mercoledì 6 agosto 2025

In difesa di Liliana Segre, o sul contro-illuminismo di sinistra

Me le ricordo ancora le celebrazioni dell'incontro tra Liliana Segre e Chiara Ferragni, era il 27 giugno del 2022, il luogo la Fondazione memoriale della Shoah di Milano. I post gongolanti si sprecavano sui social. Chiara è una di NOI, sottotesto che non di rado si traduceva in testo, festa, girotondo gongolante. Quando Liliana, si sa, lo era da sempre: una compagna, e poco male se il marito si era candidato nelle file dell'MSI di Almirante, era tanto tempo fa.

Non furono da meno giornali e talk politici, tutti saldamente collocati a sinistra. La prima a essere stralciata dal presepe fu proprio la Ferragni, le mani ancora sporche dello zucchero a velo del pandoro: un bel calcetto in culo e la superiorità morale della Sinistra era di nuovo ristabilita. Adesso è venuto il turno di Liliana Segre, rea di non voler pronunciare, a differenza di David Grossman, il termine genocidio. Alla fine il metodo rimane invariato, non meno del bisogno di vitelli d'oro da venerare nell'eclisse del Dio unico (la rivoluzione proletaria) per continuare a sentirsi diversi e migliori. In fondo ci sta ancora Saviano, Chiara Valerio, le infinite vedove di Michela Murgia etc.

E così, per puro spirito di contraddizione, a me viene da difenderla, Liliana Segre. Non che ne condivida il pensiero – io penso che uno schifoso genocidio a Gaza sia in atto –, ma trovo infantile questo desiderio di vedere riflesse le nostre convinzioni in una Sacra Famiglia, dove la Segre verosimilmente incarnava la nonna buona. Mi viene in mente il finale dei Ponti di Madison County, lì erano i figli di Merly Streep a scoprire che la madre era un essere umano come tutti, e gli esseri umani possono cedere alla tentazione di una relazione extraconiugale o, di tanto in tanto, scoreggiare in ascensore e dire qualche minchiata. Cose che non sono in contraddizione con l'essere stati in un campo di sterminio nazista.

Resta allora da decidere se assumere l'imperfezione come tratto distintivo dell'umano, oppure trovare una nuova nonnina per il presepe; le staffette partigiane sono già quasi tutte morte, va a finire che il ruolo verrà assegnato a Roberto Vecchioni con una parrucca da donna in testa, come si faceva nel teatro antico e in quello elisabettiano.

La prima scelta coincide con la condizione adulta, la quale comporta una molteplicità di interpretazioni del mondo, non sempre forgiabili in stampo. La diversità di giudizio, in tal caso, rimane diversità, non colpa, tantomeno stigma da esibire sui social. Se vogliamo un riferimento alto possiamo chiamare in causa Voltaire, e la sua difesa del diritto a esporre opinioni da lui avversate. Ma io preferisco il riferimento basso a Stanlio e Ollio, che già a partire da corpi tanto dissimili  ma ogni aspetto era in loro alternativo, persino nella vita reale – avevano saputo trarre una forza pazzesca. Per inciso, si chiama complementarietà.

Detta in sintesi, ciò che i fatti recenti mostrano è una Sinistra vandeiana e contro-illuminista, ma pure priva di ironia, di capacità di sorridere dei limiti propri e altrui alla maniera di una vecchia comica in bianco e nero, senza con ciò fondersi in grigio. Una Sinistra che non si limita a dire ciò che pensa, come fa discutibilmente Liliana Segre, ma stabilisce il dicibile.

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