Mi ricordo di una prostituta greca, sostava su una
Ford Fiesta nera nel minimo piazzare di fronte all’ingresso dei vivai Riva, a
Cascina Costone. Il motore rimaneva acceso, credo lo facesse per mantenere in
funzione il riscaldamento, in estate tornava in Grecia dove ancora viveva la famiglia.
Come tutte le ragazze distribuite tra Lentate al
Seveso e Lurago d’Erba, passando per Arosio, Carugo e Inverigo, all’inizio
stava fuori dall’auto, camminando avanti e indietro sul ciglio della strada
provinciale 41: l’andatura resa pencolante dai tacchi a spillo, una minigonna
rossa a dar risalto alle gambe lunghe, e comunque proporzionate alla statura
superiore alla media. Ma lo vedevi che tremava dal freddo, moldave e rumene lo sopportano meglio.
Racimolato il suo giro di clienti, cominciò così ad
attenderli in auto, un piccolo colpetto con gli abbaglianti e lei scendeva, si
andava a scopare dietro ai capannoni della zona industriale preceduti dall'insegna del Bennet; la luce rossa spicca sull'enorme parallelepipedo come un faro, orientando gli automobilisti nella nebbia delle sere invernali. Arrivato a quel punto, introducevo nell’autoradio il cd con la colonna sonora di
Drive, nel film Ryan Gosling indossa un giubbetto di raso bianco con uno
scorpione bianco stampato sul retro. Era il segno sonoro che iniziava la stagione della caccia.
Nel mio caso, la prima volta non andò troppo bene, ci
fu un lieve attrito. Lei mi porse il preservativo (una marca mai sentita
nominare, probabilmente acquistato su internet o in qualche discount a prezzo
stracciato), ma io pretesi di indossare il mio. Era una cosa che facevo spesso, l'ipocondria mi portava a considerare quali probabili, addirittura imminenti, remote ipotesi di rottura; dopo la morte di
Freddy Mercury scorgevo agguati virali ovunque.
Per fortuna esistono modelli della consistenza di un
gommone, pare vadano per la maggiore nei partouze, mi vergognavo un po’ quando
andavo ad acquistarli in farmacia. Ma se alle altre la cosa non procurava alcun fastidio – in
fondo era per loro un risparmio – la mancanza di fiducia verso il suo
preservativo l’aveva infastidita. Fece comunque tutto quel che c’era da fare,
lo fece con meccanica silenziosa professionalità, poi rimise gli slip e calò il
sipario della minigonna rossa, e con un ciao distratto tornò caracollando alla
sua Fiesta, dove l’avevo riaccompagnata. Proprio non riusciva a prendere
confidenza con i tacchi a spillo.
A parte il saluto, mi disse solo che si chiamava Anna
ed era di Atene – il luogo di provenienza e il nome li chiedo sempre –, e forse
per quest’unica ragione ritornai la settimana successiva: mi piaceva l’idea di
fare sesso con una concittadina di Pericle, Socrate e Platone, non una
provinciale come Aristotele. Incrociando le dita accettai di farmi infilare il
suo anonimo preservativo, e dopo avere scopato il ciao ci vediamo fu
accompagnato da un sorriso. “Ciao Anna, a presto!” risposi io.
Mantenni naturalmente la parola, dopo tre giorni ero
già lì. Fu la volta dell’avventura. Mentre eravamo intenti in ciò che si fa e
di norma non si racconta, spuntarono da dietro i fari di un'automobile con a bordo tre persone, una di loro impugnava una pila che puntava nella nostra direzione. “Scappa, scappa: sono
la ronda padana!” strillò Anna. Completamente nudo dal busto in giù, misi in
moto. Il sedile era ancora reclinato e non era facile guidare a questo modo, a
piedi nudi poi, ma dopo un breve inseguimento – l’adrenalina della fuga aveva
mantenuto salda l’erezione – riuscii a seminare la ronda padana. “Bravo!” mi
disse Anna, e questa volta il tono della voce sembrava convinto.
Ci furono in seguito altri incontri, su cui si
proiettava l’imprinting di quella fuga: “Ti ricordi?”, e ridevamo. Una solida
complicità si era stabilita tra noi, come nei reduci di tutte le guerre. Nel caso fosse occupata, attendevo che si liberasse al Garden Caffè di Lurago d’Erba, dove facevano ottimi cocktail e mi
ero fatto degli amici; con uno, Gigio, andammo a vedere una partita di basket a Cantù, della cui squadra era tifoso sfegatato. Per giustificare la mia continua
presenza avevo raccontato di avere la fidanzata a Erba. Particolare non poi così
lontano dalla realtà, nella mia percezione almeno.
Se il tempo dedicato al sesso era sempre quello, roba
da una manciata di minuti e via, come si dice una sveltina, crebbe progressivamente
il tempo della parola, rigorosamente successivo. Venni così a sapere che aveva
lasciato la Grecia a causa della crisi economica del 2009. Un lavoro le era
rimasto, ad altri era andata peggio, faceva la segretaria da un commercialista,
credo avesse studiato ragioneria o qualcosa del genere. Ma il clima opprimente
e ciò che si raccontava dell’Italia la indussero a partire, prima non si era
mai prostituita. Con i soldi messi da parte, oltre
all’acquisto della Fiesta, intendeva tornare in Grecia e prendersi una villetta
vicino al mare, farsi una famiglia, avere dei figli e naturalmente un marito.
Quieta vita piccolo borghese, insomma. Ma non priva di una sua bellezza in cui
percepivo odore di gelsomino.
Il padre era morto fulminato da una lampadina e della mamma, mia coetanea, non amava parlare,
e io non chiedevo. Insisteva nel raccontarmi dell’unica sorella, di un paio di anni
più giovane – doveva dunque avere ventiquattro anni, già che Anna ne aveva al
tempo ventisei. Appena discussa la tesi di laurea in Psicologia, la sorella
intendeva sposarsi con il suo fidanzato, e questa cosa ad Anna proprio non
andava giù. “Stanno assieme da soli due anni” mi disse risistemandosi il
reggiseno di pizzo bianco, “meglio che aspettino ancora un po’.” E dopo una pausa
in cui si attendeva forse che io dicessi qualcosa, aveva aggiunto: “L’amore è
una cosa importante.”
Io cercavo di rassicurarla: “Ma certo che l’amore è
una cosa importante, ma due anni… non sono pochi.” Intanto il piazzale dei
vivai Riva si era riempito delle auto degli altri clienti, spazientiti per
l’attesa. “Va be’, dai, adesso devi andare”, e la salutai con un bacino sulla
guancia. Mentre raggiungeva la Passat di un tipo azzimato che
aveva tutti i tratti del rappresentante di commercio, di nuovo comparve l’odore
di gelsomino.
Una notte di luna piena mi accorsi di un particolare
che prima non avevo mai notato. Accanto alle grandi labbra aveva un grosso neo,
un’escrescenza carnosa da cui spuntavano dei peli spessi e neri, come
la lunga capigliatura. Tutto il resto era ovviamente depilato, e complice la
carnagione chiarissima – all’inizio la cosa mi appariva incongrua, solo in
seguito compresi che stavo facendo dei raffronti con Irene Papas, splendida
Penelope nello sceneggiato sull’Odissea – quel neo spiccava ancora di più.
Non so se fu di nuovo a causa della mia ipocondria, ma
l’idea di sbattere la pelvi contro un grumo peloso mi procurava imbarazzo, e
nell’incontro che seguì le chiesi di fare solamente sesso orale. Come la prima
volta con il preservativo, Anna si accorse che qualcosa era cambiato, e anche
il suo atteggiamento mutò di conseguenza: fine dei discorsi sulla sorella,
sull’amore, sulla crisi economica e i sogni di riscatto. Fine di tutto,
gelsomino compreso.
Tornai da lei altre due o tre volte, in cui mi accolse
con freddezza. Poi smisi di deviare verso Cascina Costone quando tornavo in
auto da Milano. Agli amici del Bar Garden, dove mi ero fermato dopo più di anno
per un Daiquiri, spiegai che non mi ero più fatto vedere perché avevo rotto con
la mia fidanzata di Erba. “Con le donne è sempre così”, rispose Gigio dandomi
una pacca sulla spalla. E dopo avere preso un lungo sorso dalla sua Ceres che beveva sempre dalla bottiglia, aggiunse: "Meglio il basket. La prossima settimana il Cantù
gioca contro il Varese, ho i biglietti, ci vieni?" Chiaro segnale che le
Ceres successive avrei dovuto pagarle io.