martedì 24 agosto 2010

Antigone o Creonte?, o sul dilemma etico degli autori Mondadori


Nel mio post precedente ho fatto riferimento a un utilizzo alternativo e più occasionale di questo blog, non certo a un congedo definitivo, come da alcuni è stato inteso. In particolare, verranno pubblicati testi con una genealogia indipendente - il mio è insomma un congedo dall'attività di blogger, che alla lunga ho trovato sterile e dissipativa. Coerentemente a quanto anticipato inizio col presentare un mio commento inserito sul sito web dello scrittore Fulvio Abbate. Il tema era quello degli autori pubblicati da Mondadori, in seguito alla richiesta di chiarimenti amministrativi, o più in generale etici, del teologo Vito Mancuso.


Caro Fulvio,
in questo tuo ultimo intervento sul problema di coscienza che coinvolge gli autori Mondadori, sollevato dal lucido e appassionato articolo di Vito Mancuso sulle pagine de
la Repubblica, in cui rilanciava interrogativamente la questione, tu suggerisci una soluzione (univoca) che potremmo definire etica, e così riassumibile:

andarsene da Mondadori. Punto. Stop.

Ascoltandoti con il consueto interesse, a me è venuto però da spostare l'asticella del dubbio ancora più a monte, chiedendomi a quale etica tu e Vito Mancuso faceste riferimento...?

Non è una provocazione, davvero, ma un dubbio serio e argomentabile. Infatti, mentre Mancuso manifesta un'incertezza quantomeno procedurale, tu emetti una sentenza che non contempla margini di discussione. Aderendo quindi, senza esitazione, a un orizzonte pubblico e civile dell'idea di bene, che come un uovo di Pasqua già contiene in sé la sua risposta.

Ma esiste anche un'etica dei rapporti umani concreti e individualizzati, ciò che un tempo si sarebbe forse chiamato "onore". Proviamo allora, anche solo per gioco, a osservare tutta la faccenda in una particolare definizione policentrica dell'etica, così come prospettata dalla riflessione filosofica di Immanuel Kant. E cioè seguendo l'ipotesi, suggerita dagli stessi autori Mondadori, che nella specifica situazione siano presenti non una ma due figure di bene, o di virtù laica, tra loro in tacita competizione.

La prima figura di bene, unanimemente addotta dal coro dei mondadoriani, è una sorta di adesione prerazionale ai valori di amicizia e di riconoscenza umana. Che si accompagna a un giudizio netto e coerente in merito ai redattori, capi redattore, direttori di collana e funzionari Mondadori, tra cui lo stesso Antonio Franchini da te giustamente ricordato. Ecco, la ragione da loro implicitamente sostenuta sarebbe quella che non si tradisce chi ti ha trattato con rispetto e favore, non si voltano le spalle all'amico che ha così consentito, negli anni, la tua massima libertà espressiva.

Sull'altro piatto della bilancia kantiana, abbiamo però la presunta - anzi probabile - negligenza amministrativa dei vertici aziendali, che grazie agli appoggi politici (in questo caso sono molto più che appoggi, direi una coincidenza di stato), che grazie insomma alla nota condizione del conflitto di interessi, si configurerebbe ora come zavorra di un male non più personale ma collettivo.

Una legge che non mira, come dovrebbe, all'interesse pubblico. Ma a una utilità privata, meschinamente aziendale.

Abbiamo a questo modo due figure di bene che confliggono. La lealtà ristretta e individualizzata a un altro concreto, umano e professionale, di contro alla lealtà all'Altro universale e indotto: il popolo, la società civile, le istituzioni democratiche e perfino un'idea trascendentale e assoluta di giustizia. Ma abbiamo anche due figure di male altrettanto esclusive, quali il disonorevole tradimento dell'amicizia e della riconoscenza umana (andando via da Mondadori), che si contrappone al tradimento dei patti di equivalenza, anche ma non solo economica, di una comunità organizzata su basi formali (rimanendo in Mondadori).

Questo breve esempio, magari un poco ingenuo, lo trovo comunque utile per spostare il giudizio da un piano che a me appare eccessivamente astratto - una vaga idea di bene e di virtù - a uno specifico aspetto della questione, più sdrucciolevole ma anche più preciso, incarnato. Che porta a un esito non meccanico e moralistico, ma ineludibile nella sua forma logica, nella sua cogenza interrogativa.

Infatti gli autori che decidessero di continuare a pubblicare i loro libri con l'editore Mondadori, considererebbero, anzi considerano il bene privato - la lealtà all'amicizia - superiore al bene pubblico, pur non negando necessariamente la virtù civile che viene così subordinata. Darebbero insomma una risposta "filologicamente" di destra, intendendo con destra quella corrente storica del pensiero che fonda l'idea del bene nella fedeltà cameratesca all'amico, e cioè nella parte rispetto a un tutto percepito come artificioso e lontano.

Ed è una prospettiva tribale, da moralità del sangue e della terra. Dove l'interlocutore si limita all'orizzonte della sua visibilità fisica, all'esperienza vissuta tramite i sensi.

Mentre chi optasse per un cambio di editore, come don Andrea Gallo, reputa, almeno da un punto di vista gerarchico, il bene pubblico quale bene superiore. E dunque vincolante i comportamenti personali, in conseguenza dell'intellettualizzazione e astrazione dell'immagine dell'altro, come credeva lo stesso Kant. Un bene maggiore, se non un bene assoluto, e per tale ragione un bene democratico. Ma più mediato e slegato dall'esperienza diretta e viscerale del mondo.


O se vogliamo dirla con una battuta: gli autori Mondadori si trovano ora a dover scegliere tra Antigone e Creonte, e non è detto che i ruoli siano così scontati...

7 commenti:

  1. In attesa di ulteriori sviluppi che sicuramente non mancheranno e dunque allo stato attuale delle cose non credo saranno in molti ad andarsene come tu, Guido, probabilmente faresti. Ho letto i link, qualcosa già sapevo, tutto ciò mi convince sempre di più a pensare che pochi lasceranno e non solo per motivi di lealtà e di amicizia. Qualcuno aspetterà, altri continueranno il loro percorso, molti guarderanno il loro personale tornaconto. E chi cambierà non lo farà solo per motivi etici. I "puri" non esistono.

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  2. Diego Cugia ha pubblicato una nota che condivido totalmente:
    BOICOTTARE I LIBRI? NO, GRAZIE.
    http://www.facebook.com/pages/Diego-Cugia-Jack-Folla/160728065362?v=wall#!/note.php?note_id=421533356539&comments

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  3. Carlo, ho letto. onestamente Cugia non mi ha convinto. ricorda la strategia "entrista" praticata dai trotzkisti della IV internazionale, quando si infiltravano nei grandi partiti di massa per poterli reindirizzare. ora la questione a me sembra assai più semplice, e trovo che Vito Mancuso l'abbia riassunta con mirabile precisione. se parliamo di "etica pubblica", mondadori, beneficiando di una legge pensata e costruita ad uso "privato", si pone automaticamente in una posizione di perversione dei rapporti di moralità civile. punto, stop, da questo punto di vista non c'è davvero molto da aggiungere. anche se continuando a pubblicare i propri libri con mondadori non si commette certo un "peccato" - qui non è in gioco l'inferno o il paradiso - ma si rendono oggettivamente, ripeto, OGGETTIVAMENTE poco credibili i propri argomenti di dissidenza politico-morale. insomma, le cose che scriver ora Cugia vengono naturalmente compromesse, svigorite e perfino falsificate dal luogo in cui le dice: mondadori. un po' come il militare che, in quel capolavoro cinematografico che è full metal jacket, setacciava armato la campagna vietnamita con la spilla pacifista appuntata sopra la mimetica. un paradosso oggettivo. per quanto, come ho provato ad argomentare, l'etica può anche essere paradossale, in specie quando sono in gioco figure alternative del bene morale, quali la lealtà personale (all'amico, a chi ti ha trattato bene) e quella collettiva ad un'idea impersonale virtù, e cioè a un Altro indotto per astrazione. questa, Carlo, è a mio avvisto la vera questione che fa problema. mentre una generica prospettiva entrista, che pensa il male emendabile dal suo interno, mi sembra onestamente una visione un poco demagogica. che Cugia dica piuttosto, come altri suoi colleghi, che in mondadori ha trovato delle persone capaci, per bene, e che soprattutto gli pubblicano cose da altri rifiutate. a me sembra questa una ragione già più che sufficiente, che si potrebbe riassumere nell'eterno motto italiano: tengo famiglia.

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  4. Quello che tu hai visto come "strategia entrista" io l'ho valutata piuttosto come libertà sempre giustamente concessa all'espressività nel contesto dell'azienda Mondadori. E' risaputo che la casa editrice ha pubblicato autori di varie derivazioni politiche da Bertinotti a Massimo Fini, dal Che a Iva Zanicchi (mi piace questo estremo) e comunque non hai mai posto veti agli autori italiani.
    La questione morale posta da Mancuso inevitabilmente si scontra con la pratica da me gìà indicata nel primo post e da te sottolineata con un lapidario "tengo famiglia".
    Pennacchi stesso ha ribadito di non lasciare Mondadori perchè è stato l'unico editore a credere in lui.
    Quello che infine mi preme sottolineare è che un boicottaggio è sempre un'arma a doppio taglio e non giova sicuramente al senso generale della cultura italiana.

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  5. nemmeno io credo al boicottaggio. mi ricorda la pratica della pagliuzza, che si dimentica delle travi (morali) che galleggiano dentro la propria cornea. però, appunto, la prospettiva di Pennacchi è quella di una moralità "diretta", chiamiamola così, e cioè di una riconoscenza privata verso qualcuno che ha creduto in te, sostenendoti in un periodo di difficoltà (editoriali). fermo restando ciò che tu scrivi: l'assoluta liberalità espressiva riguardo i contenuti delle pubblicazioni mondadori, che si accompagna a una professionalità mai messa in dubbio da nessuno. ma la questione, da Mancuso sollevata e senza per altro suggerire alcuna campagna di boicottaggio, è che tutto ciò non è sufficiente per smarcarsi dalla connivenza con un brand che, pur non mangiando i bambini, ok, sta manifestando una disinvoltura amministrativa che si fa scudo del privilegio del potere, detenuto dal suo proprietario. questo e non altro è il problema di etica (pubblica) messo in rilievo da Mancuso. provando dunque a scomporlo nei suoi minimi termini, la domanda diventa se, pubblicando sotto lo stemma mondadori (anche se non sotto la sua dettatura e il suo compenso, già che un autore viene remunerato tramite le royalty), se insomma il ruolo espressivo è tale da restare totalmente impregiudicato dalle azioni (eventualmente) scorrette dell'editore. e la risposta che Mancuso anche si dà è: no, esiste una oggettiva compromissione con le modalità con cui il mio editore si comporta sul mercato editoriale, pur non essendo mia intenzione frodare o ingannare nessuno. Vito Mancuso, nei fatti, mostra così la differenza tra l'etica cattolica (fondata sull'intenzione) e quella laica (che come insegna max weber, si basa al contrario sulla responsabilità). bene, in tutta questa faccenda allora la cosa forse più singolare è proprio questa: che un cattolico, un teologo addirittura (e anche don gallo lo è) abbia dovuto mostrare cosa sia l'etica della responsabilità. con gli illuministi, come Scalfari, che ancora si dibattano tra lanci di sassi e nascondimenti di mani...

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  6. Siamo il paese dei campanili e quindi degli schieramenti. Questa premessa per sottolineare il fatto che Mancuso tende logicamente ad evidenziare il problema etico, come hai fatto tu, e sul quale posso essere d'accordo tuttavia è minoritario. Io mi sono permesso di allargare il discorso e la maggioranza assume il tono della sfida: boicottare i libri Mondadori. E parlo ovviamente di opinione pubblica. Ho ampliato volutamente l'argomentazione proprio per sottolineare come ormai l'etica assuma un contorno sempre più sfumato, sempre più plasmabile ad uso degli interessi personali. Viviamo un'epoca senza valori. E nel caso specifico si guarda il tornaconto, sorgono gli schieramenti a prescindere, si boicotta tanto per.

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  7. Mancuso, sulla pagine di repubblica, si è posto un problema etico che lo riguarda direttamente: continuare a pubblicare per mondadori, oppure cercare un diverso editore? nel farlo, per allargare la discussione, precisandone i confini umani oltre che fattuali (l'etica, alla fine, di fattuale ha ben poco) ha cercato di coinvolgere altri autori del dibattito, che condividessero la sua stessa condizione. la campagna di boicottaggio, che comunque rimane una moneta democratica nel confronto delle idee (ma più che di boicottaggio io parlerei di "scelta": una famosa ditta di abbigliamento sportivo utilizza bambini nella realizzazione dei suoi prodotti, e io "scelgo" di non acquistare la merce siglata da quel brand), la campagna di boicottaggio in questo caso anche a me appare inappropriata e vagamente demagogica. intanto perché la "merce" libro ha tratti del tutto particolari, come tu hai giustamente ricordato, e poi perché la vicenda dell'eventuale frode fiscale di mondadori è del tutto eventuale, appunto. riguarda insomma e ancora l'eterno conflitto di interessi del nostro primo ministro, che rende dubitabile ogni iniziativa politico-legislativa che si riflette in modo oggettivamente favorevole alle sua proprietà. insomma, più che una campagna morale, quella del boicottaggio, a me appare come moralistica. oltre che vagamente euforica e grondante di quelle certezze che sono sempre sospettabili: noi siamo i buoni, voi siete i cattivi. detto ciò, rimango dell'idea che Mancuso - parlando di sé e non di un astratto "voi" - abbia manifestato con esattezza i termini di una questione che ha molto di ambiguo ma anche di palesemente viziato, maleodorante, almeno all'interno di un paese che si vorrebbe continuare a chiamare democratico.

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