertà personali e libertà collettive, da cui gli eventuali conflitti che ne possono sorgere – è infatti questo il caso, con la libertà personale di non vaccinarsi che confligge con la libertà collettiva di non essere contagiati (libertà che il legislatore sta giustamente cercando di tutelare, almeno nelle scuole che sono, e si spera rimangano, pubbliche).
Ma non voglio ripetere quanto già scritto, concentrandomi sui commenti che mi sono piovuti addosso, anche in forma privata. L’argomento era quasi sempre il medesimo: non è vero che i vaccini sono innocui, anzi, fanno malissimo!
Peccato che io non abbia mai scritto il contrario. I vaccini sono infatti un farmaco, termine che discende dal greco pharmakon, a significare sia cura sia veleno. Ogni farmaco possiede dunque effetti collaterali, rischi, controindicazioni, che per quanto riguarda i vaccini appaiono davvero contenuti, ma non è il caso di ignorare ed è quindi giusto continuare a dibattere – con competenza.
Il leitmotiv dei commenti riguardava però anche tale aspetto, la competenza, nella forma di un diffuso discredito di ogni sapere pubblico, e ciò malgrado il metodo di scambio e confronto in cui esso matura. In altre parole: gli immunologi non capiscono un cazzo.
Di contro, si faceva largo una forte fiducia nelle proprie capacità di valutazione e discrimine, che si alimenta, perlopiù, di notizie raggranellate sul web, confidenze dell’amico dell’amico dell’amico (a cui dopo una vaccinazione è cresciuta una miniatura della capanna di Betlemme, una bella capannina che lampeggia di notte proprio al centro della fronte, con tanto di asinello e bue), ossia quel che si dice controinformazione.
In particolare, ho trovato significativo l’intervento di una ragazza di nome Beatrice, il cui pensiero può essere sintetizzato a questo modo: l’informazione ufficiale è falsata e gli immunologi, brutti stronzi, sono dei prezzolati al soldo di losche multinazionali del farmaco, che dicono ciò che le stesse multinazionali desiderano venga detto, oltre che scritto e cartabollato, pena la scomunica con conseguente espulsione dalla comunità malavitosa della scienza, avviandosi a un misero destino da questuanti e clochard. E tu vuoi credere a questa gentaglia?
Non esagero, il senso e il tono erano davvero questi, che ritrovo in infiniti commenti sul web, non necessariamente sul tema dei vaccini ma su ogni altro aspetto dello scibile umano.
Ora, io non entro assolutamente nel merito delle capacità, studi, facoltà intellettuali delle persone che si esprimono a questo modo, ma vorrei provare a portare il loro pensiero alle estreme e logiche conseguenze degli assunti da cui partono, secondo il noto principio che è dal seme a venire la pianta, ma se ti cade una pigna in testa allora è meglio scansarti.
Ad esempio, quando viaggio in autostrada e vedo un cartello che mi indica: Barletta km 20, perché dovrei crederci, perché dovrei fidarmi dell’indicazione toponomastica di qualche impiegato dell’ANAS assunto grazie a un concorso certamente truccato, probabilmente è iscritto sul libro paga di un distributore di benzina nei paraggi, massì, avrà degli oscuri nonché corrotti interessi da tutelare, come posso dargli credito?
Concludo quindi che l’informazione stradale non è attendibile: Barletta sarà più vicina, o più lontana, ma di sicuro non a venti chilometri. Che si credevano, che ero fesso io…
E così qualsiasi cosa, c’è sempre motivo di dubitare di quel che ci viene detto, specie quando la fonte proviene dai soloni delle accademie, le cui sentenze valgono quanto le nostre opinioni, né più né meno, questo è il nuovo e diffuso credo, questa la democrazia del web.
Gli antichi greci avevano parole buone anche per l'argomento, in particolare due termini: doxa ed episteme. Con il primo si riferivano all’opinione corrente, come l’agenzia statistica che porta lo stesso nome, mentre il secondo vocabolo indicava una forma di sapere più elevato, uno stare sopra (epi-steme) alla maniera dello sgabello da cui l'arbitro a tennis fischia il doppio fallo, da immaginare quale luogo intangibile alla disputa tra opinioni contrapposte. Dunque certo, sicuro: Vero.
La filosofia moderna ci ha però messo in sospetto sull'incontrovertibilità di qualsiasi conoscenza acquisita, e in alternativa all’episteme antica preferisce parlare, dopo Karl Popper, di verità con la vi minuscola, verità falsificabili e senza alcun piedistallo metafisico da cui arbitrare i destini umani.
In pratica, una verità è tale, per la scienza, non quando è assodata una volta per tutte, ma quando è aperta a possibili smentite; senza naturalmente che queste siano ancora state presentate, e ciò con argomentazioni coerenti e verificabili. Nel caso, l’obiezione dimostrata si tradurrebbe nella nuova verità relativa.
Ritornando allora al nostro esempio, io mi aspetto che la persona che ha stimato in venti chilometri la distanza di Barletta dal cartello abbia fatto delle misurazioni accurate. Ma il giorno che venissero prodotti degli strumenti di misurazione più precisi, questo dato potrebbe essere contraddetto, e così troveremmo scritto sul cartello: Barletta km 1,9, scusateci, ci eravamo sbagliati.
Se mi avete seguito fin qui, non sarà difficile applicare lo stesso schema di pensiero ai vaccini. Concludendo che i vaccini attuali non sono perfetti – di certo sono migliori dei vaccini di cinquant’anni fa, e peggiori di quelli che verranno realizzati tra cinquant’anni –, ma nemmeno sono ancora stati smentiti da nuovi saperi medici miracolosi, che l’amico dell’amico di prima ha scovato su internet, e ora ci raccomanda con una strizzatina d'occhio.
Tale convinzione nasce dal fatto che la comunità degli immunologi parla, si confronta, non sempre sono d’accordo ma il loro orizzonte è il medesimo, e non coincide con l’assoluto dell’episteme greca almeno quanto è estraneo alla giostra selvaggia della doxa, l'opinione che basta a sé stessa.
Piuttosto, la sintesi che ci propongono (il paradigma vincente) riflette le conoscenze più solide che attualmente si danno sulla materia, ben sapendo che domani verranno superate da conoscenze e cure, anche preventive, ancora più solide e accurate.
Certo, non possiamo però negare che alcune linee di ricerca, e alcuni ricercatori, godono di maggiori sostegni finanziari, e ciò per interessi spesso privati e lucrosi, che condizionano i risultati finali. Ma questo è un limite del tutto politico, non metodologico, che sempre politicamente potrebbe essere arginato, se non proprio superato. Ci fosse solo la volontà… 
La medicina, in ogni caso, come ogni altro sapere che voglia unire e non dividere, rappresenta un compromesso tra desiderio del bene, per definizione assoluto, e possibilità storicamente date. Nella migliore delle ipotesi quel che ne viene è un benino, con la postilla potrebbe fare meglio, come facevano i vecchi maestri per spronare gli alunni più indolenti, a cui raccomandavano di studiare.
La complessità della vita attuale non può infatti prescindere da un sistema di delega del sapere, ma non dobbiamo fare affidamento alle persone quanto al criterio con cui ottengono le conoscenze di pubblico interesse, in una sintesi che, come già visto, sarà sempre provvisoria e perfettibile, a volte anche sbagliata, pazienza, sorry, la prossima volta faremo meglio. Diversamente, dovremmo girare con una bindella per misurare la distanza tra Barletta e il resto del mondo, che non è esercizio troppo agevole...
Negare queste premesse significa negare anche la possibilità di un dialogo sensato tra persone, e a chi predica di complotti sanitari, lobby mediche criminali, vaccini killer e altre affermazioni non verificabili – dunque nemmeno falsificabili io non replico che hanno torto, non sono un esperto, o un epi-stemologo, ma non hanno neppure ragione. Semplicemente non hanno nulla, solo un pugno di mosche verbali.
L’unica sarebbe forse domandargli, come ho già fatto con Beatrice, se sono poi così certi che Barletta esiste per davvero… E se invece non esistesse… se fosse una centrale aliena per il ricovero di UFO un po’ ammaccati… se la CIA vi avesse nascosto tutti i coccodrilli pescati nelle fogne di New York… se se se…


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