domenica 7 febbraio 2010

Futura, o sul perché Facebook è reazionario



Le chiamano note. Dalla bacheca di un’amica scopro che è una funzione di Facebook. Ma forse più che scoprire dovrei dire intuisco, almanacco, non avendone ancora compreso il funzionamento per intero.
Immagino dunque che si tratti di questo. Dopo aver scritto un post, cioè un breve testo da pubblicare nello spazio informatico personale, c’è la possibilità di individuare alcuni destinatari, a cui nel momento della pubblicazione lo stesso viene associato.
Ma con un esempio dovrebbe essere più chiaro.
Trovo sulla bacheca della mia amica Lotte una poesia piuttosto sentimentale; o meglio soffusamente malinconica, ridondante. E’ di un tale che si firma Gabriel Lure. Ora non è tanto importante decidere se sia bella oppure brutta. Più che una poesia a me sembra il testo di una canzone, assumendo dal genere formulazioni sospirose quali "campanule orfane”, "lacrima gentile", "parole non dette in un giorno di pioggia …"
Ok, credo che sulla qualità del testo ci siamo capiti.
La cosa veramente interessante è dunque un’altra. Gabriel Lure non invia questa canzone senza musica a un interlocutore individualizzato, quale potrebbe essere Luisa o Maria o Giacomino. No, egli la invia a Luisa e Maria e Giacomino. Il passaggio dalla congiunzione disgiuntiva a quella coordinativa modifica insomma la natura stessa della comunicazione, che si fa collettiva senza essere globale.
Vediamo allora cosa questo implica, ma come ogni autentica novità muoviamoci per negazioni progressive.
Intanto la composizione di Gabriel non rientra nel genere epistolare, mancando di un “tu” entro cui circoscrivere l'interlocutore. Contemporaneamente, però, il testo non è nemmeno pubblico, non rivolgendosi a un uditorio indifferenziato ma a una precisa selezione di interlocutori. Insomma, un po’ come una volta avveniva a teatro con le varie autorità cittadine, a cui venivano assegnati dei palchetti separati dalla massa con poltroncine in velluto rosso (che perlopiù restavano vuote).
A questa prima considerazione, dobbiamo aggiungere che il buon Gabriel non ha realmente inviato la sua canzoncina a Luisa e Maria e Giacomino. Perché Giacomino, in effetti, non ci stava. Mentre di Luise e Marie ne erano presenti una trentina. Trenta giovani fichette a cui offrire la sua lacrimevole pena di amante e poeta incompreso.
Sì, siamo in pieno Ottocento. Con una differenza significativa. La cultura romantica, a cui Gabriel evidentemente si ispira, prevedeva una robusta cornice estetico-formale, entro cui danzavano delle coppie polari che si rafforzavano individualmente proprio per via della specularità; al limite potevano crearsi dei triangoli, quando fosse presente anche la figura indesiderata ma ineludibile dell’Altro. Diverse figure geometriche non erano contemplate. Mentre nella scena moderna Tu, Io e l’Altro hanno lasciano spazio a una folla anonima e vociante; la famigerata “gente”, che richiama la voce indistinta del coro tragico, senza però possederne l’autorevolezza profetica. Un coro che parla a cazzo di cane, si direbbe a prima vista. E come i cani abbaia alla luna e bacia la mano che tiene il bastone. Il passaggio da Popolo a gente possiamo anche vederlo a questo modo: la caduta di una sintesi nominale e cognitiva, che si fa storia a partire dalla seconda metà del Novecento.
Gabriel Lure però ci dimostra di essere già oltre, fuori dal Novecento ma con un piede ancora ben saldo nell’Ottocento. Egli è infatti sensibile, sentimentale, romantico. Però è anche sufficientemente cinico e moderno da sapere che tempo e sforzo vanno ottimizzati. Perché provarci con una sola donna, allora, quando Facebook ti offre la possibilità di farlo contemporaneamente con trenta?
Ecco allora cosa sono le note di Facebook: uno stratagemma linguistico per smarcarci dai confini storici del discorso duale, della parola "responsabile" in quanto una risposta non solo è prevista, ma dovuta. E che ora vede la comunicazione non più limitata al pozzo di un tu biografico – tu che mi leggi, tu che mi ascolti e tu che dunque mi risponderai - senza con questo però nemmeno allagare nell’oceano di un tutti civile, un tutti che si fa carico della complessità di ciò che ci è differente. Piuttosto un noi, una pozzangherina opaca, che recupera e rilancia una funzione “tribale” della lingua, chiamiamola così.
Noi infatti è il pronome che qualifica una socialità ristretta, selezionata e con pedigree – in questo caso il parametro di selezione è quello del genere sessuale, ma le discriminanti tribali potrebbero essere molteplici. E’ sufficiente che si condivida questa collocazione intermedia tra il privato (tu ed io) ed il pubblico (tutti), accampandosi in quei territori selvaggi della lingua dove vigono le uniche leggi della statistica, della probabilità e dell'analogia.
A differenza di quando si parli con un interlocutore individualizzato, con un tu, con l'ampliamento delle destinazione verbale non è più dovuta alcuna risposta, per ethos ma nemmeno per galateo. E però una risposta è compatibile, tutto diviene compatibile e facoltativo quando parliamo tra noi. Ossia quando torniamo tribali - il gruppo, il clan, le amichette di Facebook - mentre conficchiamo le nostre parole dentro il cuore pulsante del moderno.
Ecco allora in cosa precisamente è reazionario Facebook. Nel promuovere la regressione da una parola pubblica, civile, la quale metta a tema la complessità del mondo che è data dall'articolarsi di differenze significative, da approcciare per mezzo degli strumenti di una razionalità persuasiva, a una lingua idiomatica, se così possiamo dire: una lingua che ha valore d'uso solo all'interno del clan, come un gergo malavitoso. Ma per via di questa premessa strumentale, la lingua di Facebook retrocede anche da un orizzonte morale fondato sul riconoscimento dell'Altro, del suo corpo e della sua biografia, che storicamente sono a fondamento del discorso duale. Ciò che resta è l'illusione di uno spazio comunitario che si articola per analogie ludiche, il piacere e l'affinità del gusto (gli stessi cantanti, scrittori, registi da onorare) come unico elemento aggregante ed esclusivo. E quel che viene escluso dall'onda di risacca sono proprio le differenze interpretative quanto l'interrogazione singolare, lasciando sulla sabbia l'orma del vecchio mito tribale. Una comunità circoscritta dal profondo fossato della pigrizia e della diffidenza.
I creatori di Facebook, che davvero sono dei profeti della modernità, dei geni della comunicazione dissociata, hanno così intuito che il loro strumento rende realizzabile uno dei miti cognitivi del presente, che paradossalmente si realizza nel momento in cui viene rivangato l'antico. Quello del ritorno a una comunità che non è più della terra e del sangue, ma del gusto, del godimento; o meglio ancora della jouissance, per riprendere un concetto lacaniano rilanciato dal filosofo sloveno Slavoi Žižek. E con ciò della relazione non vincolante, del “ndo’ cojo cojo”.
Ma di questo davvero non abbiamo mai dubitato. Che, prima o poi, qualcuna delle trenta nel frattempo magari diventate trentuno o trentadue o quarantacinque, sacre vestali del branco, finalmente gliela dia. Al nostro malinconico astutissimo poeta.
E se saran rose e se sarà una femmina, si chiamerà Futura.

2 commenti:

  1. Facebook è reazionario in alcune sue funzioni primarie, dunque gattopardesco. Non si inventa più nulla nella comunicazione? Si trasferisce la conversazione, l'ammiccamento, la conoscienza alla tastiera e si perde il contatto fisico, la sensazione, lo sguardo. Un piano diverso dell'ancestrale bisogno dell'altro.

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  2. io trovo che facebook sia "reazionario" in un senso proprio letterale, filologico. infatti attraverso le modalità comunicative proprie di facebook - prima di tutte la costituzione in gruppi trasversali di appartenenza, quali appunto la famiglia - la comunicazione sociale retrocede da un orizzonte collettivo fondato sulla razionalità persuasiva, ad un consenso preventivo, "castale", basato dunque su presupposti etnici. con la differenza che l'elemento etnico non è più dato dal sangue, dal luogo e nemmeno da una memoria partecipata, ma da ciò che potremmo chiamare "principio analogico del piacere". in altre parole, noi siamo NOI perché godiamo degli stessi piaceri. e su facebook andiamo a cercare i nostri compagni di merende.

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