Mi ricordo di Sinead O'Connor, avevamo la stessa età. Coscritti si dice, così vengono chiamati i ragazzi che vanno in guerra, scarpe grosse e un paio di tavolette di cioccolato nello zaino, l'M14 come nuovo giocattolo da farsi bastare fino al Natale successivo. Noi però siamo nati in tempo di pace, una pace che sembrava non avere mai fine, a parte qualche eco remota che proveniva dal Vietnam. Era il 1966, l'anno in cui Simon and Garfunkel pubblicano l'album Sounds of Silence. Le note della canzone omonima – "hello darkness, my old friend /I've come to talk with you again..." – fanno da colonna sonora alla scena della piscina nel Laureato. Al centro galleggia un materassino marrone, Dustin Hoffman ci sta disteso sopra, fissa il cielo con degli occhiali scuri che ne imbronciano l'espressione, la pelle del corpo è abbronzata e lustra per via della crema solare. Quando finalmente si immerge lo spettatore dovrebbe pensare a una sorta di catarsi, ma io ho sempre pensato a dove fossero finiti gli occhiali, immaginandoli andare lentamente a fondo e posarsi sulle piastrelle azzurrine. Nel montaggio la sequenza viene alternata con gli amplessi assieme a una donna, Mrs. Robinson, che allora si diceva matura e ora MILF; se ho ben capito, significa Mother I'd Like to Fuck. A quanti anni si diventa donne mature? E quand'è che la maturità, il tempo, il trasformarsi delle cose in altre cose simili ma un po' ammaccate, è diventata oggetto di spregio, fotti la vecchia e poi gira il filmato al gruppo di amici su WhatsApp? Sinead O'Connor viene al mondo l'8 dicembre, io il 19 aprile. Al momento dello scatto, quasi simultaneo, delle due fotografie, si erano già alternati molti titoli d'apertura sui quotidiani nazionali: via il Vietnam e dentro lo scandalo delle carceri d'oro, Er Canaro che tortura e infine uccide un pugile rinchiuso in una gabbia per cani, e naturalmente piazza Fontana e tutta la stagione del terrorismo, a culminare con l'R4 rossa dove viene ritrovato il corpo di Aldo Moro. Osservando con attenzione le immagini, spicca l'atteggiamento strafottente di quel ragazzo con i baffi e la zazzera: fissa l'obiettivo con sfida senza abbassare lo sguardo; si intuisce un nemico da intimidire o un'amante da sedurre, che poi è lo stesso. Vita. Ma ancora potenziale, involtolata, un'ombra imbronciata su un materassino che la separa dal liquido che sciaborda tiepido, proprio come Dustin Hoffman. Passando di fronte allo specchio del bagno ricerco la strafottenza di quei giorni, ma ritrovo solamente l'ombra, diluita come il pittore maldestro diluisce l'impasto della tempera con troppa acqua: prima difettava ma adesso ce n'è troppa, allaga. Sinead O'Connor è invece già da subito impregnata dall'ombra. Lo sguardo, altrove, restituisce la sensazione di uno scoiattolino, dentro a occhi enormi e bellissimi fa spazio alle infinite sfumature del bosco; la mano sotto il mento è un nido, il braccio fa da tronco. In lei non c'è traccia della strafottenza a cui il successo avrebbe potuto indurla, ciò che vediamo e non vediamo, per suo tramite, è puro accadere. Ma cos’è che accade? Una parola inquietante se ne raschiamo la superfice festosa, insinua il concetto di caduta. Con la differenza che non si ruzzola nelle tenebre, ma si viene colpiti e affondati dalla luce; una luce troppo forte, abbaglia, fino a vanificare le forme che avrebbe dovuto rischiarare; i mistici gli danno nomi diversi, Carmelo Bene la chiama depensamento. Si depensava bene negli anni Ottanta, posso dire solamente questo, in ciò erano tanto diversi dall'attuale finto pensare, scrivere, almanaccare sui social. Ma torniamo alle fotografie. Sorridi, no, non sorrido, faccio il bel tenebroso, non è difficile risalire a quel che mi passava allora per la testa. E nel cranio rasato di Sinead? Non si capisce, non si è mai capito. La successiva adesione all'Islam, l'immagine del Papa stracciata, il figlio suicida e la ricerca di un nuovo fidanzato su internet; tutte tessere dello stesso enigma. Eppure, nel momento in cui il suo volto si imprime sui cristalli di alogenuro d'argento, sembrava un'esistenza tanto semplice, non diversa dall'equazione semplificata a cui il mondo veniva ricondotto. Lei era quella che si rasa i capelli a zero. Punto. Così si fa prima a disegnarla sul diario. Intanto sulla torta le candeline erano salite a ventitré, due torte per la precisione, una a Sondrio e una a Dublino, tante quante le battaglie combattute dai coscritti nella loro guerra di marzapane. Sulle sue candeline ci soffiava il mondo intero, le strillavano BRAVA, ancora, bis, e l'aria che si accompagnava all'emissione della voce spegneva una fiamma che non si sarebbe più riaccesa. Non so se qualcuno abbia mai detto bravo a me; di certo non mio padre, men che meno i professori dell'Istituto Tecnico Commerciale De Simoni; io avrei voluto iscrivermi al liceo scientifico ma è andata come è andata, poco importa. Ciò che davvero mi importava era depensare a bordo della Vespa PX 125 bianca, impennavo leggermente quando compariva la luce verde al semaforo, il sabato sera si andava in discoteca al Tempio e giovedì alla Moia, a settembre puntuale l'esame di riparazione in matematica. Andavo anche in palestra e da un parrucchiere che si chiamava Equipe 2000, ancora undici anni e ci saremmo finalmente arrivati: il fatidico anno della svolta di secolo, di più, di millennio! Era infatti il 1989, erano gli anni Ottanta, erano... Ma questo l'ho già detto, come tutti i vecchi tendo a ripetermi.
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