domenica 31 luglio 2011

Ever green


Nel cuore della città vecchia i figli nuovi della città giocano a bigliardino, bevono una birra leggera e frizzante al gusto di banana – ma il pallore della bevanda ricorda piuttosto la Lemonsoda, asprezza di limone che si stempera nel languore denso del glucosio – e quando si incrociano salutano con quel tipo di confidenza che hanno tra loro i medici in ospedale, come se le flebo e le barelle e NON ENTRARE!, attenzione, radiologia, come se tutto ciò non lì riguardasse, fosse solo il fondale di cartapesta di una messa in scena nemmeno troppo accurata, eccessiva, compresa la lenta traversata della suora per il corridoio lungo e sovraesposto dai neon, con il pitale colmo da svuotare. Il dolore del mondo diventa così solo un’ipotesi operativa, la biglia della roulette che ogni tanto inciampa sullo zero: les jeux sont faits – ma sono fatti già da sempre, se non dal principio, come si dice, i giochi, oppure è il capriccio dell’attimo che ne rivela la sagoma sempre deludente, beffarda? Al tavolo a fianco colgo solo qualche frase smozzicata: e poi gli ho detto… e poi gli ho dato… e il giorno dopo, lo rincontro in giro, sono con la mia ragazza, ne vuoi ancora? gli dico. Da come ridono gli altri, mi sembra di intuire che stiano parlando di pugni – in particolare osservo quello più vicino a me, di cui scorgo solo il profilo affilato, a cuneo, che spicca dal collo rialzato della Fred Perry: ha lo stesso modo sornione di porgere l’approvazione che aveva un mio conoscente a quella stessa età: Infiammato, lo chiamavamo per il suo insaziabile appetito erotico. In seguito Infiammato – è lui stesso a lasciarlo intendere, con il solito sorrisetto sornione – pare abbia seguito con successo un programma di allenamento per migliorare le prestazioni sessuali, oltre alle dimensioni del membro. E di nuovo les jeux sont faits, oppla! Ma il croupier lo scandisce poco prima di conoscere dove la biglia va a posarsi: è un’anticipazione, a ben pensarci, una profezia che tace il suo oggetto ma rivela la cosa più importante: le cose sono già prima di essere le cose, anche solo un attimo prima, non importa, e però in quell'attimo non siamo ancora in grado di vederle, per quanto già abbiano una consistenza certa, come sa bene il croupier. In un diverso tavolo, alle nostre spalle, un quartetto maturo discute di politica – o meglio discute animatamente di politica, ogni tanto gli avverbi hanno ancora un senso e una funzione. Come se l’anima sgorgasse a rapidi fiotti dalle labbra incorniciate da una folta peluria, barbe e baffi morbidi e setosi, con un lieve alone giallastro creato dalla nicotina di pipa e sigarette in quantità, mentre le mani si agitano nell’aria fresca di un’estate che non è fredda, piuttosto frigida, intemperante, che è un altro termine derivato della meteorologia. Altri invece lo chiamano tempo – le previsioni del tempo, che tempo ha fatto in vacanza? – lasciando intendere un’affinità tra le condizioni ambientali e lo scorrere irreversibile dei minuti. In ogni caso, quelli se ne fregano non solo dell’arietta fresca ma anche dei minuti, di qualsiasi tempo massimo offerto dalla Storia, che contempla invece un tempo ricorrente, da cogliere al volo – Kairos, lo chiamavano i greci, e gli antichi cinesi Tao. Come per i taoisti, il segreto dei politici sta dunque nel riconoscere il tempo opportuno, nello snidare Tao\Kairos, per conferirgli la forma stabile e incorruttibile del tempo messianico: una specie di serra in cui non piove mai e il sole splende su fragole grasse e mature, zucche giganti che si trasformano in carrozze. Sarà per questo che l’anima deve essere pompata fuori dai polmoni: per spegnere tutte le candeline della torta. Condizione necessaria a che il banchetto abbia finalmente inizio, in un furioso protendersi, avventarsi, ingozzarsi di fragole e panna morbida e illibata, quando c'è sempre il dubbio che la carrozza possa ridiventare zucca. Il Popolo, sento quindi dire. Dovremmo recuperare la nozione di Popolo. Dare un segno chiaro, riconoscibile, per il Popolo. Poco prima, diverso luogo, la stessa sera, una bella e giovanissima ragazza di Shanghai – è arrivata a Sondrio da una settimana solamente – tentava di ripetere alcuni vocaboli italiani: cappuccino; Campali; limoncello (questo è facile); Monteneglo (questo è difficile); plosecco; billa alla spina; glappa; glappa al miltillo (difficilissimo!); succo di pela, pesca, albicocca. C’è era anche Lemonsoda, inserita nella lista di parole da apprendere stilata dalla zia, di pochi anni più vecchia ma in Italia da molto più tempo, dove gestisce il bar in cui assistiamo alla scena. O più propriamente si trattava di un siparietto didascalico: da una parte gli italiani, noi, con calice in mano e infinita stanchezza, e dal lato opposto del bancone la giovane cinese diligente, che tra sé e sé almanacca il misterioso alfabeto della futura conquista, che non sarà di ferro e fuoco ma di cappuccino con bliosc; e però solo al tempo opportuno stabilito dal Tao, o da Kairos. Vorrei allora replicare al suo assalto quieto con la mossa dell'arrocco: chiedendole, ad esempio, come si dice invece anima in cinese, o popolo o rivoluzione... Vorrei chiederglielo ma sono ormai a un fotogramma successivo, questa è l’impressione; un’impressione generale, intendo: tutto qui appare fuori sincrono, sembra di assistere ai monologhi televisivi di un critico cinematografico che viene doppiato da se stesso, sempre in ritardo di una battuta o chissà forse in anticipo di un'intuizione folgorante, un evo astrale. E' simile, in ciò, a un celebre ritratto in cui il volto di Mao, passando attraverso il filtro ottico di Andy Warhol, si frantuma in tante figurine policromatiche, producendo un generale vuoto di senso che, per paradosso, ci comunica un sentimento di pienezza, il calmo attenuarsi del prurito che causano le domande senza risposta, o lo slancio verso un luogo ulteriore e aperto del pensiero. Saturazione, potremmo chiamarla così. Al punto che ci diventa del tutto indifferente se ciò che si delinea in superficie sia la sagoma di Mao Tse-Tung, Marilyn Monroe, Elvis Presley, Jakie Kennedy, Miky Mouse o della zuppa Campbell. Ma il tempo messianico della politica, non sarà allora proprio questo: la coincidenza tra essenza ed ornamento? E' infatti in quel preciso frangente – o meglio in questo attimo di totale oblio, che sperimento osservando il sosia di Infiammato alzarsi dalla sedia – che si estingue anche il dolore, coincidendo con la rappresentazione del dolore, il soggetto con l'oggetto, lo show – o ciò che appare per come appare, il facciamo finta che dei bambini – con l'oscenità di quel che è necessario tacere, perché l'antico gioco del significare possa ancora aver luogo... Rimane dunque solo da rispondere alla cameriera, che sta aspettando con la penna bic che oscilla insieme al busto sui talloni, come la bacchetta del rabdomante: Cosa prendete, allora, avete deciso? E dopo una breve pausa: Posso consigliarvi una birra che non sa di birra ma di banana... Sapete, è il nostro ever green.

3 commenti:

  1. il suo bellissimo post mi ha fatto canticchiare un pezzo dei genesis. Time Table.Di seguito. Per Lei. lorella
    time table
    A carved oak table,
    Tells a tale
    Of times when kings and queens sipped wine from goblets gold,
    And the brave would lead their ladies from out the room to
    arbours cool.

    A time of valour, and legends born
    A time when honour meant much more to a man than life
    And the days knew only strife to tell right from wrong
    Through lance and sword.

    Why, why can we never be sure till we die
    Or have killed for an answer,
    Why, why do we suffer each race to believe
    That no race has been grander
    It seems because through time and space
    Though names may change each face retains
    the mask it wore.

    A dusty table
    Musty smells
    Tarnished silver lies discarded upon the floor
    Only feeble light descends through a film of grey
    That scars the panes.
    Gone the carving,
    And those who left their mark,
    Gone the kings and queens now only the rats hold sway
    And the weak must die according to nature's law
    As old as they.

    Why, why can we never be sure till we die

    Or have killed for an answer,
    Why, why do we suffer each race to believe
    That no race has been grander
    It seems because through time and space
    Though names may change each face retains
    the mask it wore.

    La tavola del tempo
    Un tavolo di quercia intagliato
    Racconta una storia
    Di tempi in cui re e regine sorseggiavano vino da calici dorati
    Ed i coraggiosi conducevano le loro donne da fuori la stanza
    A freschi giardini

    Un'epoca di valori e leggende nate
    Un'epoca in cui l'onore significava per un uomo molto più della sua vita
    Ed i giorni conoscevano solo lotte per distinguere il torto dalla ragione
    Con lancia e spada

    Perché, perché non possiamo mai essere sicuri finchè non moriamo
    O abbiamo ucciso per una risposta?
    Perché, perché mandiamo a morte ogni razza per credere
    Che nessuna razza è stata più nobile?
    Forse è perché attraverso il tempo e lo spazio
    Sebbene i nomi possano cambiare ogni volto conserva
    la maschera che indossava.

    Un tavolo polveroso
    Odora di rancido
    Argento macchiato giace scartato sul pavimento
    Solo una flebile luce scende attraverso uno strato di grigio
    Che graffia i vetri.
    Sparito l'intaglio
    E coloro che avevano lasciato il loro segno,
    Spariti i re e le regine ora solo i ratti detengono il potere
    E i deboli devono morire in virtù della legge dellai natura
    Vecchia come loro.

    Perché, perché non possiamo mai essere sicuri finchè non moriamo
    O abbiamo ucciso per una risposta?
    Perché, perché mandiamo a morte ogni razza per credere
    Che nessuna razza è stata più nobile?
    Forse è perché attraverso il tempo e lo spazio
    Sebbene i nomi possano cambiare ogni volto conserva
    la maschera che indossava.

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  2. grazie, Lorella. non conoscevo il testo di quella canzone dei genesis. sono andato a risentirla su youtube: è bella. da piccolo fingevo di amare i genesis, ma in realtà non li ascoltavo affatto...

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  3. Crescere, poi invecchiare.E durante il viaggio apprezzare..

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