domenica 4 agosto 2013

Tito, o sulla bellezza e la caduta


La scrittrice veronese Federica Sgaggio, nel suo blog, ha recentemente postato un intervento di cui raccomando la lettura. Si parla della scomparsa di Tito, il dodicenne (già famoso per il suo precoce talento nell'arrampicare) precipitato in Francia durante un allenamento di free climbing. Al rigoroso procedere per dubbiose e brevi lasse narrative, la Sgaggio accompagna un singolare puntiglio morale, oltre che linguistico, assai poco frequentato dal giornalismo contemporaneo. Tema sui cui lei stessa ha pubblicato un volume che pure raccomando, per la collana Indi dell'editore minimum fax.

Qui il suo intervento. Di seguito, come già in passato, un mio commento.


Lo psicologo analitico James Hillman, da qualche parte, scriveva che “compito di un genitore è quello di farsi delle fantasie sui propri figli". Cioè una rappresentazione, un'immagine o meglio una narrazione, si direbbe ora.

Potremmo magari riassumere lo stesso processo cognitivo con il termine idolo: il padre e la madre che realizzano un sostituto simbolico di loro stessi, e però perfezionato, assoluto e indipendente come un Golem. Il desiderio è quello fin troppo umano di potersi infine rispecchiare, un giorno, al compimento dell'attesa.

Eppure noi proveniamo da una tradizione spirituale che da sempre ci mette in guardia da questa ingannevole tentazione. Viene scritto in Esodo 20, 4: 

"Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra."

Credo dunque che l'invito di Hillman, più che a un progetto pedagogico, consenta a un moto naturale dello spirito, in cui sono già compresi errore, fallimento e caduta. Quasi che il terribile esito dell'ultima arrampicata del piccolo Tito, "promessa italiana del free climbing”, titolano con la consueta superficialità i giornali, fosse anche una metafora.

E infatti il grande studioso pensava che l'immagine-seme, da incuneare nella terra smossa dal nostro aratro, non servisse tanto a rigenerarla nelle fattezze di un desiderio compiuto (ma anche estraneo) che un giorno sarebbe sbocciato a coronamento degli sforzi educativi. Piuttosto a suscitare una risposta difensiva o comunque una re-azione, letteralmente.

Il figlio, proprio perché violato dall'immaginazione familiare, da una fantasia che è tanto più insinuante quanto più avulsa se imposta da una cattedra affettiva, verrebbe insomma stimolato a rintracciare un'immagine autentica dentro di sé. Riprendendo il mito di Er contenuto nel libro X della Repubblica di Platone, tale nucleo intimo e irriducibile, simile alla ghianda per la quercia, è stato chiamato "daimon":

l’unico e originario e impellente progetto di vita di ciascuno, o più comunemente la propria strada.

Ora io non so se arrampicare sia stato un modo per trovare la propria strada, il proprio daimon oppure per compiacere a quello dei genitori, i genitori di Tito, differendo di continuo l'incontro con lo specchio. Allo stesso modo Federica Sgaggio non sa darsi una risposta sull'inglese: sarà un giorno la lingua-demone di suo figlio, a cui lo prescrive fin da piccolo, o l'ennesimo idolo con cui rivestiamo i nostri desideri incompiuti...?

Trovo però sensata la prospettiva di James Hillman, che considera lecite le intrusioni familiari: non solo perché tanto diffuse ma anche giuste, in quanto inevitabili e produttive di ciò che lo stesso Hillman chiama "individuazione", riprendendo la più celebre teoria del suo maestro Jung.

Ma a volte a me sembra perfino bella, questa situazione instabile tra sogno del tramonto e necessità dell'aurora. Un'altalena che infinitamente pencola tra io e altro, io e altro, io e altro... Dove la vera collocazione del soggetto sta forse proprio nello slancio, nello iato – chiamiamolo pure anche viaggio – che separa la meta dall'abbrivio.

E per quanto, nella circostanza, il termine bellezza mi appaia quasi blasfemo, di certo scandaloso oltre che vagamente importuno. Scandalosamente bello è l'andare tra le cose del mondo, ecco. Da cui anche i più capaci ogni tanto cascano giù.

(Ps - Con un piccolo fiore per Tito – una stella alpina, naturalmente.)

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