venerdì 6 agosto 2010

Carburatori, pistole, cartelle maculate & torta di mele (dimenticavo: orzata)


Sfogliando un forum di discussione su internet, scopro che una mia amica, scrivendo pubblicamente a una conoscente comune, la chiama tesoro. Non avrei mai detto che questa mia amica utilizzasse l'espressione tesoro. In genere la usano gli omosessuali, anzi i gay, anzi le checche oppure le donne nelle commedie americane degli anni cinquanta, la traduzione italiana per darling. Nei film recenti credo si siano invece messi a tradurre darling con cara, se non sono gli americani stessi che ora dicono dear, non so, ma davvero non me l'aspettavo che la mia amica avesse questa espressione tra le sue corde.

O forse, più che nelle corde, un'espressione sta tra le gambe delle persone, come per gli sportivi. Ci sono quelli che hanno nelle gambe i cento metri in meno di undici secondi. Magari non li faranno mai, resteranno tutta la vita sprofondati dentro un divano a sgranocchiare pop corn e a guardare Elisir in televisione e poi la moviola, la domenica sera, e però continueranno ad averceli tra le gambe: i cento metri in meno di undici secondi, come Mennea che a vederlo non l'avresti detto mai.

Dopo che mi sono imbattuto in questo forum di discussione su internet, ho iniziato a pensare che la mia amica aveva tra le gambe l'espressione tesoro anche tutte le volte che siamo usciti assieme: all'Excelsior per un film, l'unico film che si può vedere qui; il miglior margarita al Jom Bar di Tresivio; Morbegno la sera a camminare e a bere acqua fresca con l'orzata, parlando di libri nel senso di come si impilano ed espongono, si catalogano in una grande libreria. Ecco, tutte quelle volte lì a me è venuto il dubbio che lei sotto sotto pensasse la parola tesoro, come gli omosessuali, anzi i gay, anzi le checche oppure le donne dentro i film americani degli anni cinquanta, quando vanno incontro al marito sullo zerbino con la scritta welcome e gli annunciano radiose che la torta di mele è venuta uno splendore: "a shining apple cake", chissà se dicevano così...

Tesoro però lo dicevano di sicuro, e anche la mia amica, l'ha perfino scritto, in un forum di discussione su internet.

Il grande scrittore tedesco Uwe Johnson ci ha lasciato dei libri bellissimi, come Schizzo per un infortunato. Anche il protagonista del libro è uno scrittore tedesco, riuscito a sfuggire negli Stati Uniti dalla Germania nazista, dove ha poi ucciso la moglie per averne scoperto il tradimento con un politico fascista. Nella realtà, non so se Uwe Johnsonne ne fosse già al corrente scrivendo il suo racconto, ma la sua stessa moglie aveva una relazione con un funzionario dei servizi segreti della DDR, a cui spediva delle informative che riguardavano la vita privata del marito, sorvegliato per tutti i lunghi anni del suo soggiorno americano.

Ogni cosa è diversa da come sembra nei libri e nella vita di Uwe Johnson. Tua moglie, la donna che ti aiuta a mettere un cerotto quando inciampi in quel maledetto foruncolino facendoti la barba, ti spia e tradisce con il peggior nemico, gli affetti si tramutano in conflitti. Ma i conflitti non esplodono mai e restano sopiti, inespressi, come i centro metri tra le gambe mentre guardi Elisir in televisione, pescando dentro un sacchetto gonfio e unto di pop corn.

Walter Guastaldi invece era uno che non te le mandava a dire. Una volta, in terza media, l'ho visto estrarre una pistola da una cartella ricoperta con il pelo maculato di un'animale e puntarla in fronte a uno che il giorno prima gli aveva pestato un piede o detto qualcosa di sbagliato. Era la prima volta che tutti noi ci trovavamo davanti una pistola vera, ma la scena non ci impressionò davvero più di tanto. Se uno il giorno prima uno ti pesta un piede o dice qualcosa di sbagliato, è normale che il giorno dopo gli punti una pistola tra il naso rosso per il raffreddore e l'attaccatura bassa dei capelli. In televisione funziona così, non sto parlando di Elisir.

Poi suonò la campanella e rientrammo in classe al termine dell'intervallo. Anche quello con l'attaccatura bassa dei capelli, fortunatamente ancora vivo e col suo bel nasone rosso, cercando di non starnutire mentre camminava trascinando i piedi al fianco di Walter Guastaldi, attento a non ripestarglieli. Lui al primo trillo si era affrettato a riporre con cura la sua pistola tra il pelo bianco e marroncino forse un giorno appartenuto a un cavallo, o a una capretta sardo-maltese.

Adesso Walter Guastaldi fa il meccanico, è sempre alto ma non è più magro magro, i capelli completamente ingrigiti e sottili baffetti da giocatore di bocce francese, carezzati con soddisfazione dopo un boccia-punto millimetrico in un vicolo acciottolato di Marsiglia. Anche in terza media Walter Guastaldi faceva il meccanico, entrava in aula con le mani orgogliosamente adornate dall'alone di grasso di un carburatore difettoso, ma l'officina era del padre e lui lo aiutava soltanto; almeno quando non era occupato a puntare una pistola in fronte a qualcuno. Le volte in cui l'Opel Corsa di mia mamma perde colpi, lei dice non portarla alla Opel, quelli non capiscono niente, ci prendono i soldi. Portala da Walter che è uno onesto e svelto e insomma è un bravo meccanico. Questo pensa mia madre di Walter Guastaldi, e lo penso anche io.

L'officina si trova poco prima del ponte sull'Adda andando da Sondrio verso Albosaggia, a ridosso di un enorme pornoshop. Quando ci vado, in officina, non nel pornoshop, lui mi riconosce immediatamente dall'automobile, e mi dice ciao caro. Appena apro la portiera e gli vado incontro per stringergli il dito mignolo sollevato come per vedere se c'è vento - i meccanici non ti danno mai la mano, questa è la prima regola - lui mi dice sempre e solo così: Ciao caro. Che a me quando un uomo ti dice ciao caro, non so perché, ma di più quando me lo dice uno che in terza media arrivava a scuola con una pistola nella cartella di pelo maculato marrone e nero e bianco, a me viene un po' da ridere. Ma un ridere bello, che mi lascia contento anche dopo.

Invece se uno mi dicesse tesoro non credo che sarei tanto contento. Lo dicono gli omosessuali, anzi i gay, anzi le checche oltre alle donne nelle commedie americane degli anni cinquanta. Ma lo scrive anche la mia amica su internet. Ricordo che quando le ho offerto un bicchiere d'orzata nella veranda di un piccolo baretto di Morbegno, era la prima volta che assaggiava quella bevanda. Ecco, un'altra di quelle cose, non ho mai capito bene il motivo, ma sei contento quando sei tu a far scoprire a qualcuno a cui tieni una cosa che a te appare come un prezioso segreto. E l'orzata è certamente una cosa preziosa, forse non segreta ma buona, e perfino bella: se ti trovassi a giocare bocce insieme a Walter Guastaldi per un vicolo di Marsiglia, potresti scambiarla per un pastis.

Eppure un'orzata non è un pastis, una moglie non è un'agente segreto che ti spia mentre fai la barba, un'amica non dovrebbe usare espressioni come tesoro e un meccanico salutarti con ciao caro, a distanza di trent'anni da quando l'hai visto puntare una pistola in fronte a un tuo compagno di pallamano. Così, più ci giro intorno, e più un finale a questa storia davvero non riesco a trovarlo. Ma tutto ciò mi procura una strana e misteriosa confusione, uno stordimento che diventa il principio di una serenità sommessa. La quale sfoca e mescola i pensieri come lo sciroppo d'orzata, quando affonda e si disperde dolcemente in un bel bicchiere di acqua fresca.

3 commenti:

  1. frammenti di vita... potresti scrivere un libro ;)

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  2. già, un libro. nessuno mi legge così che è gratis. magari, scorticando qualche foresta, chissà..

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  3. l'Italia è il paese delle raccomandazioni. Ma poi solo l'Italia?

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