Mi ricordo del giubbetto color vinaccia di Carlino, ma prima bisogna parlare di lui. Il diminutivo non si riferiva all’età, ma alle dimensioni fisiche più congeniali all'ippica che al basket, unite all’aspetto mite e vagamente intimorito, in particolare dalle malattie. Diciamolo chiaramente: Carlino era ipocondriaco. Un termine di cui a nove o dieci anni non comprendevo il significato, ma esistono le storie proprio per arrampicarsi sulle parole difficili. Questa è una storia che dall'alto di quella parola difficile prova a guardare indietro, ai miei nove o dieci anni, e ci trova Carlino e il suo giubbetto di pelle color vinaccia.
Un giorno va dal medico, ormai era un habitué e l’altro lo prendeva un po’ in giro. “Come siamo eleganti oggi” gli disse vedendolo entrare con il giubbetto in questione; riluceva alla maniera delle auto appena uscite dal concessionario, la cerniera era chiusa fino al collo. Carlino ne era orgoglioso al punto da levarselo solamente per dormire, ma non escluderei che facesse anche da pigiama. L’aveva acquistato poche settimane prima in un negozietto frequentato da quelli che allora venivano chiamati capelloni. Carlino aveva ancora tutti i suoi capelli giallastri in testa, ma non poteva certo essere definito un capellone. Da quando qualcuno gli aveva detto che vivere in altura poteva comportare danni alla salute – non che provenisse da Lhasa, ma da Primolo, 1270 metri sul livello del mare – era sceso a fondovalle senza un preciso progetto, solo un vago ma determinato intento di salvarsi la pelle. Avrà avuto sì e no sessantacinque anni, pochi giorni dopo bussò alla porta della fattoria dei miei nonni. “Avete dei lavoretti da farmi fare?”
Credo fu la disposizione compassionevole di mia nonna (lei la chiamava carità cristiana) a far sì che alla fine adottassero quel bambino un po’ cresciuto, si fa per dire, consentendogli di abitare in due locali ricavati dalla legnaia. Condivideva con loro i pasti e perfino le puntate di Canzonissima sul televisore; le gambe delle gemelle Kessler erano troppo lunghe e scoperte per la nonna, ma non c'erano molte alternative nelle precoci sere invernali. Per sdebitarsi, Carlino portava le tre o quattro mucche al pascolo, e quando il sabato andava a Sondrio acquistava dei piccoli regali; in genere si trattava di novità tecnologiche, come l’accendifuoco elettrico da sostituire agli zolfanelli con cui avviare la cottura del minestrone. Poi passava in erboristeria e infine si soffermava di fronte alle vetrine dei negozi di abbigliamento, dove aveva adocchiato il giubbetto per il quale stava ricevendo i complimenti dal medico.
Carlino incassò soddisfatto l'apprezzamento, ma subito prese a esporre la nuova terribile minaccia che pendeva sul suo capo, anzi sul suo petto. Era infatti lì che gli doleva, dottore, è grave…? Il medico lo auscultò, gli provò la pressione con lo sfigmomanometro, un'altra parola difficile su cui non mi ero ancora arrampicato, già che c’era gli fece pure cacciare la lingua e dire trentatré, ma sembrava tutto in regola. Nel dubbio, gli prescrisse delle lastre toraciche e un elettrocardiogramma. Solo che anche quelli, quando ritornò sempre più allarmato con i referti, non rivelavano alcuna alterazione.
Eppure Carlino continuava a stare male, se possibile i dolori al petto erano perfino peggiorati: “Dottore, non mi nasconda nulla! Anzi, no, se sto per morire non me lo dica…” Non riusciva a mettersi d’accordo con sé stesso. Il medico scosse la tessa, gli diede una pacca sul suo bel giubbetto di pelle, e gli disse che non aveva niente di cui preoccuparsi. Rassicurato Carlino uscì dallo studio, ma dopo pochi giorni era di nuovo lì. A quel punto il medico ebbe un’intuizione. “Senti Carlino” gli disse, “prova a stare una settimana senza indossare il giubbetto. Poi ripassi e mi dici.”
“Dottore, dottore: sto bene!” esclamò alla scadenza
prevista, “ma come ha fatto a guarirmi?” “Lo immaginavo” disse il medico con un
sorrisetto malizioso. Spiegandogli che la prossima volta doveva prendere
indumenti di taglia più abbondante: “Sarà anche elegante, ma il giubbetto che
hai acquistato va bene per un ragazzino di nove o dieci anni”, guarda caso
proprio la mia età. E fu così che Carlino mi regalò il suo giubbetto di pelle
color vinaccia, e non ebbe più dolori al petto.

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