giovedì 5 agosto 2010

Il Bar vecchio e il Bar nuovo


Il Bar vecchio sotto casa mia l'hanno comprato anche quello i cinesi. Ora mia mamma lo chiama Bar nuovo, ma al pomeriggio ci stanno sempre i pensionati che giocano a briscola, le carte unte e ingiallite, con in palio il giro dei frizzanti corretti Aperol o per i più ostinati Campari. La rivincita a scopa.
La sera, però, già a partire dal tardo pomeriggio, da quando il Bar vecchio è diventato il Bar nuovo sono arrivati anche gruppi di giovani marocchini, giovani albanesi, giovani macedoni e giovani "dei nostri", come si dice da queste parti. Più che altro, giovani.
Mia mamma pensa che sia per via della cameriera del Bar nuovo: è piccola, graziosa, gentile e con un sorriso largo e contagioso, che scatta come il braccio del Big Jim quando viene pigiato il tasto nascosto sulla schiena.
In questo caso, il sorriso della cameriera del Bar nuovo scatta quando vede qualsiasi cosa che si muove. Lei sorride. Automaticamente. Pavlovianamente. Come se avesse solamente due opzioni espressive: sorriso on \ sorriso off.
Alcune sere fa sono entrato al Bar nuovo per acquistare una bottiglietta di acqua minerale, da sorseggiare durante un viaggio in automobile fino a Milano. Appena ho attraversato la porta di ingresso è partito il braccio del Big Jim, e la cameriera del Bar nuovo mi ha offerto uno dei sorrisi più sorridenti che, giuro, mi ha fatto mai uno "dei nostri", come dicono da queste parti.
"Desidero una mezza minerale da portar via" ho detto subito io. "Non gasata, per piacere".
"Come ti chiami?" mi ha risposto la cameriera del Bar nuovo, un po' parlando e un po' sorridendo: on, off, on, off...
"Mi chiamo Guido" le ho detto ricambiando con poca convinzione il sorriso. "E tu, posso sapere anche il tuo nome?"
Mi ha risposto con un suono quasi immediatamente scordato, ma sono certo che non fosse un nome cinese. Ci ripenso mentre pago la bottiglietta di acqua Levissima, non gasata, tra me e me penso che quel nome subito infilato nel cestino dei pensieri pareva quasi un nome d'arte, da spogliarellista; ma non lo dico a mia Mamma che se no poi pensa le cose strane, chissà...
Il giorno dopo, rientrato a notte tarda da Milano, sono ripassato di fronte al Bar nuovo, che sta sotto a una pensilina rovente e affiancato da molti negozi evidentemente poco appetibili, alcuni dei quali con un cartello affittasi esposto da mesi. Al termine della pensilina ci sta l'edicola dove prendo tutti i giorni la Repubblica, Zagor Te-Nay una volta al mese e a cadenza settimanale i dvd di filosofia del Corriere; mia mamma dice che è perché ho smesso l'università e non mi va ancora giù.
Mentre superavo l'ingresso spalancato del Bar nuovo, ho sentito una voce, da dentro, ormai avevo già oltrepassato la porta, che gridava:
"Ciao Guidooooo..."
Torno indietro di pochi passi e infilo la testa dentro. Ci stanno i pensionati che giocano a briscola, la rivincita a scopa, frizzante Aperol Campari tutto in regola; un giovane albanese infila qualche euro nella slot machine, mentre con l'altra mano impugna una lattina stretta e alta, credo sia una bevanda energizzante, il braccio molle lungo il fianco; la proprietaria di un negozio di scarpe all'angolo della pensilina tiene una sigaretta spenta tra le dita, ordina due caffè, di cui uno macchiato, e conversa con una conoscente facendo finta di litigare per chi paga, la sigaretta spenta brandita come un pugnale. Infine c'è il sorriso della cameriera del Bar nuovo nella modalità on, il braccio del Big Jim che cala il suo colpo di karate con la certezza che nessun legno può resistervi, prima di tornare provvisoriamente in posizione off e ripetere piano:
"Ciao, Guido".
"Guido"rispondo io, "ti ricordi il mio nome?"
"Certo, io ricordo tutti i nomi".
"Puoi ripetermi allora per gentilezza il tuo?", e a quel punto ho già raggiunto il bancone, le sono di fronte separato solo dalla parata di bustine dolcificanti: zucchero normale, di canna, al fruttosio e ora anche piccole buste colme di miele d'acacia, per i più snob.
"Milou, io mi chiamo Milou. E' Un nome francese", dice lei.
"Francese, sì, certo. Come il titolo di quel film: Milou a maggio, lo conosci?"
Mi sorride. Non capisco se stia per un sì oppure per un no. O forse è un modo per dire che non le importa, tutto quello che sta fuori l'istante in cui stiamo respirando le appare come ridondate. E qui e ora ci stanno solamente due persone che un po' respirano un po' parlano un po' sorridono, e i loro nomi come sospesi sullo zucchero.
Milou.
Guido.
"Ora devo andare, ti auguro una buona giornata Milou", aggiungo dopo il suo lungo silenzio sorridente.
"Buon giorno a te, Guido."
Mi avvio lungo la pensilina rovente, alle spalle il tintinnio delle monete del giovane albanese che ha finalmente vinto qualcosa, le vetrine con i cartelli affittasi e il dvd di filosofia che mi attende incelofanato all'edicola; oggi dovremmo essere arrivati a Kant: il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro me.
Ma in fondo basterebbe forse anche meno, penso mentre la proprietaria del negozio di scarpe continua a fingere di bisticciare con l'amica - la-prossima-volta-pago-io-non-si-discute! -, e uscita dal locale può finalmente accendere la sua sigaretta. Basterebbe che i "nostri", tra noi, insomma, come si dice da queste parti e anche senza sorridere, basterebbe provare a chiamarci ogni tanto per nome.
E poi respirare.

5 commenti:

  1. ecco il "narratore" che è in te è tornato! Ma il bar è quello che fu della Pelide? ps un saluto a Milou...

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  2. sì, il bar è proprio quello. ma milou, sì, insomma, non so come dire: ma in realtà non si chiama esattamente così... ti ringrazio comunque per il "ritorno del narratore". la mia intenzione era a dire il vero molto più ridotta. volevo provare a spiegare la filosofia di kant con un racconto. quello che ho capito, di kant. cioè molto poco. a parte il fatto che bisognerebbe ascoltare quello che le persone hanno da dirci, a partire dal loro nome.

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  3. La mia ignoranza non mi ha consentito di capire che dietro la ragazza dagli occhi a mandorla si celasse un tedesco però il tuo racconto mi ha fatto riflettere sull'indifferenza che spesso traveste i nostri comportamenti.

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  4. scusa, mi sono espresso male io. non intendevo dire che questo raccontino, ma forse sarebbe più giusto dire questa istantanea, questa polaroid, parli o ancora peggio "spieghi" kant. semplicemente io sono partito da lì. volevo provare a trovare un nucleo narrativo dentro la filosofia di kant. e quel nucleo, quel principio sorgivo, a me sembra di poterlo individuare nel rispetto dovuto ai nomi delle persone, che io continuo sempre a dimenticare... :-(

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  5. credo che una delle caratteristiche positive dell'espressività narrativa sia il segno che lascia al lettore. Non sempre è lo stesso ma è comunque un piccolo contributo alla nostra crescita.

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