mercoledì 13 novembre 2024

Mi ricordo 19

Mi ricordo del busto esile e ritto di Giovanni, spunta appena dallo schienale della sedia, le braccia immobili e composte lungo i fianchi. Uno per uno gli altri compagni lasciano il loro posto e si incamminano verso la maestra, che ci attende sulla pedana della cattedra. Qui afferra un lembo dei pantaloni o della gonna e scruta nelle mutande, esamina, manda assolti con un gesto che ricorda i giudizi scolastici, un voto in pagella tra gli altri. Promosso! La maestra Maccarone, alito di caffè, ha sempre avuto uno spiccato senso del teatro, eredità forse della sua regione di provenienza.

Solo Giovanni si rifiuta di alzarsi e raggiungere il proscenio, e da ciò intuiamo che deve esserci un qualche rapporto tra lui e l'odore che da qualche minuto ha iniziato a diffondersi nell'aula, sempre più intenso e penetrante. Farsi la cacca addosso è una brutta grana, anche se frequenti la seconda elementare.

Dall’altro versante della rappresentazione, la gioia feroce di essere riconosciuti innocenti e quindi meritevoli, le braccia alzate del pugile proclamato vincitore. Rido insieme agli altri, puzzone, puzzone smerdolone diciamo rivolti al colpevole, finalmente smascherato. La legge del branco non è meno implacabile per i cuccioli. Intanto, gli occhietti azzurri di Giovanni cominciano a inumidirsi, la massiccia montatura in celluloide degli occhiali è l’unico argine a sua difesa. E così continua a rimanere immobile, più simile alla fotografia che non al teatro o al cinematografo, in effetti. È un totem.

Una lava marroncina intacca la fissità dello scatto, la vediamo tutti e le risate si fanno ancora più forti, cola dalla seduta in faggio chiaro, discende i tubolari in ferro della sedia, si diffonde sulle piastrelle sintetiche del pavimento. E insieme a quella cominciano a sgorgare dalle palpebre i primi goccioloni.

Ora il totem si è trasformato in vulcano, ma senza sonoro. Questo è Giovanni. Il suo talento è il disegno, è l'unico della classe che sa già disegnare un cavallo, all'intervallo mangia il panino col salame preparato dalla mamma, parla poco, sorride molto. Un vulcano da cui dolcemente eruttano lacrime e merda, merda e lacrime silenziose.

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