Mi ricordo del primo libro che acquistai, l’aggettivo
primo era presente già a partire dal titolo, La prima fetta di torta,
a firmarlo se non forse a scriverlo fu Sandro Mazzola, detto Sandrino. Recita
il sottotitolo: i problemi, le speranze, le delusioni di un ragazzo con
voglia di pallone.
Fino a quel momento avevo letto solamente libri che mi passavano i genitori, di solito si trattava dei romanzi di Mino Milani
ambientati nel West; per convincermi a una pratica verso cui non mostravo alcun interesse precoce, anzi e a dirla tutta scantonavo, facevano leva sulla mia passione per i
fumetti di Tex Willer. Ma avevo anche già letto Il vecchio e il mare di Hemingway. Lo
cominciai, tra uno starnuto e l'altro, una mattina in cui non ero andato a
scuola, per terminarlo prima che cominciasse Zorro in tivù. La scelta fu
dettata dal fatto che era il volume con meno pagine, almeno tra quelli presenti
nella libreria di papà. Poi venne il desiderio di un libro tutto mio, e dal momento che Mazzola era il calciatore che
aveva fatto tana nel mio cuore (quando ero più piccolo mi era stata regalata
una bambola che ne riproduceva le fattezze, ora la si trova su eBay a prezzi
stratosferici) la sua autobiografia mi sembrò la scelta naturale.
Era un uomo affabile, di solito le persone affabili
sono un po' rotondette, mentre lui era secco secco ma dalle gambe lunghe e
potenti, con cui riusciva a liberarsi dalle marcature a uomo dell'epoca,
terzini alla Burgnich che
ti seguono fin dentro agli spogliatoi. Inoltre era molto bella anche la
copertina, raffigurava un prato verde con alle spalle una porta da calcio, al
suo interno undici uomini pronti per iniziare la partita. Ciascuno indossava la
blusa di un diverso club, ma erano accomunati dallo sfoggiare i baffetti di
Sandro Mazzola. In primo piano, sempre dipinto, un pallone di cuoio con la
cucitura esterna, da cui fuoriuscivano i lacci per rinsaldare gli spicchi. Un
vero spauracchio nei colpi di testa.
Da parte tenevo un po’ di soldi frutto delle mancette
di Natale e compleanno, e così mi avviai verso la libreria Alesso; più che altro era una cartoleria, ma qualcosa comunque si trovava. Chiesi del
libro. Sì, certo, l'abbiamo. È edito da Rizzoli: vuole l'incarto da regalo? No
grazie, è per me. Tornai a casa e cominciai a leggere sul divano in tessuto
grigio del soggiorno.
Temo di avere scordato il contenuto, ho solo qualche reminiscenza. Ad esempio la tragica morte del padre nell’incidente aereo di Superga, al dolore personale si unì un ammonimento filosofico: la grandezza, quella del grande Torino spazzato via in una maldestra manovra di volo, come la bellezza è transitoria; e poi l'esame di maturità sostenuto nel giorno del suo esordio in Juventus Inter, era il 10 giugno 1961, diventò ragioniere poche ore prima di segnare il suo primo gol in serie A; il rapporto con il più giovane fratello Ferruccio, che non riuscì mai a ottenere gli stessi risultati sportivi. Non è solo un fatto di impegno, il talento è asimmetrico e distribuito senza ragione apparente. Tutti motivi della grande tradizione letteraria, mi viene in mente Il soccombente di Thomas Bernhard, al modo di un frattale potevo ritrovarli in un libro alla mia portata, quella di un braccio più avvezzo allo scaffale delle patatine.
Potrei aggiungere che da quel giorno divenni un lettore accanito, ma non sarebbe vero: continuavo a preferire le biciclette da cross, i fucili a elastico, gli occhi marroni dei cani e quelli azzurri delle ragazze tedesche; le riconoscevi in campeggio dalle tre bande cucite sulla maglietta Adidas, e dalle cosce snelle arrostite dal sole.
C’è chi sostiene che la letteratura rappresenti un
doppio della vita. Io penso che sia più modestamente una sua regione un po’
discosta, ci vuole determinazione e pazienza per raggiungerla, ma anche il coraggio di Charles Marlow in Cuore di tenebra. Al termine si potrebbe scoprire una diversa geografia dell'umano. Ha il vantaggio, non
trascurabile, che ci si entra uno per volta o al massimo in due, come su certe
seggiovie; l'altro è l'autore, o per essere più precisi la voce narrante. E
mentre sfogli le pagine si mette in moto la seggiovia, risale le
pendici di un monte che può essere più o meno alto, lo vediamo animarsi dei
personaggi della narrazione. Non tutti i giorni abbiamo le forze per
raggiungere l’Himalaya, si può anche andare in libreria e, invece di Delitto
e castigo, chiedere l'autobiografia di Sandro Mazzola. Che è poi quello che ho fatto io.
Per un po’ è stato bello stare in sua compagnia: mi
diceva guarda lì, guarda là, guarda me. Ma dopo un
centinaio di pagine mi venne voglia di
scendere – interrompere la lettura è uno dei fondamentali diritti del
lettore, scrive Pennac – e lo salutai per lasciarlo proseguire da solo. Adesso mi
piace ancora leggere, ma non ne ho fatto un'ossessione. Non comprendo chi vede nella letteratura una
Gerusalemme Celeste, pubblicando sui social la copertina dei libri appena letti. È solo carta rilegata penso.
Però devo ringraziare Mazzola e tutte le fette di torta che sono seguite, mi hanno insegnato a scorgere il lato incerto delle cose, il fatto che una torta è una torta ma anche qualcos'altro, una seggiovia è una seggiovia ma pure una via senza più alcun seggiolino, una possibilità a cui non avevamo ancora pensato, o che conoscevamo senza possederne le parole. C'è spazio perfino per l'ovvio, ed è qui che incontriamo la differenza altimetrica: il cattivo scrittore rimane a fondovalle, mentre quelli che poi chiamiamo classici si arrampicano fino a ribaltare le premesse.
Una volta che si sia appresa la lezione –
il mondo è liquido – la si può applicare a tutto il resto. Io la misi subito in
atto, trovando il mare a lambire il condominio sondriese dove abitavo negli
anni Settanta, il cortile era diventato un golfo da navigare in compagnia di altri
piccoli marinai. Allora le pensavamo acque limpide, se non altro ci erano
risparmiate le immagini dei cormorani con le piume imbrattate di petrolio.
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