Mi ricordo l'ingresso di Fabio dalla porta a vetri del Bar Sole, dopo avere parcheggiato l'Oscar College accanto all'aiuola sul Lungo Mallero Diaz. Indossava come al solito scarpe da pallacanestro con una stella rossa sul lato, superò il videogioco dove Shultz stava sbranando dei fantasmini, e fu a quel punto che Fabio lo disse, rivolgendosi a tutti e a nessuno: Buttategli giù una colata di cemento, una bella colata di cemento ripeté, valutando forse che l’aggettivo bella avrebbe dato maggior vigore alla frase. Ma nemmeno così aveva funzionato, dai tavoloni in legno di abete dove stavamo bevendo birra alla spina le espressioni erano perplesse, più che di vera riprovazione. Fece allora un passo indietro: L’ha detto mio fratello. Particolare che cambiava naturalmente le cose. Se l’ha detto il fratello di Fabio che ha già ventitré anni, si vede che a ventitré anni e cioè da grandi ma non ancora adulti, in quell’interregno tra l’infanzia e il cartellino da timbrare da cui recalcitrava solo Rocky Balboa, si vede che si può scherzare come facevamo su ogni altro argomento, è ciò che gli anglosassoni chiamano black humor. Intanto, Richard Sanderson smise all'improvviso di colare melassa sonora, e alla sua Reality, dalla radio accesa nel locale, subentrarono gli aggiornamenti da Vermicino. Era la prima volta che si sentiva nominare quella frazione romana, la toponomastica non invitava ad approfondire. Ma il caso o l’imperizia di qualche muratore avevano voluto che, proprio lì, Alfredo Rampi detto Alfredino fosse scivolato in un pozzo artesiano. Un uomo molto piccolo e magro, un contorsionista soprannominato Uomo Ragno, si era offerto di calarsi all'interno dell'angusto cunicolo, nel tentativo disperato di acciuffare la mano del bimbo di sei anni e riportarlo in superficie, dove i cameramen delle televisioni pubbliche e private lo attendevano per lo scoop. Ma assieme a loro l’attendeva l’Italia intera, non si parlava d’altro: chi non era al lavoro osservava le immagini che provenivano dal televisore con apprensione, a nessuno sarebbe venuto in mente di riderci sopra. Facevano eccezione una decina di quindicenni stravaccati in un bar sondriese a sorseggiare Stella Artois, una decina di coglioni e anche un coglione un poco più grande, dall'alto del suo prestigio anagrafico aveva dato la stura a risolini prima timidi e poi gongolanti e scomposti – in fin dei conti è grazie al fratello di Fabio che avevo scoperto Michel di Claudio Lolli, non poteva essere ammattito da un giorno all'altro –, mentre Fabio continuava a ripetere una colata di cemento, buttategli giù una bella colata di cemento, pago di avere ottenuto il suo scopo. Non era nemmeno cinismo, probabilmente desiderava solo scaricare a terra la tensione accumulata alla maniera dei parafulmini, la realtà era un castello di Lego costruito dalle mani tremolanti dei vecchi, così chiamavamo i nostri genitori, il mio vecchio, la tua vecchia, bastava smontarlo per ricomporre i mattoncini in forma caricaturale e buffa, non si può essere oltraggiosi verso ciò a cui non si crede fino in fondo. Ed è forse questo il senso ultimo di ogni adolescenza: opporre il possibile al reale, nella convinzione che possiedano la medesima natura liquida, onde quantistiche non ancora collassate che si infrangono contro il lungomare di giorni lunghissimi e lieti. Poco importa se l'alternativa abbia carattere sarcastico o romantico o eroico, i fatti sono un'opzione drammaturgica tra le altre, vincolante solo per chi vi abbocca. Due giorni dopo la radio del Bar Sole comunicò che, purtroppo, un avverbio sul quale indugiò con patos vagamente teatrale il giornalista, Alfredino era morto. E il mondo che era un blocco morbido di Das da plasmare e riplasmare a piacimento, si solidificò in un istante.
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