domenica 18 agosto 2013

Luisa, una storia a colori


(Ho ritrovato, come nella miglior tradizione, questo mio vecchio racconto in un cassetto. La data riportata è il 1998, quindi, a norma, non si può nemmeno parlare di "opera giovanile". Ho comunque fatto una rapida revisione. Per il resto, che dire... Avevo dimenticato l'esistenza di Luisa, un personaggio che vi ripropongo con piacere, ma anche con un certo enigmatico imbarazzo.)



Due sono gli animali che procurano maggiori problemi allo zoo comunale di una città di medie dimensioni che chiameremo Città, una robusta recinzione di cemento ne delimita il perimetro come il puntino nero del Tao e, a sua volta, in un gioco insiemistico a incasso, la Città è il puntino sulla superficie di un paese che chiameremo Paese. Si tratta delle zebre e dei gorilla.
Le zebre perché scalciano, da dietro ma anche da davanti, si issano senza alcun preavviso sui garretti per poi ricadere a peso morto sugli inservienti, che altre volte cercano di mordere quando gli vengono somministrati i pasti. I gorilla per la malinconia, o così almeno sta scritto sulla rivista posata nella sala d'attesa del Dottore.
Luisa viene accompagnata spesso dal Dottore, è ormai un amico di famiglia, quando termina la visita i gentitori gli dicono ciao mentre Luisa dice buongiorno, arrivederci o più di frequente non dice nulla, incamminandosi per il corridoio trapuntato dalle cornici voluminose che contengono i diplomi, l'attestato di laurea, i numerosi corsi di aggiornamento.
 Luisa viene accompagnata spesso dal Dottore ma non è mai stata allo zoo.
"Ehi, Luisa, guarda qui!"
Luisa guarda il Nonno, lo scruta per un tempo dilatato con lo stesso sguardo con cui i giocatori di poker schiudono le carte  fante di cuori, donna di picche, asso di fiori... , ma poi torna ad abbassare lo sguardo, mentre lui continua a sventolare in aria due biglietti gialli.
Oggi il Nonno ha deciso di accompagnare Luisa allo zoo. I genitori sono d'accordo, ne hanno parlato a lungo anche con il Dottore che ormai è un'amico di famiglia, gli dicono ciao e lui risponde con uno svelto cenno del capo. Però non si tratta di un giorno festivo. I compagni di Luisa sono a scuola, è regolare in questo periodo, la Maestra dice: “Aprite il libro di geografia a pagina…” e i compagni di Luisa aprono il libro a pagina…
“Ecco, quella è l’Africa.”
Con l’indice dall’unghia laccata d'azzurro, la Maestra mostra un’ampia zona sulla cartina appesa vicino alla lavagna, la sagoma dei diversi stati come le toppe dell'abito di Arlecchino, i confini sono le cuciture, e ancora scandisce: “A-F-R-I-C-A.”
Luisa è più di un mese che non va a scuola.
La Maestra è preoccupata per Luisa. Telefona a casa. Parla con la Madre. Il Padre chiede: “Chi è?”
“E’ la Maestra, per Luisa…”
Il Padre annuisce.
Il Nonno consegna i due biglietti gialli all'ingresso e poi, con la stessa mano grande e ruvida, impugna forte quella della bambina. Entrano allo zoo. Alle loro spalle si richiude il cancello di ferro battuto. Piccole punte, sembrano lance, alla sommità.
I primi animali che incontrano sono proprio le zebre. Stanno correndo dentro un ampio spazio di terra battuta, nessuna traccia vegetale, devono aver già brucato tutto, c'è solo qualche cumulo di cacca scura qui e là; non è informe e puzzolente come quella delle mucche, somiglia piuttosto a palline di gelato.
Ogni tanto una zebra si inarca e comincia a scalciare, prende di mira qualcosa nell’aria, la vede solamente lei, qualcosa di nemico. I gorilla stanno fermi.
I gorilla stanno fermi e zitti e seduti stretti stretti dentro un recinto molto più piccolo di quello delle zebre. Il Nonno e Luisa lo raggiungono camminando in silenzio, solo il rumore dei passi sul sentiero ricoperto di foglie secche. Un recinto chiuso anche in alto da una gabbia. "Per impedire che i gorilla si arrampichino e scappino fuori" dice finalmente il Nonno. Luisa fa sì con la testa, e subito torna a guardare in terra.
Il Padre afferra il Dottore per un braccio: “Ma cos’ha, cos’ha?!”
"L’Africa è più grande della Svizzera e dell’Italia e perfino della Francia” esclama la Maestra con trasporto. “Molto più grande!” E una volta raggiunto il banco vuoto di Luisa, continua: “Fatemi un esempio di due cose della stessa natura ma con diverse dimensioni”.
"Dio e gli uomini" ripete ogni volta il Parroco durante l'ora di religione. "Il Figlio è generato, non creato, della stessa sostanza del Padre", e intanto si ravviva il riporto con un gesto furtivo. O magari gli uomini e gli animali, come affermava, sicuro di quel che stava dicendo, il Dottore discutendo animatamente con una giovane collega dai capelli rossicci, ai tempi lontani dell’università.
"Chissà che fine ha fatto... un giorno o l'altro devo telefonarle" si ripromette il Dottore mentre osserva un quadro alla parete del suo studio: un filo quasi invisibile sorregge delle lenzuola rosa, viola e marrone appena smosse dal vento. Che strano quadro, ha pensato il Dottore la prima volta che l'ha visto in un mercatino. Non costava nemmeno molto. Lo pensava e lo pensa ancora.
Poi il Dottore posa una mano sulla spalla del padre di Luisa, ma non dice nulla.
Un gorilla sta seduto un po' in disparte. Al passaggio dell'ennesimo aeroplano (la Città di medie dimensioni ha un importante aeroporto) il Gorilla alza il capo, strizza le pupille verso quel puntino lassù. Dopo qualche secondo arriva il rombo attutito, come il rumore delle monete quando si allineano tre ciliegie sullo schermo delle macchinette mangia soldi.
Il Gorilla continua a fissare il puntino mentre corruga la fronte pelosa, segue la scia graffiata dalle turbine sopra a un bel cielo cobalto, il cielo fa diventare puntino anche il Paese, dentro il Paese la Città, lo zoo, il Nonno, Luisa e il Gorilla che continua a fissare il suo puntino, ognuno forse deve possederne uno proprio.
Lo vede diventare soffice e bianco e filamentoso, come il cotone quando viene passato sulle ginocchia sbucciate. Dopo qualche minuto sparisce e tutto ritorna il Tutto. 
Il gorilla sembra sorridere, ma forse è solo un’impressione.
Luisa si siede, poi si alza, poi si siede nuovamente e guarda la nuvola candida dello zucchero filato impugnata dal Nonno con delicatezza, nel porgere lo stecco lui le fa uno scherzoso inchino: “Tenga Principessa, è per Lei!” 
Anche il Nonno è convinto che Luisa stia sorridendo, ma forse è solo un’impressione.
“Quando torna Luisa?” chiede qualcuno, uno scolaro un po’ più piccolino e magro degli altri, si sente solo la voce che spunta da un librone blu con le immagini di mari e monti e deserti, ripete la domanda una seconda volta da dietro l'atlante: “Torna, per Natale torna?”
A Natale quasi sicuramente nevicherà, di solito nevica. Ma non certo in Africa. Lì normalmente fa caldo ed è per questo che ci abitano le zebre e i gorilla e altri animali spesso feroci, come le tigri – "Che però stanno in Asia!" aggiunge la Maestra con lo sguardo furbo che doveva avere da bambina, quando rubava lo smalto delle unghie alla sorella maggiore.
In Città, una città né troppo grande né troppo piccola, sta all'interno di un paese che non è difficile, ma neppure facile, individuare sopra alla carta geografica appesa accanto alla lavagna, abitano invece gli inservienti dello zoo, il Nonno, il Parroco, il Padre e la Madre e i compagni di classe di Luisa. La Nonna è morta l'anno scorso. Anche la Maestra abita qui, non distante dalla scuola. Al Direttore piace il colore dello smalto che la Maestra distende con cura sulle unghie. E’ azzurro, azzurro turchino.
Il Direttore non si sa dove abiti il Direttore.
Lo zoo chiude alla diciassette e trenta, ma la gente ha tempo fino alle diciotto per uscire con calma, oppure in fretta, ognuno con il suo passo. Quello di Luisa è sempre più lento, il rumore delle scarpine come il ciabattare nei corridoi degli ospedali.
Se alla chiusura rimane dello zucchero filato viene regalato alla figlia del custode, che ringrazia mostrando denti grandi e scheggiati. Il Dottore ha detto una volta al Nonno che troppo glucosio (glucosio? "Sì, i dolcetti che ti cucinava la nonna", ha suggerito la Madre sottovoce) fa male alla salute. Aggiungendo: “Mi raccomando!”
D'inverno lo zoo chiude prima e adesso è quasi inverno. E' anche normale che chiuda prima, viene buio presto, tutto in inverno finisce con anticipo e così non si vedono più i colori delle cose, il cielo li riassorbe come fa con i palloncini che si sono liberati ai comizi elettorali. Per questo, chiude prima lo zoo.
Da giovane il Nonno aveva un’automobile convertibile e tantissimi capelli in testa, si muovevano come il grano insieme all'automobile scapottata del Nonno, al vento, al cielo, tutto si muoveva e si teneva quando il Nonno era ancora giovane. Poi ha conosciuto la Nonna e i suoi dolcetti, ha aggiunto un paio di buchi alla cintura di pelle nocciola e ha venduto l'automobile, che era rosso vermiglio.
I colori delle zebre sono invece il bianco e il nero.
"Non mescolati insieme, attenzione ragazzi! Il bianco è bianco e il nero è nero" dice la Maestra,"intervallandosi in fasce ben distinte, come quelle stampate sulla maglietta di una famosa squadra di calcio. Vediamo se qualcuno sa dirmi di che squadra si tratta..."
Tanto tempo fa un aeroplano è cascato a terra, trasportava un’intera squadra di calcio, riserve, massaggiatori, tutti. Era una squadra della stessa città, ma con una maglia differente da quella a strisce bianche e nere come il manto fitto e corto delle zebre.
La moglie del Direttore ha le unghie del colore della maglia della squadra che è cascata giù dal cielo, ma a lui non piace tanto quel colore, lo trova smunto, fiacco, privo di personalità. Lo trova triste.
 Al Nonno, al contrario, piace: il colore ma soprattutto la squadra, è la sua squadra del cuore. Così gli piace anche raccontarne la storia, e però quando arriva al punto dell'aeroplano che perde quota, la collina sempre più vicina, i giocatori ancora ignari che si scambiano anedotti sulla partita appena terminata, mentre i regali per le amanti si strusciano nel borsone a quelli, più piccoli, per le mogli, a quel punto la voce del Nonno diventa tremula e la Madre lo interrompe: “Ti si fredda la minestra, mangia.”
Allora lui alza gli occhi al cielo, come se lì, nel cielo e non tra le macerie della terra, ci fosse il finale della storia, prima di affondare il cucchiaio dentro la fondina.
 Ora il Nonno e Luisa stanno rientrando. Si muovono al rallentatore sul marciaiedi che porta alla fermata del tram. Al suo arrivo saliranno sul predellino senza pronunciare parola, obliteranno, una parola che Luisa ha imparato dalla Maestra, obliteranno due biglietti dal colore diverso di quelli dello zoo; un verde chiaro, quasi grigio. E' probabile che qualcuno lascerà il posto al Nonno, e lui lo lascerà a Luisa.
"Prego Principessa..." e accompagnando la frase con un nuovo inchino, ma questa volta solo mimato con il capo, per non urtare gli altri passeggeri, "si accomodi sul suo trono."
 Dopo otto starnuti del conducente scenderanno da quella scatola arancione sferragliante, affiancheranno i loro corpi sproprozionati su una panca griffata da molti stilisti ("negri di merda", "Anna ti amo", "ho un cazzo enorme, se vuoi assaggiarlo 349 5756343") sormontata da una pensilina trasparente, dove aspetteranno sotto un cielo smerdato dai piccioni fino a quando dal fondo della via comparirà un nuovo puntino che, diventato sempre più grande, si trasformerà nell'autobus ocra che li porterà finalmente a casa.
“Buongiorno Luisa.”
"..."
“Buongiorno Nonno.”
"Ehilà!"
La pastasciutta calda appena servita in tavola, la televisione accessa da cui giunge la voce di quel comico che fa tanto ridere, una bambola nuova sul divano: in fondo la vita non è complicata, a volta basta solo un po’ di calore umano e di gentilezza.
Non ricorda chi ha detto questa frase, ma la Madre è certa di non essersela inventata. Forse l'hanno detta alla tivù, l'ha pronunciata quel comico che la fa tanto ridere, ma storpiando l'ultima parola in gengivezza, come chi vuol segnalare che ha smesso di credere in ciò che afferma, figurati se me la bevo! 
“Ma allora cos’ha, cos’ha che non va…” continua a rimuginare il padre di Luisa anche di notte. La bambola nuova è rimasta sul divano, la figlia non l'ha nemmeno guardata: le ciglia curve come artigli, gli occhi di vetro enormi, verdi, spalancati nel buio della stanza. Sembra fissare la TV spenta e continuare a ridere di gusto. Gengivezza, e giù risate.
Per fortuna il Dottore ("Ricordagli la ricetta delle pastiglie per il Nonno!") ha promesso che domani mattina ritornerà a fare una visita. La notte porta consiglio ma è la mattina, sì, vedrai che domattina... gli sussurra la sua sposa da sotto la trapunta pesante, glielo ripete ogni sera quando lo raggiunge nel letto già tiepido, terminato il programma della sera alla tivù. Hanno sostituito il comico con un programma di cucina, pare che non facesse ridere più nessuno. 
La Sposa?
Lui si gira e le restituisce il bacio della buonanotte. Non alla Sposa, alla Madre. La madre di Luisa. 
Al risveglio il Direttore pensa che una sera sarebbe bello invitare la Maestra a bere qualcosa, un caffè, un Sanbitter, un acqua e menta o quello che le pare, non è tanto importante. Qualcosa, semplicemente. Meglio se con tante bollicine che si precipitano fuori come gli scolari quando suona la campanella. 
In quell'occasione potrebbe chiederle dove trova lo smalto turchese – "Lo sa che è un colore bellissimo, signorina!" – e poi magari riaccompagnala a casa in Vespa, sentire il suo profumo che si mescola a quello della benzina, i caschi ogni tanto si urtano e fanno toc, nella nebbia la processione gialla dei lampioni, altri pu7/*ni, infiniti puntini sopra i loro corpi ormai quasi congiunti, le mani di lei che gli stringono i fianchi prima delle curve e... 
Quando ha di questi pensieri anche il Direttore guarda il cielo, apre la finestra dell'ufficio e poi rimane lì per un tempo indefinito a fissarlo, il cielo: chissà perché non ha mai lo stesso colore, perché l'aeroplano vuole fargli continuamente del male...
Assume quella posizione, quale posizione?, nemmeno questo importa, ma è sempre la stessa immobile posizione, mentre guarda il cielo. Ma prima o poi il telefono o la voce della segretaria o il ricordo delle unghie tristi della Moglie lo fanno tornare al lavoro.
Le ferite sulla pelle del cielo si cicatrizzano in fretta pensa il Direttore, o forse è il Medico a pensarlo, lui sì che se ne intende di ferite, c'è scritto anche su uno dei suoi molti diplomi di specializzazione, ma l’aeroplano è sempre lì, pronto, scattante, per farne immediatamente di nuove.
Nuove ferite.
“Dio è un concetto astratto e per questo tanto più vero”, spiega il Parroco. "Luisa, se Dio vuole, torna lunedì, anzi è già tornata, la vedete bambini?" dice la maestra dopo riconsegnato al mondo un lungo respiro, un soffio, un niente del colore delle sue unghie laccate.
 

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