mercoledì 21 agosto 2013

Ora c’è, ora non c’è più, ora ecco c’è di nuovo… o sulla strana matematica del lutto


Oggi sono venuto a sapere della morte di una persona conosciuta, anche se non propriamente cara. La notizia mi ha ovviamente rattristato molto: era un uomo sposato, uno o due figli ancora piccoli, credo avesse poco più di quarant’anni.

L’ultima volta che l’ho visto, ho subito rievocato con naturale mestizia, stavamo entrambi dal ciclista e abbiamo scambiato due veloci battute sul concerto di Mark Knoplfer, a cui il mio conoscente aveva appena assistito da qualche parte che mi ha detto, aspetta, ce l’ho sulla punta della lingua… E così ora mi sembra una cosa brutta perfino questa: essermi scordato le sue ultime parole, che intollerabile disattenzione, proprio vero che il cielo si prende sempre i migliori…

Dopo poche ore, però, come Lazzaro, il mio conoscente sbuca all’improvviso da un incrocio, anche la bicicletta su cui sgambetta è la stessa che gli avevo visto ritirare dal ciclista. E quasi non sono io a completare la frittata, mettendolo sotto con l’automobile.

Si è trattato ovviamente di un semplice caso di omonimia, la città in fondo è piccola, facile incontrarsi, lui che gira sempre con quell’accidenti di bicicletta e la testa tra le nuvole. Nulla insomma di speciale, un’esperienza che immagino sia capitata a molti: scambiare semplicemente di persona. Quindi rivestire la morte con un abito diverso, che dal nostro minimo pulpito ci appare, a posteriori, come "fortunato".

Ma non so se anche ad altri sia capitato di verificare come il dolore, per altro mescolato allo strano gusto di rovistare nella cantina dei ricordi, tanto più appetibili quando ci vedono in un rapporto di privilegiata intimità con lo scomparso (immagino che se mi fossi trovato con qualcuno che non lo conosceva affatto, mi sarei atteggiato a Grande Vedova, e l’incontro occasionale dal ciclista sarebbe divenuto un Tour de France nella stessa scuderia), il dolore è di gran lunga superiore alla gioia per la reviviscenza.

Nel caso, dovremmo concludere che siamo una specie con una matematica ben strana: se togli uno a uno, infatti, e poi lo rimetti, il totale fa nuovamente uno. Aritmetica, nemmeno matematica. E invece no, in questo caso il risultato fa uno meno qualche cosa, ciò che viene restituito non è mai l'intero, gli dèi si tengono sempre un po' di fumo. O se preferite: meglio una zuppa di lacrime oggi che un bel piatto di riso domani. E dando per acquisito che di quel povero cristo omonimo del mio conoscente ciclofilo, che c’ha lasciato la ghirba per davvero, come si dice da queste parti, ce ne importa davvero poco…


1 commento:

  1. Lutto o non lutto, il tutto è meno della somma delle parti. Ergo: ogni volta che togli e rimetti, hai qualcosa in meno. Non so chi si tenga la differenza (forse gli dèi sono intrinsecamente entropici[*]).

    [*]: non dovrebbe essere così; potendo creare, dunque fare ordine nel caos, dovrebbero essere negentropici. Forse sono solo in vacanza ai tropici.

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