mercoledì 6 luglio 2011

Avanti indietro, o sulla forma e il narrare


L’elicottero procede fragoroso e lento a pochi metri dalla superficie calma del lago: avanti indietro, avanti indietro. Ogni tanto si ferma, rimane immobile sopra a una minuscola porzione di niente – l’acqua scura oscilla tra il verde e il blu, ma tende al nero se gli si accorda per troppo tempo lo sguardo – mentre il vorticare frenetico delle pale increspa gli orli di un'immaginaria circonferenza, con una canoa arancione che taglia al rallentatore la linea del tramonto. Poi anche l’elicottero riprende a muoversi. Avanti indietro, avanti indietro. Un grosso insetto di metallo in attesa di un animale ancora più grosso che lo divori.

Sulla riva, sotto la veranda in tela impermeabilizzata di una roulotte, e la roulotte in un campeggio e il campeggio in Italia, una donna. Non è più giovane ma non ancora vecchia. E’ anziana. Una donna anziana con gli occhi azzurri e i capelli quasi completamente bianchi, annodati in una lunga treccia. Probabilmente è straniera, facilmente olandese, o tedesca. Gli americani qui di solito prendono alloggio in pensione, o in vecchi alberghi liberty con gerani ai balconi e stropicciate camelie a lato dei vialetti; i portieri sono in livrea, come in un romanzo di Fitzgerald dove si posa il sigaro per impugnare il whisky. La donna anziana non osserva l’elicottero come il resto dei bagnanti sulla spiaggia erbosa. Prosegue invece nel suo lavoro, stringendo lunghi ferri da maglia con mani esili ma robuste, leggermente segnate da macchioline brunite sul dorso. Il filo di lana sguscia esatto tra l'alluminio dorato dei ferri: avanti indietro, avanti indietro.

Forse sta intrecciando un pullover per l’inverno, che dalle sue parti fa le prove generali già a partire dall'inizio dell'autunno – sarà dunque per ripicca, che si ostinano a scappottare le Bmw e le Mercedes anche nei giorni tersi di gennaio? O magari, ecco, si tratta di calzerotti di lana per i nipotini, che istruiti dai genitori fingeranno soddisfazione per il regalo delle nonna, da cui avrebbero preferito un nuovo gioco per la PlayStation. E così, da sotto la veranda ombreggiata e fresca, tra le sua mani il filo non smette di doppiare il capo di se stesso, guadagnando un nuovo fronte compatto tra le maglie precedenti: avanti indietro, avanti indietro.

Tra un’ora al massimo il sole sarà completamente tramontato, la luce sempre più debole e l’elicottero dovrà rientrare a terra; "landing" dicono gli anglosassoni, in quella strana lingua dove il gerundio fa atterrare i verbi, ma mette le ali ai sostantivi. Allora verranno sguinzagliati i gommoni, su cui si affollano sommozzatori viscidi e imperturbabili come salamandre, muniti di potenti torce con cui scandagliare il fondo del lago più fondo d’Europa, almeno fino a dove le bombole sono disposte ad accompagnare. E anche loro – "diving" – andranno avanti e indietro, giù e su, in attesa che una figura umana si componga dietro la parete di vetro della maschera, che va sputata prima di indossarla.

Poi verrà mattino, giorno, sole e la canoa arancione riprenderà a tagliare la linea d’orizzonte, al rallentatore. E quando i giorni saranno alcuni sarà terminata anche la breve vacanza della donna – è olandese?, è tedesca?, certamente è anziana – che rincaserà. Con la pelle più scura e i capelli solo un poco più bianchi, chiusi nella treccia. Qualcuno le chiederà allora come si è trovata in Italia, se gli spaghetti e la pizza sono sempre così buoni. E lei non risponderà, ma riderà, perché avrà capito che quella non era una domanda ma uno scherzo, e questo il modo di scherzare tra di loro. Poi si chinerà su una grossa valigia da cui estrarrà qualcosa. Ecco. Dirà semplicemente: “Ecco”. E porgerà a chi le chiedeva se gli spaghetti e la pizza sono ancora buoni, anzi così buoni, "so gut", o forse "zo goed", e lei porgerà qualcos’altro, contenuto in un sacchettino bianco con la scritta rossa di un supermercato italiano.

Bene, questa storia potrebbe andare avanti all’infinito. Non sappiamo, ad esempio, se dal sacchettino del supermercato (italiano) siano comparse, o compariranno, debbano infine comparire un paio di minuscole calze da bambino; magari si trattava di un maglione buono già da i primi giorni d'ottobre, a cui rimboccare i polsini e indossare a bordo di una Mercedes scappottata, i capelli bianchi a cui forse, eccezionalmente, sarà disciolta la treccia. Come non sappiamo chi stesse cercando l’elicottero; né se il suo corpo fosse (sia) ancora tiepido e fremente, vivo. Dovremmo dunque ancora immaginarci queste cose, e ripetere, ripetere di continuo nuovi gesti. Per dargli forma, e dalla forma vita.

Ma è davvero sufficiente la ripetizione, per restituire un corpo vivo dalle acque livide del dubbio? O non sarà che la ripetizione pone solamente la forma, quando è l’eccezione a conferirgli il soffio mobile della vita, che ha lo stesso respiro del racconto... E così scopriamo che non è il presunto natante ad essere affogato, ma i bambini che ora hanno ripreso a giocare con la PlayStation – i piedini al calduccio in spesse calze di lana –, e la Mercedes e i capelli e ogni cosa che nasca dalla ripetizione, e nella ripetizione resti come bloccata, in apnea. Ci vuole un pianto, un urlo, per cominciare a vivere. La vita è forma mobile nel tempo, e inizia dove l’ostinazione del gesto s’arrende alla novità del possibile, al suo scandalo. Interrompere questo racconto con le sue ripetizioni sfinenti, avanti indietro, avanti indietro, senza sapere che cosa ne è stato dei suoi personaggi ancora involtolati in un lungo filo, è allora un gesto narrativamente scandaloso. Ma necessario per farlo finalmente respirare…

4 commenti:

  1. e dar vita nelle nostre teste l'epilogo preferito

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  2. il mio epilogo preferito, Carlo, che vuoi che ti dica, è sempre a tarallucci e vino, pizza pizza marescià... (la gastronomia è forse l'unica cosa in cui mi sento definitamente italiano, prima di successive e inevitabili defezioni)

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  3. Per la precisione: l'eccelsa melodia di Aurelio Fierro si intitola "Tuppe tuppe marescià". Invece di pizza si parla in "a pizza" 1966 festival di Napoli, sempre con il sublime Aurelio interprete. Il cocktail tra pizze e marescialli è comunque interessante.
    Fracasso Fracazzetti

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  4. truppe truppe marescià, si certo. ma come sì può vedere, in questi luoghi di scarsa aderenza filologica tutto è soggetto a oscillazione, lieve sbando semantico, capogiro. al punto che, non escludo, da qui a qualche hanno il celebre brano di aurelio fierro possa venire così ritradotto: "fracassa fracassa, fracazzetti..." ;-)

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