martedì 13 agosto 2013

Don’t feed the troll, ovvero ragioniam pur di loro (e di noi), ma guardando e passando





Don’t feed the troll! Non nutrire il troll, alla lettera. Un’espressione (un’esortazione, meglio) anglosassone dal significato alquanto vago, enigmatica già a partire dalla natura del suo oggetto. Il dizionario Devoto Oli prova a spiegarlo a questo modo: “Nelle leggende scandinave, abitante demoniaco di boschi, montagne, luoghi solitari: corrisponde all’orco di altre tradizioni popolari europee. [Dal norreno troll].”

Esiste però anche un significato estensivo, con una sua attualità e perfino urgenza in rapporto alla comunicazione sul web: forum, social network, spazi pubblici di discussione. Il troll, all’interno dei nuovi contesti tecnologici, si riconfigura come una sorta di orchetto polemico e impertinente, che gode nel suscitare contese e battibecchi. Ma per riconoscere la presenza attiva del troll tra i nodi della grande rete, l’unità di misura fondamentale diviene quella del tempo: quanto tempo siamo riusciti a perdere incollati a un monitor baluginante, quante parole abbiamo osservato comparire e subito smarrirsi nella foga del momento, arguzie, sarcasmi, insulti che poi scivolando lentamente dalle palpebre, come magma sulle pendici arroventate del vulcano? Una voragine, e però chiassosa e molesta, una continua friabile dissipazione di noi stessi, che conduce al buco nero in cui viene inghiottita la preziosa radianza dell’attimo, insieme alla lunga catena del significare.

Il suggerimento di non nutrire l'agente segreto dal gran regno di Zizzania  – don’t feed the troll! – diventa dunque la messa in guardia da un meccanismo automatico quanto sterile, sempre in agguato e sempre puntualmente verificato. Già che il mezzo, in questo caso, è realmente il messaggio. E’ il messaggio consiste nello smisurato appetito del troll.

Provo a darne un esempio recente, copiando – se non altro come memento personale a non ricascarci – una discussione su Facebook, che mi vede nell'incauto ruolo di  coprotagonista.

1) Premessa. 

Ricevo un messaggio dalla brava attrice Alessandra G. Non ci conosciamo personalmente, non abbiamo insomma mai incrociato sguardi e bicchieri in quel gran carrozzone che chiamiamo vita vera (come se esistesse una "vita falsa", e non fosse invece solo una diversa e più vigile forma d'apparenza...), non ci conosciamo ma fa parte dei miei virgolettati "amici" su Fb. Il messaggio così recita:

Alessandra G. ti ha invitato a cliccare “Mi piace” sulla sua pagina Alessandra G.

2) Dopo averlo letto,

mi rimane una strana sensazione tra la lingua e il palato... E' una formulazione standard, d’accordo, non è la prima volta che ricevo comunicazioni di questo tipo. Ma ogni volta quella sensazione amarognola si riproduce, puntuale come il vecchio slogan di un dentifricio: "Ti spunta un fiore in bocca". Solo che, in questo caso, è un topo a spuntarmi in bocca. Trovo quindi che ci sia materia per qualche considerazione di carattere generale, che provo ad abbozzare in un breve intervento sul blog (questo). In seguito, sotto forma di web link, ripropongo l’intervento anche sulla bacheca di Alessandra G. Aggiungendo le seguenti parole:

ok Alessandra, ho cliccato "mi piace" sulla tua pagina fb. poi, però, di getto, ho scritto questa cosa qui, che ti posto forse con la stessa spregiudicata speranza di piacere a qualcuno, un giorno, forse, chissà...

3) In data 8 agosto alle ore 14.14, Alessandra G. così risponde:

Mi pare che la fai un po' drammatica. Io ho coltivato conoscenze di vari tipi e parlato eccetera. Quando poi si fa una pagina per far vedere le proprie o attività o passioni o quello che sia sia ci sono delle procedure un po' automatiche e sì burocratiche talvolta. Ma nessuno è obbligato a mettere "mi piace" su niente. Si presume che se già la persona si è interessata all'altra persona in sé e per sé possa essere interessata anche alle sue attività. Qua è solo una raccolta più concentrata specificatamente indirizzata mentre nel profilo generico si disperdono tante informazioni per via di post altrui o di commenti più generalisti. IO personalmente se conosco qualcuno in piscina con cui mi fa piacere parlare ci parlo già in piscina e magari se vi voglio uscire a bere un drink gli dò il numero di telefono e non certo il profilo fb (che al momento attuale considero né più né meno di un indirizzario o una vecchia rubrica telefonica con qualche immagine e info in più). Cosa uno sogni o speri quando chiede un contatto fb sta nella sua testa. Lecito sognare, sperare, immaginare ma prendiamo le cose per quello che sono.. Io i like li metto dove vedo qualcosa che veramente mi piace (a parte di default ad amici stretti che se no che amici siamo). Se non mi piace non li metto. Qua è un luogo di scambio di informazioni, non di amici per la pelle i quali non hanno bisogno di fb (o twitter o pinterest o quel che sia) per parlarti, vederti eccetera. Non vedo di cosa bisognerebbe rimanere male. Anche con i vecchi metodi si creavano alcuni contatti chepoi non si sviluppavano mentre altri sì. Sta nella logica delle cose

4) Replica di Guido Hauser, 23 ore fa:

Alessandra, ringraziandoti per l’attenzione, ti rispondo con un piccolo ritardo, di cui mi scuso. e dunque: io non penso (e non ho scritto nell'intervento sul mio blog, che riscriverei parola per parola) che ci sia qualcosa di male nel richiedere il gradimento ad "amici" e conoscenti su facebook. piuttosto qualcosa di strano, ecco, di stonato; ho usato forse anche il termine “volgare”, che continua ad apparirmi appropriato. ma soprattutto non penso (e non ho scritto) nulla di male o di malevolo su di te, limitando il mio sguardo a una pratica a cui hai evidentemente aderito senza farti troppe domande, come si aderisce a una forma di comunicazione virale, potremmo ormai definirlo un galateo. il fatto è che a me interessano proprio i galatei, la comunicazione quando si fa automatica, meccanica e dunque tanto più carica di significato. in questo modo, infatti, è il significato a parlarci, e trascendendo la voce che dice io è “lui” a diventare il vero soggetto del discorso. per usare un tono vagamente pomposo e fingere di conoscere il tedesco, potremmo definirlo l’eco dello “zeitgeist”, quello spiritello beffardo che trova sempre il modo di fare breccia, tanto più quando abbassiamo la guardia vigile dell’attenzione. lo spirito dei tempi si rivelerà allora tanto più facilmente (e visibilmente) proprio su internet, tra le pieghe di forum e social network, di cui facebook rappresenta il peso massimo. ma dal momento in cui, per provare a parlare dell’universale ho tirato in ballo il particolare, e guarda a caso quel particolare era rappresentato proprio dal tuo invito a esprimere il gradimento alla tua pagina fb, provo a riformularti la domanda iniziale. e però da una diversa prospettiva: quella della immaginazione. immaginiamo dunque, non ci vuol molto, che molti uomini già ti abbiano rivolto la più disarmata (ma anche interessata) della dichiarazioni, dicendoti con più o meno giri di parole: “Alessandra, mi piaci.” ma immagino anche che non sia mai successo che tu sia andata da un uomo, gli abbia tirato la giacchetta, per richiamarne l’attenzione, chiedendogli infine non se tu piacessi a lui (anche questo, in fondo, è umano) ma di affermarlo semplicemente, e ciò indipendentemente dal grado di verità dell’affermazione, che in questo modo finisce con l’essere implicita, scontata e triste come la sottiletta distesa dentro al toast. prova dunque a immaginare anche questa seconda scena: Alessandra che va da un uomo, mettiamo per comodità che sia sempre il sottoscritto, e poi gli domandi candidamente: “scusa signor guido hauser, puoi dire, anzi scrivere, così che lo sappia il mondo intero, che io ti piaccio? grazie tante e arrivederci”. lo senti come è strana e stonata questa situazione immaginaria, com’è “volgare”. e perché allora non dovremmo trovare strano e stonato (e volgare) anche il suo equivalente su fb, con l'assurda pratica di mendicare il gradimento - quasi fosse un voto alle elezioni politiche - ad amici e conoscenti. certo, la risposta è quella che già ci siamo dati all'inizio: perché lo fanno tutti. come quelli che ti rispondono che ci si sarà pure una ragione, se milioni di mosche mangiano merda. e così l'ultima domanda che ti faccio e poi, giuro, non rompo più le scatole, diventa: ma sei proprio sicura, Alessandra, di essere una mosca...?

5) Alberto L., 22 ore fa, alza il pollice e poi aggiunge:

cuiapa un mi piace...

6) Alessandra G., 4 ore fa: 

c'è un errore nella premessa di fondo. IO non chiedo a un uomo (perché lo chiedo anche alle donne) se gli piaccio in quanto io se gli piaccio come persona come se dovesse dire a tutti che p interessato e vuole uscire con me. Io gli chiedo (e se vedi la pagina si capisce) se gli piacciono le cose che faccio e cioè la recitazione e gli scritti. Non ho istituito una pagina di rimorchi. Se parti da questo presupposto vedi che tutte le tue considerazioni cadono. Non vado oltre per non essere inutilmente prolissa quanto te.

7) Guido Hauser, 1 ora fa:

Alessandra, io sono stato prolisso per timore di essere frainteso, cosa che infatti è puntualmente accaduta. il dizionario italiano contempla una parola, una sola, piccola piccola, si scrive e pronuncia così: "paragone". ecco, il mio era un paragone, un paragone soltanto, neppure tanto complicato. prendo comunque atto che tu non vedi alcuna relazione significativa tra chiedere, attenzione, NON di uscire con te (di "rimorchiare"), ma di affermare pubblicamente un piacere, che nel caso del paragone era per la persona, mentre nella fattispecie per la sua evidenza sociale. si tratta cioè di due forme nemmeno troppo diverse di “questua estetica” – dove il paragone non sta dunque nella forma, ma nel sostanziale accattonaggio di quel bene prezioso che è l’insindacabilità del gusto. ti ricordo comunque – ci sta pure il caso che tu non lo sappia – che quando tu invii su fb ciò che hai chiamato una richiesta a valutare “se gli piacciono le cose che faccio e cioè la recitazione e gli scritti”, in realtà la formulazione linguistica è ben diversa, ossia la seguente: “Alessandra G. ti ha invitato a cliccare “Mi piace” sulla sua pagina Alessandra G.”. e se a te potrà pure sembrare un garbato invito a conoscere e discriminare, per il resto del mondo si chiama marketing. ossia il modo in cui i moderni hanno deciso di chiamare gli impiccioni e le varie rotture di cazzo… (aggiungo che questa risposta è pubblica e all’interno di uno spazio pubblico di discussione. diversamente, sarebbero in effetti bastate tre parole: “buon per te...”)

8) Conclusione.

Non so se Alessandra G. risponderà mai alle mie ultime parole, sgorgate direttamente dalla gola del troll. Ma già da questo brevissimo scambio dovrebbe essere chiaro il modo di procedere dell’orchetto: per rapidi e quasi invisibili spostamenti semantici, impercettibile come la biscia tra le ninfee, ricollocando la ragione nei territori melmosi dell’emozione, da dove può infine balzare l'ottuso guizzo della polemica.

9) Cosa dunque ricavarne?

Nella circostanza io continuo a credere di aver avuto qualche buon argomento – penso insomma che la ragione stia dalla mia parte, come ogni bravo contendente. Ma se limitassi il pensiero al solo dettato verbale, davvero non avrei capito nulla di come funziona il web. Le caratteristiche del mezzo riducono infatti i meriti teorici, rendendo il tutto simile a un contesto che pure per certi versi gli rassomiglia: la televisione, con Sgarbi che si alza in piedi e comincia a salmodiare il suo mantra: "Capra capra capra..." Se anche avessi guadagnato la ragione astratta, concretamente, in quel diverso gioco linguistico a cui stiamo qui aderendo, ho quindi mancato qualcosa di ben più importante. Ma il guaio è che questo qualcosa non l’ha guadagnato neppure Alessandra, avendo insieme a me perso del tempo, oltre al doveroso controllo sulle parole e soprattutto un minimo di sacrosanta tranquillità.

10) Ma allora chi ha vinto?

Il troll, of course.   
   

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