venerdì 14 luglio 2017

Aggiungi un posto a tavola, o sulla sociologia prandiale




Un conoscente ti invita a casa per consumare un pasto assieme, c’è anche la sua famiglia. Non importa se si tratti di un pranzo, una cena, a volte perfino di una colazione all’americana; un breakfast ti dicono con la pronuncia nasale anglosassone, si vede che sono persone di mondo. Quale che sia il caso, si presenta sempre il problema della distribuzione dei posti a tavola – dove mi siedo? – che segue tre criteri di assegnazione:

1)   Vieni fatto accomodare in quello che è considerato il posto migliore – prego, prego, prego… non smettono di dirti prego –, che non è necessariamente a capo tavola, ma comunque è una posizione di riguardo. Ti spetta in base ad antichi e sentiti codici di ospitalità, che nei secoli si sono sedimentati in galateo.
Noi siamo persone ben educate, ti vogliono comunicare.

2)  Dai, entra, mettiti comodo... Come dove? Scherzi? Dove vuoi, fai come se fossi a casa tua: totale libertà di scelta. Attento che magari ci sono ancora i peli del gatto, sul cuscino della sedia.
Noi siamo persone democratiche, intendono suggerirti in questo caso, persone disinvolte e alla mano. (In genere sono gli stessi del breakfast, e, più che alla mano, loro si sentono easy going).

3)   No, lì no, è il posto del nonno! Nemmeno quello, scusa. C’è il bicchiere con Homer Simpson, vedi: è il posto di Paolino. A me e mia moglie piace sedere sempre vicini. Ecco, rimane, per te, la sedia sullo spigolo del tavolo, ma se stringi un po’ i gomiti ci stai.
Non chiederti però che significa. Non vogliono infatti comunicarti niente, nessun simbolo o sotto testo da decifrare. Semplicemente sono abituati a questo modo. E il modo, il loro modo almeno, coincide con il loro mondo.

Di solito si tende a credere che la famiglia uno rappresenti la forma, la due la sostanza e la tre, beh, la tre una certa ottusa rigidità mentale.
I pesci più grossi però non nuotano in superficie, e anche con l'amo delle nostre convinzioni conviene ogni tanto pescare più a fondo. Ad esempio, io preferisco di gran lunga gli inviti del terzo gruppo. In queste occasioni mi sento infatti in famiglia, un’autentica famiglia, che non è un luogo di carinerie leziose, ma nemmeno di disinvolta libertà e cazzeggio.
La famiglia è piuttosto ordine, codice, gerarchia; ciascuna possiede però i propri ordini, codici e gerarchie. Natalia Ginzburg lo chiamava lessico familiare, ma era pur sempre una grammatica del potere, per quanto davvero piccina piccina. 
In genere tutto ciò viene occultato dentro a un sorriso, la scritta welcome impressa sopra allo zerbino, che però non cancella la piramide implicita a ogni gruppo umano, minimo o grande che sia. Il suo essere, insomma, l'unità di potenza di una caserma. La famiglia tre è allora solo un poco più ingenua, dunque più vera.

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