
Il 26 agosto è morto Raimon Panikkar, lo scopro soltanto ora.
Tempo fa, chiedendomi in quale cavolo di epoca fossi ruzzolato, mi ero dato questa provvisoria risposta: sono vivo, mangio, respiro mentre mangia, respira e vive anche Raimon Panikkar.
E' un mio contemporaneo, insomma. E trovavo consolante questa sensazione.
Contemporanei come Dante e Guido Cavalcanti, come Bacon, Shakespeare e Cervanes; gli ultimi due morti addirittura lo stesso giorno, il 23 aprile 1616. Oppure come Topolino ed Eta Beta, il cui nome esteso è Pluigi Psalomone Pcalibano Psallustio Psemiramide Pluff, e condivide le rogne di Topolino con Pietro Gambadilegno pur provenendo da un tempo futuro, il 2447.
Cosa Topolino faccia esattamente nella vita però non l'ho mai capito, e a maggior ragione Eta Beta; a parte sgranocchiare palline di naftalina e starnutire ogni volta che vede una banconota, a cui è allergico.
Raimon Panikkar invece è stato un grande teologo spagnolo. Ma anche un chimico, un letterato, un filosofo; tutte materie in cui aveva conseguito una laurea, oltre alle svariate honoris causa. Pare inoltre che parlasse una ventina di lingue, anche se lui si schermiva all'argomento, spiegando che in modo fluente e corretto non più di una decina, tra cui l'italiano.
Il nucleo del suo pensiero teologico si può riassumere nel concetto di “cosmoteandria”, presente anche nel titolo di uno dei suoi numerosi libri, qui pubblicati solo in parte; di ciò bisogna ringraziare Jaca Boock per il prezioso lavoro di traduzione. Scomponendo questo termine spigoloso che sembra uscito da un fumetto di Eta Beta, otteniamo tre elementi distinti. Vale a dire il mondo o meglio la realtà materiale (cosmos), Dio (theos) e l'uomo (anthropos).
Nessuno di essi, come in una trinità innervata, reificata nell'ordine manifesto delle cose, può però darsi in modo indipendente dagli altri. E' la relazione, come già aveva intuito Agostino, a costituire l'identità delle singole parti, e parlare di gerarchie spirituali non avrebbe dunque alcun senso. Dio ha bisogno dell'uomo quanto l'uomo di Dio. E il mondo, questo mondo, è il luogo del possibile incontro.
Lo spirito - santo o meno - rappresenta così il tramite di tale relazione tra uomo, Dio e mondo, il cui effetto sta semplicemente nella consapevolezza della sintesi: tornare alla casa del Padre non significa altro che tornare a casa propria, come per gli alchimisti rinascimentali.
Oltre alle suggestioni alchemiche, il pensiero di Raimon Panikkar si nutre della tradizione speculativa orientale, da lui approfondita per origini biografiche (il padre era un aristocratico indiano), studi e lunghi soggiorni a Varanasi, la città santa nei pressi del Gange. A chi gli chiedeva come potesse dichiararsi vicino alle posizioni buddhiste e induiste, senza negare il Cristianesimo a cui si era votato come sacerdote e gesuita, lui rispondeva che la spiritualità non procede per opposizioni logiche:
"Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindú e ritorno buddhista, senza cessare per questo di essere cristiano".
Come a dire che se, nella carne, non si può essere vivi e morti allo stesso tempo, nell'anima questo non solo è possibile, ma necessario. Tanto che il Cristianesimo sarebbe davvero una piccola cosa - una cosa morta - se chiudesse le finestre allo spirito, quando soffia all'esterno delle proprie stanze. O come amava dire, la religione è qualcosa che lega (religio) ma anche slega, libera ed espone al libero flusso delle cose, soprattutto quelle che più ci appaiono estranee. In questo immetterci al cospetto dell'Altro, in tutti i sensi, il Cristianesimo scorge ciò che gli è proprio. Ed è il sublime paradosso religioso, la folle scommessa.
Ecco, più che un teologo sincretico, occupato in costruzioni meccaniche con elementi spuri, Raimon Panikkar appariva allora come qualcuno che spalanca porte e finestre e si dispone alla brezza dello spirito, che per definizione soffia dove gli pare. Sì, un uomo che amava respirare, vivere, forse anche magiare come il Buddha storico, che dicono sia morto per un'indigestione di funghi.
E così pure io continuo a mangiare, vivere, respirare. Ci mancherebbe. La sera mi capita di leggere qualche pagina di Dante, Shakespeare, Cervantes o più spesso Topolino - ma chissà che fine ha fatto Eta Beta, non se ne parla più... E canticchio una canzone triste e leggera, perfino, ma solo ogni tanto.
La parole di quella canzoncina però continuano a sfuggirmi, e anche la nostra epoca senza boccaglio. Dove Raimon Panikkar ha smesso di aprire porte e finestre e poi semplicemente respirare. Ma anche di pensare all'ossigeno che mette in relazione il cielo con il cuore, di scriverlo in lunghi e profondi volumi, e di pregarlo di continuare a soffiare in questo tempo, già che un altro tempo non è dato.
L'unica felice eccezione è Eta Beta, naturalmente, che ha in tasca un biglietto di ritorno per il 2447.
E' allora grazie anche a Raimon Panikkar se ho capito che questa è la porzione di orologio a me assegnata, la mia chance e unica scheggia di eternità. Ma con chi posso condividere il ticchettio delle lancette, gli scossoni del viaggio, adesso che lui è tornato a casa? Vediamo quali compagni di scompartimento sono rimasti: Denis Verdini, forse... O Maria de Filippi, Lapo Elkann, Belen Rodriguez.
Ma soprattutto mi mancherà il suo sorriso, il sorriso di Raimon Panikkar. Lo schiudersi della labbra in quel modo che nemmeno dopo anni di actor studio, no, in quel modo lì sorrideva solamente lui... Un uomo di cui era bello sapersi contemporanei.
(PS - Segnalo questo breve e intenso filmato su Youtube, dove è possibile trovare molto altro materiale sul teologo scomparso, tra cui lo spezzone di una bella intervista realizzata da Franco Battiato. Ricordo inoltre, e raccomando, anche l'ottimo sito curato da Gianfranco Bertagni. In cui è presente una mirata selezione di testi in italiano di e su Raimon Panikkar)