venerdì 1 novembre 2024

Mi ricordo 18

Mi ricordo di una grande gondola nera su cui è posata una piccola bara bianca, le acque appena increspate la fanno oscillare alla maniera di una culla. Noi siamo stipati su un vaporetto che ricorda quelle barzellette sugli stereotipi nazionali. I giapponesi mitragliano con le loro Nikon gabbiani opachi abbarbicati sulle bricolle, gli americani indossano camicie a fiori e si ingozzano di Pocket Coffee, soprattutto le donne che hanno dita gonfie macchiate dal cioccolato, i francesi trovano sempre un motivo per alzare le spalle ed emettere una piccola scoreggina con le labbra, tutto è così dolcemente prevedibile, compreso ciò che ci attende su un’isola poco più estesa di uno scoglio. Qui soffiamo il vetro dice un uomo con un accento che fa un po’ ridere, possiamo ricavare qualsiasi forma aggiunge orgoglioso. Anche la forma di un bel cazzo? sussurra Mascarini. Per fortuna il professore di applicazioni tecniche non ha sentito, e nemmeno l’uomo con l’accento che fa un po’ ridere, il suono della voce ha raggiunto solo Tavelli, Orvieto e me, facendoci sghignazzare come quattro moschettieri in lotta contro la congiura dei noiosi. D’altronde è l’unica cosa che sappiamo disegnare sui banchi: cazzi, cazzi in ogni stile e dimensione, a volte aggiungiamo un fumetto senza inserire alcun testo, la bocca da cui esce è la fenditura del glande; dovrebbe rappresentare il fiotto del seme a fecondare mattinate che non passano mai, con l’unico miraggio della gita scolastica di fine corso. E finalmente eccoci arrivati, dopo cinque ore di pullman che sono riuscite a farmi odiare le canzoni di Lucio Battisti. Se ribalti la boccetta colma d’acqua cade la neve sul ponte di Rialto, sono i souvenir acquistati per ricompensare i nonni della loro busta, va' va', non spenderli tutti in sala giochi; ma Mascarini è riuscito a trafugare anche una bottiglia di Amaretto di Saronno, me la porge intimando: Bevi! Serve a trovare il coraggio per raggiungere la camera delle ragazze, Tavelli e Orvieto si trovavano già lì. È dalla prima media che mi prefiguro il momento, sono trascorsi tre anni in un fatidico soffio, la vita media di un criceto; passare la vita a sgambettare dentro una ruota che fa della finzione il suo movimento, non deve essere tanto meglio del disegnare cazzi su banchi di fòrmica verdina... Troppi pensieri, meglio attenersi a un copione provato mille volte nella palestra della mente, come fanno gli sciatori una volta varcato il cancelletto di partenza; tolgo le scarpe da basket e mi infilo vestito nel letto dell’Acquistapace, riproduzione in scala anagrafica ridotta di Maria Giovanna Elmi, la fatina bionda che negli anni Settanta annunciava i programmi su Rai1; nel letto accanto sento Tavelli sbaciucchiarsi con qualcuna, probabilmente si tratta di Beltrama, la ripetente, a Orvieto e Mascarini deve essere andata meno bene. Sono però troppo ubriaco per tentare un approccio, riesco chiederle soltanto: L'hai vista anche tu, oggi pomeriggio, una bara bianca ma piccola, probabilmente si trattava della bara di un bambino, stava su una gondola appena fuori da Canal Grande... o mi sono immaginato tutto, l'ho sognata? Non so cosa mi abbia risposto la fatina bionda della terza effe, il passaggio dalla Fanta all’Amaretto di Saronno è stato troppo brusco, il resto l’ha fatto la voce nascosta nella buca del suggeritore, ognuno ha il suo suggeritore e più passa il tempo e più si inventa le battute. E così continuo a ricordare, o a sognare, che forse è lo stesso, un'enorme gondola nera. Non ha mai smesso di ingoiare una minuscola bara bianca, specie durante le notti in cui ho la febbre e mi rigiro nel letto sudato e al buio e a tentoni cerco la Tachipirina sul comò.

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