lunedì 25 giugno 2012

Barbara De Rossi, o su come è difficile chiamare le cose con il loro nome


Barbara De Rossi nasce a Roma il 9 agosto 1960. Tra una manciata di giorni, condividendo il genetliaco con l'imperatore Marco Aurelio, ma anche con  Filippo Inzaghi, detto Pippo, compirà dunque cinquantadue anni. Nei romanzi russi del secolo scorso, quando si parla di una donna, mettiamo, di trentatré o trentaquattro anni, si usano espressioni del tipo: "Malgrado l'inesorabile avanzare degli anni, qualcosa, ancora, in lei, manteneva traccia della giovinezza perduta". Per i romanzieri russi la giovinezza si perde poco prima dei trent'anni, tocca farsene una ragione.

Ma torniamo a Barbara De Rossi. In tempi recenti, scopro da una svelta ricerca attraverso Google, si è sposata con il ballerino e coreografo serbo Branko Tesanovic, classe 1970, da cui ha avuto anche una figlia, dopo un precedente matrimonio con il nipote dell'architetto Busiri Vici. Quindi si è separata anche da Tesanovic – "per incompatibilità di carattere e incomprensioni", dichiara la stessa De Rossi in un comunicato stampa –, fidanzandosi con Anthony Manfredonia, fotomodello, cantante ma soprattutto poeta, con tanto di prefazione del neuroconduttore Gabriele La Porta.

Ho provato a ricercare su internet anche una delle sue poesie ma, pare, l'unico modo per leggerle è acquistare l'ultima raccolta di versi, dal suggestivo titolo Il digiuno degli amanti; in vendita "nelle migliori librerie", viene precisato nel sito web dell'autore. Dimenticavo, Anthony Manfredonia ha ventun’anni meno di Barbara De Rossi, e mentre sto scrivendo le loro immagini teneramente abbracciati all'ombra di una grande quercia – le braccia tatuate di lui stringono lei che gli carezza la peluria rada del viso – nei paginoni centrali di Chi e Novella 2000 sono già state sfrondate (ora si legge di una sua relazione con la showgirl di colore Sylvie Lubamba, ma sospetto che stiamo andando fuori tema...).

In ogni caso, sono certo che quelli che in questo momento stanno leggendo, ma proprio tutti, perfino chi ha mollato alla terza riga, magari arrivando da un motore di ricerca nella speranza di trovare delle foto discinte della bella attrice romana (o di Sylvie Lubamba), avranno già realizzato un'opinione personale, che non dovrebbe discostarsi molto da questa laconica sintesi: toy boy.

A Barbara De Rossi, diciamolo, piacciono e continuano a piacere i ragazzini, vivendo con disagio la clessidra del tempo e il malizioso galateo degli uomini, che ormai la rubrica alla spietata voce: “babbiona allupata”. Beh, io sto scrivendo proprio per sottrarmi all'incombere di uno stupido pregiudizio. Perché, ad esempio, non percepiamo nulla di stonato nelle intercettazioni telefoniche dell'ex Presidente del consiglio italiano, in cui lo ritroviamo impegnato in licenziose conversazioni con donne di cinquant'anni più giovani di lui, mentre ci tocca, anzi, ci irrita, il confronto con una donna che con tutta evidenza si sottrae al rapporto con i propri coetanei, rivolgendo le sue attenzioni a quella scaturigine palpitante che si chiama gioventù?

Credo di avere una risposta. Ciò che ci indispone – a me più di tutti – è la frizione tra il più che legittimo desiderio della carne, presente nelle donne quanto negli uomini, con le parole con cui quel desiderio viene raccontato, a sé prima che agli altri. Io, ad esempio, che sono un maschio adulto ed eterosessuale, quasi coetaneo della De Rossi, non disdegnerei affatto una ragazzetta di venticinque anni, magari un poco scemina e con due tette così. Non ho difficoltà ad ammetterlo. Ma mi piacerebbe solo e limitatamente agli attributi appena indicati: i rintocchi acerbi nell'orologio di un corpo semi addormentato, ancora tiepido sotto le lenzuola, e però senza l'assillo della comparsa di un uccelletto impiccione, che a ogni ora ti svegli con il suo cucù. Mentre sarei del tutto indifferente a un presunto medagliere "culturale", che vivrei anzi come zavorra al planare spensierato di una sorta di nostalgia ribalda, ben rincucciata negli ormoni.

Ecco, a me sembra invece che molte donne, per ragioni storiche più che comprensibili (la morale cattolica, ad esempio), ancora non siano in grado di ultimare la falcata che le porterebbe a coincidere con l'urgenza erotica che le pungola. Perciò, hanno bisogno di ammantare il nudo desiderio dentro improbabili confezioni da passeggio: di ratificarlo, per così dire, in schemi sociali condivisi e collaudati. Schemi, codici, o con maggior precisione stereotipi, che fanno perlopiù riferimento ai degradati cliché della narrazione spettacolare (il bel poeta tenebroso, il ballerino insinuante).

Per dire, se vuoi scoparti uno che ha ventun'anni meno di te, Barbara, dai, guardiamoci in faccia, perché devi pigliarti un poeta dal nome american-maccaroneggiante, o un ballerino slavo? Che poi lo sai pure tu: che poesie vuoi che scriva uno con un nome così, Anthony Manfredonia, uno che ti molla con le bomboniere in mano per  andare a fare lo sci d'acqua con Sylvie Lubamba?

Eppure, anche Barbara De Rossi, donna bella e intelligente e simpatica, ma sempre donna, non ragazza, pare non essere in grado di riconoscersi spavaldamente nella femmina che è in nuce. No, anche lei deve imbastire delle improbabili storie con cantanti, poeti, ballerini post adolescenti, addomesticando il proprio rovello erotico dentro i cascami di una paludata rispettabilità sociale.

Bene, è esattamente questo velo residuo che io trovo patetico e irritante, e non lo spudorato affacciarsi del desiderio da un corpo che si accorge di essere sulla soglia del declino, non ancora logoro ma già acciaccato, sfiorito (ricordate i romanzi russi...), e così cerca di emendarsi dentro l'acqua battesimale di una carne più giovane e scattante. In Silvio Berlusconi questa ipocrisia culturale è del tutto assente, e anzi pecca in senso contrario: riducendo ogni donna con cui entra in relazione alla sola dimensione sessuale, l'uni-verso carnale. Comprime, potremmo dire metaforizzando ancora, una stratificata armonia dentro la lagnosissima monodia del tombeur de femmes, in quell'esausto karaoke in cui se la suona e canta da solo (al limite, con l'accompagnamento di Apicella).

Berlusconi, in altre parole, nega alle proprie interlocutrici ogni dimensione storica e biografica, coniugando la dimensione del femminile – una lingua complessa e variegata, assai più difficile d'apprendere di quelle quattro frasette in francese con cui ama sciacquarsi la bocca – nella sola grammatica erotica, da compulsare nel dizionario di un corpo sessuato. Manca la sintassi, insomma, il racconto. Mentre Barbara de Rossi, in una specularità ugualmente difettosa, cerca di storicizzare i maschi che anela, in quanto maschi, adeguandoli a figurazioni narrativamente stracotte, in cui possa finalmente riconoscere e accettare il proprio desiderio. Ma in tal modo è il desiderio a essere sgrammaticato, una variazione lineare senza struttura, gravità, e perciò la lettura ci indispone e ci annoia.

Per quanto possa valere la mia opinione, io dunque auspico un mondo in cui Barbara De Rossi, che abbiamo chiamato in causa con funzione retorica di antonomasia, ma verso cui va tutto il nostro rispetto e la nostra simpatia, possa finalmente portarsi a letto anche un giovane idraulico che si chiama Mario, Gaetano, Giacomino, e non Anthony o Branko. E soprattutto in cui non debba rilasciare comunicati stampa per ogni sacrosanta scopatina.

Ma anche un mondo dove l'alfabeto maschile non si risolva nel codice binario del desiderio: provarci o non provarci con la femmina che ci si para davanti. Le circostanze della cronaca sentimentale, che abbiamo qui esposto con bonaria ironia, diventano allora una preziosa occasione. Quella per chiedere anche a noi, uomini, prima ancora che maschi che si girano al passaggio delle femmine giovani e belle lungo i marciapiedi, come nelle fotografie in bianco e nero degli anni cinquanta, chiederci se stiamo limitandoci alla copertina o sfogliando anche le pagine interne, in cui la vita scrive giorno dopo giorno sul corpo delle nostre compagne. Già che in caso contrario, se non impariamo a leggere tra le pieghe, tra le rughe, diventa solo un vecchio e inservibile libro. Da sostituire con uno appena uscito, magari di imperdibili poesie by Anthony Manfredonia...

6 commenti:

  1. Dear Guido ,
    mi sorprende che tu spenda tante parole per descrivere l' incapacità della De Rossi di confessare " tout court " che le piacciono i maschietti in piena foga copulativa .
    non Vorrei chee mi deluderesti molto se tu attribuissi ad un ex corpo così levigato , come il suo , anche possibilità intellettuali di un certo rilievo .
    Ma guarda che la gente di spettacolo e non solo , è tutta " gentarella " che proviene da esperienze di basso costrutto , quando non di droga o peggio .
    Il popolino minuto attribuisce loro medaglie di completezza umana impossibili !NON GENTE AVVEDUTA !
    Io le chiamo persone con " La Gaussiana aghiforme " , storpiando la bella e descrittiva curva : esse hanno un picco nel valore del loro corpo , o della voce o dell' apparire e immediatamente a fianco , a dx e sn , trovi voragini abissali fatte di nulla e il loro " culo " sbatte mestamente sullo zero delle ascisse !
    Guido , che belli i personaggi dei grandi classici russi ! C' era in ognuno di loro materiale per aprire quattro Musei di Antropologia !
    Barbara de Rossi andava guardata su su una rivista patinata , mentre si era assisi " in trono " e , subito dopo l' evacuazione , andava poggiata sul bordo della vasca da bagno . Basta !
    " Non ticurar di loro , ma guarda e passa ! "

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    1. E' bella l'immagine della "gaussiana aghiforme". Non sono del tutto d'accordo, però, che di necessità vada applicata al popolo delle scene, pubbliche e non. Al contrario. Sperimentare, recitando, altre vite rispetto alla propria, è un ottimo antidoto all'abito cognitivo che ci siamo costruiti (la cieca fiducia in quel che siamo). Viktor Šklovskij, il celebre studioso russo della letteratura, già a partire dagli anni venti aveva intuito che l'arte è nella sua essenza soprattutto questo: rottura di uno schema consolidato di ricezione ottenuto attraverso molteplici strategie; le quali però portano - quando si tratta di "vera arte, almeno" - a un unico risultato. Lo straniamento. Ecco, gli attori, più di ciascun altro, hanno il privilegio di straniare continuamente la loro condizione, e nel migliore dei casi raggiungere una specie di vertigine metafisica, superiore a quella degli stessi filosofi, che li rende persone molto interessanti e complesse. Il problema è che questo movimento "centrifugo" dell'anima è spesso bilanciato da una pesante zavorra di egocentrismo, che li ancora al proprio ombelico e produce quella verticalità "aghiforme" della gaussiana a cui tu accennavi. E' una partita, comunque, che alcuni (pochi) grandi attori vincono, mentre i più si adagiano nella vezzosa abitudine di un facile consenso, che rinforza il loro egocentrismo. Non so a quale delle due categorie appartenga Barbara de Rossi, e in ogni caso non riscriverei questo mio vecchio intervento: mi appare ora un poco scontato, e intriso di quel velato sarcasmo che riconsegno volentieri ai giornalisti e agli scribacchini di professione. Io ho smesso da tempo di esserlo, e trovo che anche la scrittura, come la recitazione, possa diventare un meraviglioso strumento di straniamento. Ma per farlo si deve rinunciare ad alcune rassicuranti abitudini di pensiero, o se preferisci ovvietà. Tra cui quella che a una donna vecchia piacciono gli uomini giovani... ;-)

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    2. Egregio ,
      mi scuso per gli strafalcioni della prima parte del mio messaggio , ma a volte l' indice di scrittura " salta " inopinatamente con tutte le conseguenze del caso .
      Riprendendo la tua gentile risposta " debbo " venirti in soccorso .
      Tu affermi che " molteplici strategie . . . portano - quando si tratta di "vera arte, almeno" - a un unico risultato. Lo straniamento . . . che li rende persone molto interessanti e complesse ".
      Mi fermerei qui e analizzerei :
      Lo " straniamento " non è essenza nell' arte , ma soltanto una tecnica espressiva che individuata come tale non riesce a distrarmi dai veri scopi dell' arte che risiedono in altre profondità .
      Mi permetto di definire cosa sia l' arte e perché c' è l' arte e mi avvalgo della psicoanalisi , dispensatrice di luce miracolosa con cui svelare i come e i perché delle vicende umane :L’ urgenza della istanza espressiva dell’ ES ( Inconscio ) trova nell’ arte l’ unica via per circonvenire le censure ( sociali , politiche , sessuali , religiose , . . . ) dell’ Ego ( Io ) e realizzarsi : questo processo , cioè manifestare una pulsione libidica sublimata , è proprio dell’ Artista al quale diviene necessario procurarsi lo strumento per comunicare con l’ esterno : la tecnica espressiva ".
      Quindi perchéci si trovi in presenza di un " fenomeno artistico " ci deve essere una anima che sta scoppiando di pathos , ci deve essere una comunità apollinea in cui ci siano inibizioni nell' esprimersi , ci deve essere un provvidenziale " canale " , accettato dalla Comunità , attraverso cui manifestare l' urlo dell' anima , incontenibile , ci deve essere una tecnica espressiva .
      orbene lo " straniamento " è solo una tecnica espressiva , se lo si confonde con l' essenza del fenomeno artistico che è il Pathos , si cade nell' equivoco di rimanerne affascinati senza motivo , " quanta species , sed cerebrum non habet " !
      Dovremmo esserci , quindi !
      Questa povera gente che gode di ribalte immeritate e di tanta mediocre stampa e popolarità è di interesse soltanto per la platea dei " confusi " !
      Lì non c' è pathos , non c' è gioia strabocchevole , non c' è dolore da comunicare , non c' è il dannunzianissimo : " Ah , perché non sono anch' io coi miei pastori " !
      Non c' è niente , magari un bel vestito , una bella foto , un bel culo !
      Ben hai fatto a non occupartene più , successivamente .
      Il mio pensiero va a tutto quel mondo di sentimenti e e dolore e gioia di vivere che viene prodotto tutti i giorni , da persone capaci di " cerebrum " di cui invece non sappiamo nulla e di cui , per es. , la letteratura russa non è stata che la punta dell' iceberg !
      E' fin troppo facile individuare questa mancanza di costrutto nel mondo dello spettacolo , di per sé estraneo alla riflessione , lo è , pericolosamente meno , per es. , nel mondo della letteratura contemporanea : oggi esiste la " poetica del pianerottolo " , " la narrativa del giardino dietro casa " , quasi tutti gli autori mancano di quella " visione " del mondo , di quella " Weltanschauung " , che ha dato così universale respiro alla letteratura di qualità !
      Quando leggo , ormai , la prima operazione che faccio è quella di smascherare gli impostori e venditori di parole a vanvera , ponendomi questa semplice domanda :" Quanto è largo lo sguardo di costui , quanto é completa la sua comprensione delle cose " .

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    3. Pochi sopravvivono alla risposta ma , purtroppo , la provincia ormai la fa da padrone ! A questi mediocri personaggi mi parrebbe proprio rivolgere l’ accusa che fu fatta , a torto a Giordano Bruno : " Sofisti, più studiosi d’apparir sottili, che di esser veraci ; ambiziosi che più studiano di suscitar nova e falsa setta , che di confirmar l’antica e vera ; ucellatori che vanno procacciando splendor di gloria, con porre avanti le tenebre d’errori; spirti inquieti che subvertono gli edificii de buone discipline, e si fan fondator di machine di perversitade " .
      Coraggio!

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    4. Probabilmente mi sono espresso male. Parlando di straniamento non mi riferivo a una specifica tecnica narrativa, ma a quell'esisto, auspicato dai formalisti russi all'inizio del Novecento, per cui la consuetudine con cui guardiamo al mondo viene riconvertita in visione, in esperienza primigenia, attraverso la mediazione del gesto artistico. L'arte sarebbe insomma - per quell'importante corrente del pensiero critico moderno, almeno - lo strumento che consente di fare nuovamente esperienza del mondo, già che tale esperienza è inibita dall'abitudine personale e dalle convenzioni sociali che fanno da filtro percettivo. Naturalmente si può non essere d'accordo, esistono molte diverse teorie sull'arte (tra cui quella psicanalitica), e non ho la presunzione di mettere un sigillo definitivo alla riflessione. Ciao.

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  2. Voglio essere piu cattivo , vista l' ora !

    " Aquila non captat muscas " !

    A' tout à l' heure !

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